Israele e la Corte Internazionale

Il tentativo di negare a Israele il diritto di difendersi

Il discorso di apertura del consigliere legale del Ministero degli Esteri di Israele, Tal Becker alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, il 12 gennaio 2024, quando i rappresentanti di Israele hanno presentato la sua difesa contro le accuse di genocidio mosse dal Sudafrica nei confronti dello Stato ebraico relative al conflitto in corso Gaza e corredate dalla richiesta alla Corte di ordinare un’immediata azione intesa a fermare le operazioni dell’IDF.

Signora Presidente, illustri membri della Corte, è un onore comparire di nuovo davanti a voi a nome dello Stato di Israele.

Lo Stato di Israele è particolarmente consapevole del motivo per cui è stata adottata la Convenzione sul genocidio, invocata in questo procedimento. È impresso nella nostra memoria collettiva l’omicidio sistematico di 6 milioni di ebrei come parte di un programma premeditato e atroce per il loro totale annientamento.

Considerando la storia del popolo ebraico e i suoi testi fondazionali, non sorprende che Israele sia stato tra i primi stati a ratificare senza riserve la Convenzione sul genocidio e a incorporarne le disposizioni nella propria legislazione nazionale.

Per alcuni, la promessa “Mai più” per tutti i popoli è uno slogan. Per Israele si tratta del più alto obbligo morale.

Raphael Lemkin, un ebreo polacco che fu testimone degli indicibili orrori dell’Olocausto, ha il merito di aver coniato il termine “genocidio”. Aiutò il mondo a riconoscere che il lessico giuridico esistente era semplicemente inadeguato a rappresentare il male devastante scatenato dall’Olocausto nazista.

Il ricorrente ha ora cercato di invocare questo termine nel contesto della condotta di Israele in una guerra che non ha iniziato e non ha voluto, una guerra in cui Israele si difende contro Hamas, la Jihad islamica palestinese e altre organizzazioni terroristiche la cui brutalità non conosce limiti.

La sofferenza dei civili in questa guerra, come in tutte le guerre, è tragica. È straziante. La dura realtà delle attuali ostilità è resa particolarmente dolorosa per i civili, data la riprovevole strategia di Hamas di cercare di massimizzare il danno dei civili sia per gli israeliani che per i palestinesi, anche se Israele cerca di minimizzarlo.

Ma come questa Corte ha già chiarito, la Convenzione sul Genocidio non è stata concepita per affrontare il brutale impatto delle ostilità intense sulla popolazione civile, anche quando l’uso della forza solleva “problemi molto seri di diritto internazionale e comporta enormi sofferenze e continue perdite di vita.” La Convenzione è stata istituita per affrontare un crimine doloso della gravità più eccezionale.

Viviamo in un’epoca in cui le parole costano poco. Nell’era dei social media e delle politiche identitarie, la tentazione di ricorrere al termine più oltraggioso, diffamare e demonizzare, è diventata, per molti, irresistibile. Ma se c’è un luogo in cui le parole dovrebbero ancora avere importanza, dove la verità dovrebbe ancora avere importanza, è sicuramente l’aula di un tribunale.

Il ricorrente ha purtroppo presentato alla Corte un quadro di fatto e di diritto profondamente distorto. L’intero caso si basa su una descrizione deliberatamente artefatta, decontestualizzata e manipolatoria della realtà del conflitto in corso

Il Sudafrica pretende di presentarsi davanti a questa corte nella posizione nobile di guardiano degli interessi dell’umanità. Ma nel delegittimare i 75 anni di esistenza di Israele nella sua presentazione di apertura di ieri, quell’ampio impegno a favore dell’umanità è suonato vuoto.

E nella sua ampia descrizione controfattuale del conflitto israelo-palestinese, è sembrato cancellare sia la storia ebraica che qualsiasi forma di responsabilità palestinese. In effetti, secondo il ricorrente, la delegittimazione di Israele fin dalla sua fondazione nel 1948 è apparsa difficilmente distinguibile dalla retorica negazionista di Hamas.

Non sorprende, quindi, che, nel racconto del ricorrente, siano nascoste sia la responsabilità di Hamas per la situazione a Gaza, sia la stessa umanità delle sue vittime israeliane.

Il tentativo di utilizzare come arma il termine “genocidio” contro Israele nel contesto attuale va oltre il mero raccontare alla Corte una storia grossolanamente distorta, va oltre lo svuotamento della parola della sua forza unica e del suo significato speciale. Sovverte l’oggetto e lo scopo della Convenzione stessa, con conseguenze per tutti gli Stati che cercano di difendersi da coloro che dimostrano totale disprezzo per la vita e per la legge.

