Islam e Islamismo

Islamizzazione nel caos generale: un filo rosso corre sottotraccia‏

Gli attentati di Bruxelles, con la loro tragicomica sequenza di indagini degne della Pantera Rosa, ci hanno distratti da quella che in realtà è la strategia degli islamici. Islamici, non islamisti: non stiamo parlando “solo” di terrorismo, ma di un probabile disegno politico nel quale “anche” il terrorismo ha un ruolo.
L’Asia è stata in gran parte islamizzata; l’Africa è stata in buona parte islamizzata. Manca l’Europa. E quando anche in Europa la presenza islamica, pur non divenendo maggioranza, sarà significativa quanto basta per avanzare delle pretese (e quella dell’applicazione della sharia è già una realtà in diversi stati europei), a quel punto rimarrà solo la ferita di Israele da eliminare.

Islam e Europa: il terrorismo come disegno politico jihadista

Lo scorso 25 marzo Sheikh Raed Salah, leader del settore settentrionale del Movimento Islamico in Israele ed ex sindaco di Umm al-Fahm, in un sermone del venerdì ha affermato che la Palestina “vomiterà l’occupante israeliano come il mare vomita la sua sozzura”. Del resto ISIS stesso ha ammesso che non intende, per ora, attaccare Israele perché non ritiene che la causa palestinese sia più significativa degli altri problemi che i musulmani devono affrontare: il jihad in Palestina non è diverso dal jihad altrove (al-Naba, 15 marzo). Sono i palestinesi che primi fra tutti devono combattere contro Israele, attaccando anche gli ebrei ed i loro alleati ovunque essi siano.

Nello stesso periodo il capo della sicurezza del Dubai, il generale Dahi Khalfan Tamin, ha twittato che gli arabi palestinesi dovrebbero puntare ad avere uno stato binazionale che includa Israele, e non uno stato esclusivamente arabo a fianco di Israele: in questo modo, affermava, nel giro di pochi decenni gli arabi sarebbero maggioranza in questo stato e lo governerebbero. Dopodiché, ha chiesto nella sua pagina twitter ai suoi lettori se sono d’accordo con lui ed il 59% di essi ha risposto che preferiscono buttare gli ebrei in mare subito.
A questo punto possiamo focalizzare la nostra attenzione sul difficile rapporto fra Israele e l’Europa, oltre che fra Israele e gli Stati Uniti, fra Israele e le Nazioni Unite. I palestinesi ricevono enormi quantità di denaro da nazioni, istituzioni, enti ed associazioni occidentali; questi aiuti sono destinati non solamente al nobile fine umanitario di alleviare la povertà fra i palestinesi od a quello più pragmatico di consentire all’Autorità Palestinese di pagare gli stipendi, ma anche alle ONG locali.

E’ oramai di pubblico dominio che l’Autorità Palestinese esalta il martirio di chi si immola ammazzando un po’ di israeliani ed intitola a questi eroi nazionali campi di calcio, tornei sportivi, scuole, come è anche noto a tutti che i libri scolastici palestinesi (pagati con quei soldi) negano il diritto degli ebrei ad avere uno stato, accusano gli ebrei di essere la causa di tutti i mali del mondo e li ritraggono come scimmie e maiali, ricordando che Maometto stesso nel Corano invita ad ucciderli. Una delle ultime iniziative (ottobre 2015) è quella dell’Associazione degli avvocati palestinesi (Palestinian Bar Association), regolarmente finanziata dall’Unione Europea, dall’ufficio di coordinamento della polizia europea, dal programma di sviluppo delle Nazioni Unite e dalla Fondazione Legale Internazionale. Ebbene, questa esemplare associazione dei massimi esponenti palestinesi del Diritto ha onorato Muhammad al-Halabi, che pochi giorni prima aveva assassinato due ebrei e ferito una donna ed un bambino di due anni a Gerusalemme, con il certificato di membro onorario; e siccome questo non bastava, ha denominato in suo onore la cerimonia di giuramento dei nuovi avvocati ed in novembre ha chiuso i suoi uffici per consentire ai propri membri di partecipare ai funerali di altri due “martiri” (Omar al-Faqih e Muhammad Shamasneh).

Alla fine di marzo Hans-Georg Maassen, direttore del Bundesamt fuer Verfassungsschutz (centrale di controspionaggio a difesa della Costituzione) tedesco, ha affermato che il numero dei salafiti presenti in Germania è aumentato da 5500 nel 2013 e 7000 nel 2014 a 7900 affiliati. Lo scopo dei salafiti è quello di “stabilire uno stato islamico in Germania”, ha precisato, e molti terroristi vengono infiltrati in Europa insieme ai migranti.
In Africa, invece, sono già 12 gli stati in cui, in parte o in toto, viene applicata la legge islamica della sharia. Questo continente è devastato dalle atrocità di Boko Haram, che in questi 15 anni ha massacrato circa 10.000 cristiani e ne ha costretti un milione e trecentomila a fuggire. Il presidente Obama fa molta fatica a stabilire una connessione fra Boko Haram e l’Islam, fra ISIS ed Islam, e sostiene che il jihad è frutto della povertà e delle disuguaglianze. Allo stesso tempo Obama ha reso molto spigolosi i rapporti con Israele, dove tutte le minoranze religiose sono protette e godono di uguali diritti: il 30 dicembre 2015, ad esempio, il governo israeliano ha approvato un piano quinquennale da 4 miliardi di dollari per aiutare lo sviluppo delle minoranze; l’Agenzia per lo sviluppo economico dei settori arabo, druso e circasso, diretta dall’arabo musulmano Aiman Saif, ha un budget di 1,8 miliardi di dollari; Israele riconosce lo status della minoranza aramea, le cui radici aramaico-fenicie non sono riconosciute da nessuno degli stati arabi della regione.

Abbiamo nominato anche le Nazioni Unite fra le istituzioni tradizionalmente ostili ad Israele: vediamo le sue due ultime decisioni, che confermano quanto già è ampiamente documentato. A metà marzo il Consiglio per i diritti umani, noto per non approvare mai mozioni di denuncia della loro violazione da parte degli stati che a tutti noi vengono subito in mente – Arabia Saudita, Cina, Siria, Iran per nominarne alcuni – , ha approvato con 32 voti a favore, nessuno contrario e 15 astenuti (principalmente stati europei) una mozione che chiede di creare un database, da aggiornare ogni anno, di tutte le aziende che operano nei territori palestinesi occupati da Israele. Alcuni giorni or sono lo stato d’Israele, che aveva ottenuto di esporre nel quartier generale dell’ONU a New York una mostra sulla storia e sulla realtà del paese, è stato costretto dai vertici ONU a ritirare tre pannelli espositivi: in uno Gerusalemme veniva presentata come capitale spirituale e fisica d’Israele, dove il popolo ebraico è presente senza discontinuità dal 1000 a.C., ed era indicata la sua sacralità alle tre grandi religioni monoteiste; in un altro si affermava che la minoranza araba, che rappresenta il 20% della popolazione israeliana, gode di uguali diritti; nel terzo il sionismo era definito come “il movimento di liberazione del popolo ebraico, che ha cancellato 1900 anni di oppressione ed ha ottenuto il diritto all’autodeterminazione  nella sua patria storica”.

A questo punto come si può criticare il centralinista dei servizi di emergenza di Bruxelles che, ad un israeliano che chiedeva quali procedure seguire per portare in patria la salma di un ebreo ucciso negli attentati del 22 marzo, ha risposto (insistendo) che Israele non esiste e può riportare la salma nell’unico stato esistente, che è la Palestina?

Europa, Islam, Israele: il caos per distrarci

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