Stati Uniti e Israele

La crepa che si allarga

La risoluzione passata ieri al Consiglio di Sicurezza dell’ONU con l’astensione americana, la quale chiede il cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi ancora detenuti nella Striscia è un capolavoro di equilibrismo e ipocrisia. Il cessate il fuoco non è subordinato al rilascio degli ostaggi, viene invocato a se stante, in modo da spezzare il vincolo causale che lega i due fatti tra di loro.

Hamas è già andata all’incasso, dichiarando che la liberazione degli ostaggi potrà avvenire solo a condizione che il cessate il fuoco a Gaza sia definitivo.

Israele ha reagito in modo duro, sottolineando come gli Stati Uniti siano venuti meno al loro appoggio in uno dei momenti più difficili che il paese sta affrontando dalla sua fondazione, con una guerra ancora in corso e un numero elevato di ostaggi prigionieri. A evidenziare ulteriormente il disappunto, la delegazione israeliana che sarebbe dovuta partire per Washington ieri sera su esplicito invito di Joe Biden al fine di ascoltare la proposta americana su come come colpire Hamas a Rafah senza che Israele lanci la annunciata operazione di terra, è stata stoppata da Benjamin Netanyahu.

Da parte americana ci si è affrettati a dichiarare che la risoluzione non è vincolante e che Israele potrà continuare comunque a perseguire il suo obiettivo a Gaza.

Effettivamente la risoluzione dell’ONU non avrà alcun impatto sulla guerra, il punto non è questo, ma è quello che ormai è chiaro a tutti, mentre continua a fornire ausilio militare a Israele, l’Amministrazione Biden deve rispondere al proprio elettorato a casa e allo scontento crescente di una parte del partito democratico. Dunque si tratta di dare un colpo al cerchio e uno alla botte per non prendere decisioni estreme. Per Joe Biden interrompere la fornitura di armi a Israele mentre continua a farlo nei confronti dell’Ucraina avrebbe un contraccolpo politico ingente. Da una parte accontenterebbe l’ala più estremista del suo partito e l’elettorato islamico ma dall’altra fornirebbe al partito repubblicano e a Donald Trump, che su Israele ha iniziato ad andare all’attacco, un’arma formidabile per colpirlo, ma non gli gioverebbe neanche presso l’opinione pubblica americana in generale a maggioranza a sostegno di Israele.

A Biden tocca quindi barcamenarsi. Non può abbandonare Israele ma deve gestire le esigenze imposte dalla politica interna americana e in più deve promuovere una agenda in linea di continuità con quella degli Stati Uniti (unica eccezione l’Amministrazione Trump) degli ultimi trent’anni, che vede nella nascita di uno Stato palestinese unificato tra Gaza e la Cisgiordania la soluzione di un conflitto che dura dal 1948 ad oggi, nonostante la storia e i fatti evidenzino che il suo nucleo è molto più profondo e radicale di una disputa territoriale http://www.linformale.eu/antisemitismo-la-radice-del-problema-intervista-a-matthias-kuntzel/.

La collisione tra Stati Uniti e Israele, di cui ci sono stati molti prodromi, è ormai un dato di fatto, e la risoluzione ONU di ieri la certifica, ma non siamo ancora all’acme, quello arriverà quando, finalmente l’esercito israeliano entrerà a Rafah per chiudere la partita con Hamas.

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