Signora Presidente, signori giudici, sabato 7 ottobre, festa religiosa ebraica, migliaia di militanti di Hamas e altri militanti hanno fatto breccia nel territorio sovrano israeliano via mare, via terra e via aria, invadendo oltre 20 comunità e basi israeliane e il sito di un festival musicale.

Ciò che è avvenuto sotto la copertura di migliaia di razzi lanciati indiscriminatamente su Israele è stato il massacro, la mutilazione, lo stupro e il rapimento su vasta scala di tutti i cittadini che i terroristi sono riusciti a trovare prima che le forze israeliane li respingessero.

Mostrando apertamente euforia,  hanno torturarono i bambini davanti ai genitori e i genitori davanti ai bambini, hanno arso persone vive, compresi i neonati, e violentato e mutilato sistematicamente decine di donne, uomini e bambini. Nel complesso, quel giorno sono state massacrate circa 1.200 persone, più di 5.500 mutilate e circa 240 ostaggi rapiti, tra cui neonati, intere famiglie, persone con disabilità e sopravvissuti all’Olocausto, alcuni dei quali da allora sono stati giustiziati, molti dei quali torturati, abusati sessualmente e affamati in cattività. I rappresentanti delle famiglie degli ostaggi sono oggi presenti in quest’aula di tribunale e riconosciamo la loro presenza e la loro sconfinata sofferenza.

Conosciamo la brutalità del 7 ottobre non solo grazie alle strazianti testimonianze dei sopravvissuti, alle prove inequivocabili della carneficina e del sadismo lasciate alle spalle e alle prove forensi raccolte sulla scena. Lo sappiamo perché gli aggressori hanno filmato e trasmesso con orgoglio la loro barbarie.

Gli eventi di quel giorno sono quasi ignorati nelle dichiarazioni del ricorrente, ma siamo costretti a condividere con la Corte una parte del suo orrore, il più grande omicidio di massa calcolato di ebrei in un solo giorno dall’Olocausto a oggi.

Lo facciamo non perché questi atti, per quanto sadici e sistematici, sollevano Israele dai suoi obblighi di rispettare la legge mentre difende i suoi cittadini e il suo territorio. Questo è indiscutibile. Lo facciamo perché è impossibile comprendere il conflitto armato a Gaza senza comprendere la natura della minaccia che Israele si trova ad affrontare e la brutalità e la mancanza totale di rispetto della legge da parte delle forze armate che lo affrontano.

Nell’insieme dei materiali presentati ai membri della Corte, è stato consentito l’accesso a una parte del filmato non montato per una proiezione separata. Ma sono obbligato a presentare oggi alla Corte qualche piccolo frammento delle scene di indicibile crudeltà avvenute in centinaia di luoghi in quel giorno orribile.

Jonny Siman Tov, un coltivatore di grano, e sua moglie Tamar, un’attivista per i diritti delle donne, vivevano nel Kibbutz Nir Oz. Quando è iniziato il lancio dei razzi, si sono nascosti nella stanza di sicurezza con il loro figlio di quattro anni, Omer, e i loro gemelli di sei anni, Arbel e Shahar. Durante la loro furia, i militanti di Hamas hanno dato fuoco alla loro casa. Jonny ha mandato un messaggio a sua sorella Renee: “Sono qui. Ci stanno bruciando. Stiamo soffocando”. L’intera famiglia fu bruciata viva, ridotta in cenere, rendendo particolarmente difficile l’identificazione del DNA.

Un sopravvissuto al massacro del festival musicale Nova ha testimoniato alla polizia di aver assistito allo stupro brutale di una giovane donna da parte di un militante di Hamas, mentre un altro militante le tagliava il seno e ci giocava. Un secondo militante l’ha poi violentata di nuovo, sparandole alla testa mentre era ancora dentro di lei.

In un video registrato da un sistema di sorveglianza domestica, un militante di Hamas lancia una granata in una stanza di sicurezza dove un padre e i suoi due figli si sono precipitati a nascondersi. Il padre viene ucciso. I due figli sono feriti e sanguinano mentre un militante li trascina nel soggiorno. Si può sentire un bambino gridare a suo fratello: “Perché sono vivo? Non riesco a vedere nulla. Ci uccideranno”. Il militante apre con nonchalance il frigorifero, tira fuori una bottiglia e beve.

