Editoriali

Il “Re” ancora in sella

Tra i dati che emergono chiari dalle elezioni israeliane appena concluse, uno si staglia in modo netto, il Likud ha portato a casa il suo migliore risultato dal 2003 con 35 seggi conquistati alla Knesset, sotto solo di tre seggi rispetto a quelli conquistati da Ariel Sharon all’epoca. La differenza è che Sharon, nel 2003, non era stato al centro di inchieste giudiziarie che avrebbero potuto portarlo a un rinvio a giudizio come è accaduto a Benjamin Netanyahu. Ciò significa che nonostante la serrata campagna di delegittimazione nei suoi confronti per abuso di ufficio e corruzione, si è confermato ciò che con lucido buonsenso scrisse qualche settimana fa Alan Dershowitz, “In una democrazia, le critiche alla relazione tra media e governo dovrebbero essere lasciate agli elettori , non ai pubblici ministeri”. E così è stato. Con una vittoria limpida sul partito Blue e Bianco guidato da Benny Gantz, il quale, debuttando sulla scena elettorale come principale antagonista di Netanyahu, ha ottenuto lo stesso risultato, 35 seggi in parlamento, Netanyahu, in base ai voti complessivi ottenuti dalla propria coalizione, si appresta a ottenere l’incarico per la formazione del nuovo governo con, a suo vantaggio, 65 seggi a disposizione su i 120 disponibili.

Dopo dieci anni consecutivi da primo ministro, il più scaltro, carismatico e smaliziato politico israeliano, si conferma nuovamente, quel “Re” di Israele, (ha Melech), che i suoi numerosi e agguerriti avversari politici hanno cercato e sperato di rimuovere dalla scena.

La vittoria di Netanyahu evidenzia in modo plastico come la parte maggioritaria degli elettori ritenga che nonostante le inchieste a suo carico, a proposito delle quali, sempre Alan Dershowitz ha dichiarato, “Non ci sono prove sufficienti di un reato, ritengo molto pericoloso iniziare a rinviare a giudizio le persone basandosi sulle negoziazioni con i giornali. E’ quello che fanno i politici”, Netanyahu sia ancora sulla piazza il leader più credibile, nonostante la novità Gantz, per guidare il paese.

Hanno sicuramente pesato in questa ennesima affermazione del primo ministro in carica, i grandi cadeaux politici che gli ha fornito con larghezza, Donald Trump: dalla dichiarazione di Gerusalemme capitale di Israele, dallo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, dalla rescissione dell’accordo sul nucleare iraniano, alla decisione di riconoscere la sovranità israeliana sul Golan. E ci possono essere pochi dubbi sul fatto che il presidente americano sia particolarmente soddisfatto nel vedere confermato un uomo con il quale ha stretto un solido sodalizio personale e le cui vedute politiche relative al Medio Oriente risultano fortemente convergenti.

Si apre dunque una nuova prospettiva, quanto nuova sarà tutto da vedere, a cominciare dalla dichiarazione dirompente di Netanyahu di volere annettere l’Area C della Cisgiordania. I fatti diranno se in questa nuova legislatura che si annuncia, Bibi haMelech saprà essere più decisionista e risoluto di quanto abbia saputo essere fino ad oggi, in cui si è dimostrato oltre a un infaticabile promotore di Israele e un abile tessitore di alleanze, assai cauto nel modificare assetti fondamentali dello status quo.

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