Israele e Medio Oriente

La frode islamica su Gerusalemme: Geologia della menzogna

Le menzogne condividono con la geologia lo stesso processo di stratificazione. Su una antica fola altre si sviluppano fino a formare veri e propri giacimenti di cui si possono identificare i più antichi, gli intermedi, i più recenti. Prendiamo la grande affabulazione islamica su Gerusalemme diventata terzo sito santo dell’Islam, esempio clamoroso di una falsificazione imponente e perdurante, oggi si direbbe un esempio flagrante di “fake news”.

Sono recenti le risoluzioni Unesco le quali, in ossequio a precisi diktat musulmani hanno riconfigurato la toponimia del Monte del Tempio e del Muro del Pianto per consegnarli interamente alla Din al Haqq (la vera religione) sottraendoli alle loro millenarie radici ebraiche. Si tratta di proseguire con l’inganno, di rinforzarlo e renderlo perenne. Una cosa tra le tante che l’Islam non tollera è più insopportabile di altre, ed è che chi fu un dhimmi (gli ebrei e i cristiani) sotto protettorato maomettano, oggi abbia autonomia e addirittura uno stato suo proprio là dove per lungo tempo i colonizzatori arabi avevano imposto il loro imperio. Un’altra cosa intollerabile è che l’ebraismo, nei luoghi del suo sorgere e del suo svilupparsi nell’arco di tremila anni, rivendichi una inevitabile primogenitura cronologica rispetto a quella che sarebbe la religione primordiale di tutta l’umanità, l’Islam.

Gerusalemme è per motivi storici incontestabilmente fondati e tradizione plurimillenaria città a cui gli ebrei sono sempre stati inestricabilmente legati (il nome della città santa appare 669 volte nella Bibbia ebraica). Non i musulmani, mancando ogni riferimento ad essa nel Corano. Dopo la Mecca e Medina essa è però diventata loro terza città santa. Vediamo come si confezionò la frode.

Una definizione trasformata in edificio

“Al Aqsa”, il nome della moschea venerata dall’Islam che sorge a Gerusalemme sul sito del Monte del Tempio o Spianata delle Moschee, ha un preciso significato, significa “la moschea più lontana“ (al-Masjid-al-Aqsa). Essa è nominata una volta sola nel Corano ed era una delle due moschee che si trovavano a Ji’rrana, un villaggio localizzato tra la Mecca e Taaf nella penisola arabica (l’odierna Arabia Saudita). Nel testo è distinta da un’altra moschea definita al-Masjid-al-Adna (la moschea più vicina). La sura 17:1 relativa al viaggio notturno di Maometto, il quale sarebbe stato trasferito sul Buraq dalla sacra moschea della Mecca alla “moschea più lontana” si riferisce alla moschea di Ji’rrana.

Nessun altro edificio poteva essere indicato non esistendo ancora a Gerusalemme una moschea che portava questo nome. Verrà infatti costruita solo nel 715 sotto il califfato degli Omayyadi. Tutto ciò non deve affatto sorprendere, essendo infatti parte costitutiva del congegno affabulatorio musulmano, per il quale la storia è solo materia per un puzzle privo di consequenzialità causale da comporre e ricomporre secondo ben precise necessità ideologiche. Così come Abramo e tutta la genia dei profeti a lui seguiti fino a Gesù sono musulmani, così come Aronne è stato trasformato nel fratello di Maria di Nazareth, una definizione trasformata in edificio proietta retrospettivamente nel passato, come in una fictiones borgesiana, questa realtà fisica per inserirla in quanto fatto concreto nella vita di Maometto.

Ecco dunque la prima falda della successiva stratificazione. Già Muhammad ibn al-Hanafiya (638-700) imparentato con il Profeta, si faceva gioco della nozione che Maometto avesse mai messo piede sulla rocca di Gerusalemme, dove sorgono oggi le due moschee della Roccia e di Al Aqsa. Come ha scritto Daniel Pipes in un suo articolo del 2001, The Muslim claim to Jerusalem:

“Gli studiosi sono concordi sul fatto che la decisione degli Omayyadi nell’affermare una presenza musulmana nella città sacra ebbe una motivazione rigorosamente pragmatica. Lo storico iracheno, Abdul Aziz Duri rinviene ‘motivazioni politiche’ dietro le loro azioni. Hasson concorda:

‘La costruzione della Cupola della Roccia e della moschea di al-Aqsa, i riti istituiti dagli Omayyadi sul Monte del Tempio e la disseminazione di tradizioni di orientamento islamico relative alla santità del sito, tutto ciò indica le ragioni politiche sottostanti alla glorificazione di Gerusalemme tra i musulmani’.

Gli Omayyadi, che governavano all’epoca Damasco decisero di conferire a Gerusalemme uno status che non possedeva e che doveva servire principalmente a esaltare la dinastia e a rafforzare l’autorevolezza dell’Islam in una città con una tradizione santa già consolidata sia per gli ebrei che per i cristiani. A questo scopo fecero costruire la Moschea della Rocca sul luogo santo dove sorgeva il Tempio di Salomone e in seguito, per suggellare in modo inequivocabile la loro autorità e autorevolezza, fecero costruire un secondo santuario chiamato “la moschea più lontana”, Al Aqsa appunto.

Estensione del dominio colonizzante

La seconda falda è più recente. Ha iniziato a formarsi dopo la Guerra dei Sei Giorni, inevitabilmente. Israele nei desiderata arabi avrebbe dovuto essere annientato, non avrebbe dunque costituito alcun problema per gli stati vincitori costruire sulle sue rovine ebraiche la propria storia alternativa. Purtroppo per loro non andò come si auspicavano. Invece di vincere persero, ma mai come in questo caso ne incolse ai vincitori.

All’epoca il capo rabbino di Haifa e con lui altri rabbini si pronunciarono a favore della costruzione di una sinagoga sul Monte del Tempio, dopotutto la moschea di Al Aqsa si trovava all’angolo sud del comprensorio e la convivenza sarebbe stata possibile. Ma non fu così, perché come d’incanto gli arabi affermarono che il nome Al Aqsa non si riferiva alla sola costruzione della moschea ma all’intero comprensorio.

Come all’epoca della dinastia degli Omayyadi si confezionò da una citazione del Corano una realtà fisica, nel 1967 si provvide ad affermare che questa definizione non apparteneva solo all’edificio singolo che da essa prendeva il proprio nome, ma era estesa a ogni centimetro del suolo sul quale sorgeva. E pensare che ancora nel 1925, in una breve guida al Haram al Sharif (“il luogo santo e nobile”), curata niente di meno che da Amin al Husseini, il Mufti filonazista di Gerusalemme, Al Aqsa viene identificata unicamente con la moschea.

La sola idea che dopo la liberazione di Gerusalemme dall’occupazione illegale giordana durata diciannove anni, e per la quale nessuno nella comunità internazionale si era mai strappato le vesti, gli ebrei potessero in qualche modo riacquistare preminenza sul luogo in cui la tradizione e l’archeologia hanno situato il Tempio di Salomone, non era tollerabile per i musulmani. Dunque venne messa in opera la fase successiva della frode.

Israele avallò la frode per calcolo politico. Garantendo agli arabi il controllo amministrativo del luogo, voleva evitare che si trasformasse nel fulcro simbolico del nazionalismo palestinese. Le conseguenze di questa scelta le vediamo tuttora, dopo 50 anni. L’impossibilità per gli ebrei di pregare sul luogo in cui sorgeva il Tempio di Salomone. Lì, essi sono ancora oggi, dhimmi.

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