E poi c’è questa registrazione del Kibbutz Mefalsim. (Becker fa ascoltare alla corte una registrazione in arabo con sottotitoli in inglese.) “Papà, ti sto parlando dal telefono di una donna ebrea. Ho ucciso lei e suo marito. Ho ucciso dieci persone con le mie stesse mani! Papà, dieci con le mie mani! Papà, apri WhatsApp e guarda come ho ucciso. Papà, apri il telefono. Papà, ti chiamo su WhatsApp. Apri il telefono, vai. Dieci. Dieci con le mie mani. Il loro sangue è sulle loro mani. Fai venire la mamma.”

Come affermato, nessuna di queste atrocità assolve Israele dai suoi obblighi ai sensi della legge. Ma consentono alla Corte di valutare tre aspetti fondamentali del presente procedimento che il ricorrente ha nascosto alla vista.

In primo luogo, se ci sono stati atti che possono essere definiti genocidari, allora sono stati perpetrati contro Israele. Se c’è una preoccupazione riguardo agli obblighi degli stati ai sensi della Convenzione sul genocidio, allora essa riguarda la loro responsabilità nell’agire contro l’agenda di annientamento orgogliosamente dichiarata da Hamas, che non è un segreto e che è inequivocabile.

Il linguaggio genocidario dello statuto di Hamas viene ripetuto regolarmente dai suoi leader, con l’obiettivo, secondo le parole di un membro dell’ufficio politico di Hamas, di ripulire la Palestina dalla sporcizia degli ebrei.

Ciò è espresso in modo non meno agghiacciante nelle parole del membro senior di Hamas Ghazi Hamad, alla televisione libanese il 24 ottobre 2023, che si è riferito agli attacchi del 7 ottobre, quello che Hamas chiama il diluvio di Al-Aqsa, come segue: “Dobbiamo rimuovere quel paese perché costituisce una catastrofe sul piano della sicurezza, militare e politica per la nazione araba e islamica e deve essere terminato. Non ci vergogniamo di dirlo con tutta la forza. Dobbiamo dare una lezione a Israele e lo faremo ancora e ancora. L’alluvione di Al-Aqsa è solo la prima volta. Ce ne sarà una seconda, una terza, una quarto”.

Nel seguito dell’intervista viene chiesto ad Hamad: “ciò significa l’annientamento di Israele?” “Sì, certo”, dice, “l’esistenza di Israele è illogica”. E poi dice: “Nessuno dovrebbe incolparci per le cose che facciamo. Il 7 ottobre, il 10 ottobre, il milionesimo ottobre, tutto ciò che facciamo è giustificato”.

Dato che il 7 ottobre, prima di qualsiasi risposta militare da parte di Israele, il Sudafrica ha rilasciato una dichiarazione ufficiale in cui incolpava Israele per “il recente conflitto”, accusando essenzialmente Israele dell’omicidio dei suoi stessi cittadini, ci si chiede se il ricorrente sia d’accordo.

In secondo luogo, è in risposta al massacro del 7 ottobre, che Hamas promette apertamente di ripetere, e agli attacchi in corso contro di esso da Gaza, che Israele ha il diritto intrinseco di adottare tutte le misure legittime per difendere i suoi cittadini e garantire il rilascio degli ostaggi. Anche questo diritto non è in dubbio. È stato riconosciuto dagli stati di tutto il mondo.

Sorprendentemente, alla Corte è stato chiesto di indicare una misura provvisoria che inviti Israele a sospendere le sue operazioni militari. Ma ciò equivale a un tentativo di negare a Israele la capacità di adempiere ai propri obblighi nei confronti della difesa dei suoi cittadini, degli ostaggi e degli oltre 110.000 sfollati interni israeliani che non possono tornare in sicurezza alle loro case. Il ricorrente, nelle sue dichiarazioni alla Corte, non fa quasi alcuna menzione delle continue sofferenze umanitarie dei cittadini israeliani per mano di Hamas, e considera gli ostaggi ancora tenuti prigionieri come un fatto di scarsa rilevanza.

Ma c’è una ragione per cui queste persone sul vostro schermo non meritano protezione? (Becker mostra le fotografie degli ostaggi.)

Hamas non è parte in causa in questo procedimento. Il ricorrente, con la sua richiesta, cerca di contrastare il diritto intrinseco di Israele di difendersi, per permettere a Hamas non solo di farla franca con il suoi crimini, letteralmente, ma di rendere Israele indifeso mentre Hamas continua a commetterli. Ieri, l’avvocato del ricorrente ha fatto la sorprendente affermazione che a Israele è stato negato questo diritto e, di fatto, non dovrebbe essere in grado di proteggersi dagli attacchi di Hamas.

