Editoriali

La Corte dell’Aia di Hamas

La decisione della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, protesi dell’ONU, di ordinare a Israele di non proseguire l’offensiva a Rafah, segue di pochi giorni la decisione del Tribunale dell’Aia di chiedere che vengano spiccati ordini di arresto per crimini di guerra nei confronti di Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant.

Si tratta dell’ennesimo capitolo della aggressiva guerra legale scatenata contro lo Stato ebraico dopo il 7 ottobre e il cui primo capitolo si è avuto con l’accusa di genocidio che il Sud Africa ha presentato a marzo davanti alla medesima corte.

Hamas può vincere la guerra a Gaza in un solo modo, facendo sì che Israele sia obbligato a interrompere le operazioni militari in corso. A questo fine è necessario che l’offensiva su larga scala a Rafah, dove si trovano i restanti battaglioni di Hamas, non abbia seguito.

Per ottenere questo scopo, Hamas ha potuto e può fare leva su Stati complici come il Sud Africa, ma anche su tutte quelle istituzioni internazionali, a partire dall’ONU, dove la pregiudiziale anti-israeliana è fortemente e visceralmente radicata, e che di fatto deliberano subordinando la legge e la giustizia a un preciso disegno politico.

Non solo. Hamas può contare su una parte di opinione pubblica fortemente ostile a Israele, condizionata da decenni di propaganda, per la quale lo Stato ebraico sarebbe una entità malefica che ha oppresso e opprime gli arabi palestinesi, privandoli di un loro Stato e costringendoli alla resistenza armata.

La sentenza della Corte dell’Aia non giunge dunque inaspettata. Si inserisce ad hoc in questo contesto mefitico costruito su una catena di menzogne. Israele, inevitabilmente, non la rispetterà, non può farlo. Lasciare Hamas a Rafah, non proseguire fino all’ultimo le operazioni militari atte a terminare la minaccia che rappresenta per la sicurezza dello Stato, significa perdere la guerra e consegnare ai macellai e agli aguzzini del 7 ottobre la vittoria.

Una sentenza come quella della corte, istigata da uno Stato fallito e tra i più corrotti al mondo come è il Sud Africa, non solo ci mostra senza appello la bancarotta morale di questo tribunale, ma la necessità assoluta che Israele, a Rafah, vada fino in fondo.

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