Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

Apocalisse antisionista

Dal nefasto pogrom del 7 ottobre 2023, le correnti dell’islamo-sinistra delle società occidentali sono state le più virulente accusatrici dello Stato d’Israele, che si è visto ossessivamente imputato di «apartheid» e «genocidio» a danno degli arabo-palestinesi. Per l’estrema sinistra, la «causa palestinese» svolge il ruolo di nuova «causa popolare», mentre i «sionisti» vengono demonizzati come nuovi «nazisti» e oscuri «padroni della finanza internazionale». 

Considerazioni che trovano riscontro e si saldano con la visione apocalittico-islamista della «battaglia finale» contro gli ebrei, che si suppone incarnino il nemico assoluto, ossia il Male, e che conferisce una dimensione religiosa alla lotta contro Israele e al «sionismo mondiale». La guerra contro gli ebrei diventa, ancora una volta, come ai tempi del nazismo, la via maestra per la redenzione del mondo.

Come dimostra il documento di propaganda diffuso da Hamas alla fine del gennaio 2024 con lo scopo di giustificare l’attacco criminale del 7 ottobre, l’organizzazione islamista impiega il linguaggio della neosinistra occidentale per meglio sedurla e mobilitarla. La «wokizzazione» dell’islamismo rappresenta l’ultimo atto della grande convergenza tra Islam e sinistra radicale.  

I temi della propaganda palestinese si sono congiunti al discorso anticolonialista e terzomondista dell’estrema sinistra, ampiamente interiorizzato dalle università, producendo una rappresentazione falsa del sionismo, presentato come un movimento «colonialista» e «razzista», a cui fa da corollario la vittimizzazione perenne della «Palestina». 

Gli antisionisti radicali dell’Occidente condividono con gli jihadisti l’idea che l’eliminazione di Israele sia un «atto redentivo». Una fantasia di salvezza capace di suscitare un fervore quasi religioso nei militanti anti-israeliani. 

Secondo costoro, infatti, la distruzione d’Israele determinerebbe non solo la fine del presunto «apartheid» a danno dei palestinesi, ma anche quella della «lobby sionista», ritenuta un tentacolare e inafferrabile potere globale responsabile di guerre e povertà. Da qui la diffusione, negli ambienti dell’estrema sinistra, dello slogan jihadista «dal fiume al mare», cioè dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, ossia il territorio dello Stato d’Israele, che vorrebbero «purificare» dalla presenza ebraica. 

L’articolo 28 della Carta di Hamas recita: «Israele, poiché è ebraico e ha una popolazione ebraica, sfida l’Islam e i musulmani». Una formula che, di fatto, sottoscrivono tutti gli «altermondialisti» e antisionisti occidentali, che associano inopinatamente l’ebraismo con «l’imperialismo americano» e il suprematismo bianco. Si tratta della totale «jihadizzazione» della sinistra. 

Eredi del materialismo storico, i progressisti ritengono che il fondamentalismo religioso di gruppi come Hamas ed Hezbollah sia solamente una risposta scomposta e confusa all’«oppressione» politico-economica esercitata da Israele e dagli Stati Uniti. Una visione che rifiuta di riconoscere il carattere teologico-politico dell’Islam, che si propone come modello sociale definitivo e perfetto per l’umanità da imporsi mediante il jihad, ritenuto un dovere religioso e una forma di autodeterminazione. Il terrorismo e l’odio antiebraico hanno radici dentro l’Islam e non fuori di esso.

Il fatto che i fondamentalisti di Hamas o gli ayatollah iraniani si pongano come obiettivo l’imposizione violenta di un califfato mondiale «bonificato» dall’ebraismo, per costoro è, semplicemente, inconcepibile. Rimuovere dalla scena l’elemento dottrinale della religione islamica, sia nella sua variante sunnita che sciita, favorisce la cooperazione ideologica della sinistra radicale con lo jihadismo. Un’alleanza che tutte le persone ragionevoli sono chiamate a denunciare e contrastare.  

 

 

Torna Su