Ma permettetemi di attirare l’attenzione su queste parole scritte dal professor Vaughan Lowe. “La fonte dell’attacco, sia essa un attore statale o non statale, è irrilevante per l’esistenza del diritto alla difesa. La forza può essere utilizzata per scongiurare una minaccia, perché nessuno e nessuno Stato è obbligato per legge, passivamente, a subire un attacco”. Israele è d’accordo con queste parole, come, sospetto, farebbe qualsiasi stato sovrano.

Se la tesi del ricorrente è che nel conflitto armato tra Israele e Hamas, a Israele deve essere negata la capacità di difendere i suoi cittadini, allora l’assurdo risultato dell’argomentazione del Sudafrica è questo: con il pretesto dell’accusa di genocidio contro Israele , a questa Corte viene chiesto di chiedere la fine delle operazioni contro gli attacchi in corso di un’organizzazione che persegue un vero e proprio programma genocida. Un’organizzazione che ha violato ogni cessate il fuoco del passato e lo ha utilizzato per riarmarsi e pianificare nuove atrocità. Un’organizzazione che dichiara la sua inequivocabile determinazione a portare avanti i suoi piani genocidi.

Si tratta di una richiesta inconcepibile e viene rispettosamente affermato che non può essere accolta.

In terzo luogo, la Corte è informata degli eventi del 7 ottobre, perché se ci sono delle misure provvisorie che dovrebbero essere opportunamente indicate qui, queste sono, proprio, nei confronti del Sudafrica.

È risaputo che il Sudafrica intrattiene stretti rapporti con Hamas. Nonostante il riconoscimento formale come organizzazione terroristica da parte di numerosi stati in tutto il mondo, queste relazioni sono continuate senza sosta anche dopo le atrocità del 7 ottobre. Il Sudafrica ha ospitato e celebrato a lungo i suoi legami con esponenti di Hamas, inclusa una delegazione di Hamas che, incredibilmente, ha visitato il paese per un “incontro di solidarietà” poche settimane dopo l’eccidio.

Nel giustificare l’avvio di un procedimento, il Sudafrica adempie gran parte dei suoi obblighi ai sensi della Convenzione sul genocidio. Sembra appropriato, quindi, che venga incaricato di rispettare egli stesso tali obblighi, di porre fine al suo linguaggio di delegittimazione dell’esistenza di Israele, di porre fine al suo sostegno a Hamas e di usare la sua influenza su questa organizzazione in modo che Hamas metta definitivamente fine alla sua campagna di genocidio, terrore e liberi gli ostaggi.

Signora Presidente, signori giudici, le ostilità tra Israele e Hamas hanno imposto un prezzo terribile sia agli israeliani che ai palestinesi. Ma qualsiasi sforzo genuino per comprendere la causa di questo tributo deve tenere conto dell’orrenda realtà creata da Hamas all’interno della Striscia di Gaza.

Quando Israele ritirò tutti i suoi soldati e civili da Gaza nel 2005, lasciò un’area costiera con il potenziale per diventare una storia di successo politico ed economico. La violenta presa di potere di Hamas nel 2007 ha cambiato tutto questo.

Negli ultimi 16 anni del suo governo, Hamas ha contrabbandato innumerevoli armi a Gaza e ha dirottato miliardi in aiuti internazionali, non per costruire scuole, ospedali o rifugi per proteggere la sua popolazione dai pericoli degli attacchi lanciati contro Israele nel corso di molti anni, ma piuttosto per trasformare enormi aree di infrastrutture civili in quella che è probabilmente la roccaforte terroristica più sofisticata nella storia della guerra urbana.

Sorprendentemente, l’avvocato del ricorrente ha descritto la sofferenza a Gaza come senza paralleli e senza precedenti, come se non fosse consapevole della totale devastazione causata dalle guerre che hanno imperversato proprio negli ultimi anni in tutto il mondo. Purtroppo, le sofferenze civili causate dalla guerra non riguardano solo Gaza. Ciò che in realtà non ha eguali ed è senza precedenti è il grado in cui Hamas si è radicato nella popolazione civile e ha reso la sofferenza dei civili palestinesi parte integrante della propria strategia.

Hamas ha sistematicamente e illegalmente radicato le sue operazioni militari, i suoi militanti e le sue risorse in tutta Gaza, all’interno e al di sotto di aree civili densamente popolate. Ha costruito un vasto labirinto di tunnel sotterranei per i suoi leader e combattenti, lunghi diverse centinaia di miglia in tutta la Striscia, con migliaia di punti di accesso e centri terroristici situati in case, moschee, strutture delle Nazioni Unite, scuole e, forse la cosa più scioccante, ospedali.

Questa non è una tattica occasionale. Si tratta di un metodo di guerra integrato, pianificato, esteso e ripugnante: uccidere intenzionalmente e metodicamente civili, lanciare razzi indiscriminatamente, utilizzare sistematicamente siti sensibili e oggetti civili come scudi, rubare e accumulare forniture umanitarie, consentendo a coloro che sono sotto il suo controllo di soffrire in modo che ciò possa alimentare la sua lotta e la sua campagna terroristica.

La terribile sofferenza dei civili, sia israeliani che palestinesi, è innanzitutto il risultato di questa strategia spregevole, l’orribile costo di Hamas che non solo non riesce a proteggere i suoi civili, ma li sacrifica attivamente per la propria propaganda e il proprio vantaggio militare.

E se Hamas abbandonasse questa strategia, liberasse gli ostaggi, deponesse le armi, le ostilità e le sofferenze finirebbero.

Signora Presidente, signori giudici, ci sono molte distorsioni nelle dichiarazioni del ricorrente alla Corte, ma, come sarà dimostrato dall’avvocato, ce n’è una che le mette tutte in ombra.

Secondo il racconto del ricorrente, è quasi come se non fosse in corso alcun intenso conflitto armato tra due parti, nessuna grave minaccia per Israele e i suoi cittadini, ma solo un attacco israeliano a Gaza. La Corte viene informata di danni diffusi agli edifici, ma non viene detto, ad esempio, quante migliaia di quegli edifici sono stati distrutti perché erano stati trasformati in  trappole esplosive da Hamas. Quanti  di essi sono diventati obiettivi legittimi a causa della strategia di utilizzare oggetti civili e siti protetti per scopi militari. Quanti edifici sono stati colpiti da oltre 2.000 razzi terroristici indiscriminati che hanno fatto cilecca e sono atterrati nella stessa Gaza.

Alla Corte viene riferito di oltre 23.000 vittime – come ripete il ricorrente, come molti hanno fatto, statistiche non verificate fornite dalla stessa Hamas, difficilmente una fonte affidabile. Ogni vittima civile in questo conflitto è una tragedia umana che richiede la nostra compassione. Ma alla Corte non viene detto quante migliaia di vittime siano in realtà militanti, quante siano state uccise dal fuoco di Hamas, quanti fossero civili che hanno preso parte diretta alle ostilità, e quante siano il risultato anche se tragico, dell’uso legittimo e proporzionato della forza contro obiettivi militari.

E alla Corte viene anche raccontata la terribile situazione umanitaria a Gaza. Ma non viene raccontata la pratica di Hamas di rubare e accumulare aiuti. Non viene detto dei vasti sforzi israeliani per mitigare i danni civili, dell’iniziativa umanitaria intrapresa per consentire il flusso di rifornimenti e fornire assistenza medica ai feriti.

Il ricorrente pretende di descrivere la realtà di Gaza, ma è come se Hamas e il suo totale disprezzo per la vita civile non esistessero come causa diretta di quella realtà.

Si stima che Hamas abbia più di 30.000 combattenti ed è noto che annovera tra le sue fila minorenni di età non superiore ai 15 o 16 anni. Stanno venendo per noi. Ma secondo il racconto del Sud Africa, sono quasi scomparsi. Non ci sono esplosivi nelle moschee, nelle scuole e nelle camerette dei bambini, non ci sono ambulanze utilizzate per trasportare i combattenti, non ci sono tunnel e centri terroristici sotto i siti sensibili. Nessun combattente vestito da civile, nessun sequestro di camion umanitari, nessun fuoco da case civili, strutture delle Nazioni Unite e persino zone sicure. C’è solo Israele che agisce a Gaza.

Il ricorrente chiede essenzialmente alla Corte di sostituire la lente del conflitto armato tra lo Stato e un’organizzazione terroristica senza legge con la lente del cosiddetto genocidio di uno Stato contro una popolazione civile. Ma non offre alla Corte una lente. Le sta offrendo una benda.

Signora Presidente, signori giudici, il ricorrente ha nascosto l’ambiente da incubo creato da Hamas, ma è l’ambiente in cui Israele è costretto ad operare.

Israele è impegnato, come deve essere, a rispettare la legge, ma lo fa nonostante il totale disprezzo della legge da parte di Hamas. Si impegna, come deve essere, a dimostrare umanità. Ma lo fa nonostante la totale disumanità di Hamas.

Come verrà presentato dall’avvocato, questi impegni sono una questione di politica governativa espressa, direttive e procedure militari. Sono anche un’espressione dei valori fondamentali di Israele e, come verrà dimostrato, sono accompagnati da misure reali sul campo per mitigare i danni civili nelle condizioni di guerra senza precedenti e strazianti create da Hamas.

È chiaramente inconcepibile, secondo i termini stabiliti da questa stessa Corte, che uno Stato che si comporta in questo modo, in queste circostanze, possa essere considerato coinvolto in un genocidio. Neppure a prima vista.

Manca totalmente la componente chiave del genocidio – l’intenzione di distruggere un popolo, in tutto o in parte. Ciò che Israele cerca di fare operando a Gaza non è distruggere un popolo, ma proteggere un popolo – il suo popolo, che è sotto attacco su più fronti – e farlo in conformità con la legge, anche se si trova di fronte a un nemico spietato determinato usare proprio questo impegno contro di esso.

Come verrà spiegato in dettaglio dall’avvocato, gli obiettivi legittimi di Israele a Gaza sono stati chiaramente e ripetutamente articolati dal suo primo ministro, dal ministro della Difesa e da tutti i membri del gabinetto di guerra. Come il Primo ministro ha ribadito ancora una volta questa settimana, Israele sta combattendo i terroristi di Hamas, non la popolazione civile. Israele mira a garantire che Gaza non possa mai più essere utilizzata come trampolino di lancio per il terrorismo.

Come ha ribadito il Primo ministro, Israele non cerca né di occupare permanentemente Gaza né di sfollare la sua popolazione civile. Vuole creare un futuro migliore sia per gli israeliani che per i palestinesi, in cui entrambi possano vivere in pace e prosperare, e dove il popolo palestinese abbia tutto il potere di governarsi, ma non la capacità di minacciare Israele.

Se c’è una minaccia a questa visione, se c’è una minaccia umanitaria per i civili palestinesi di Gaza, deriva principalmente dal fatto che hanno vissuto sotto il controllo di un’organizzazione terroristica genocida che ha totale disprezzo per la loro vita e il loro benessere. Quell’organizzazione, Hamas, e i suoi sponsor, cercano di negare a Israele, ai palestinesi e agli Stati arabi della regione la capacità di promuovere un futuro comune di pace, coesistenza, sicurezza e prosperità. Israele è in una guerra di difesa contro Hamas, non contro il popolo palestinese, per assicurarsi che non vinca.

In queste circostanze, difficilmente può esserci un’accusa più falsa e più malevola di quella di genocidio mossa a Israele.

Il ricorrente si è purtroppo impegnato in un palese tentativo di abusare del meccanismo di giurisdizione obbligatoria della Convenzione e, in particolare, della fase delle misure provvisorie del procedimento, per sottoporre alla competenza del giudice questioni sulle quali, in verità, non ha giurisdizione.

Signora Presidente, signori giudici, la Convenzione sul genocidio è stata una promessa solenne fatta al popolo ebraico e a tutti i popoli di Mai Più. Il ricorrente, in effetti, invita il tribunale a tradire quella promessa.

Se il termine “genocidio” può essere sminuito nel modo in cui sostiene, se si possono adottare misure provvisorie nel modo in cui suggerisce, la Convenzione diventa la carta dell’aggressore. Ricompenserà, anzi incoraggerà, i terroristi che si nascondono dietro i civili, a scapito degli Stati che cercano di difendersi da loro.

Per mantenere l’integrità della Convenzione sul genocidio, per mantenere la sua promessa e il ruolo della Corte come suo tutore, si propone rispettosamente che il ricorso e la richiesta debbano essere respinti per quello che sono: una diffamazione, intesa a negare a Israele il diritto di difendere stesso, secondo la legge, dall’assalto terroristico senza precedenti che continua a subire e per liberare i 136 ostaggi che Hamas ancora detiene.

Vi ringrazio per la vostra gentile attenzione.

https://www.timesofisrael.com/s-africa-genocide-case-is-a-libel-aimed-to-deny-israel-the-right-to-defend-itself/

Traduzione di Niram Ferretti

 

 

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