Israele e Medio Oriente

La necessità di andare fino in fondo e il rischio cedimento

“Questa è una guerra che determinerà il futuro di Israele per i decenni a venire” ha dichiarato stamattina Yoav Gallant, ministro della Difesa.

Si tratta infatti di una guerra esistenziale non meno delle maggiori guerre combattute da Israele, non perché Israele rischi la distruzione per mano di Hamas, ma perché qualora l’obbiettivo dichiarato di smantellare la struttura militare di Hamas a Gaza, fallisse, il nemico principale dello Stato ebraico, l’Iran e il suo proxy libanese Hezbollah avrebbero la prova certificata della sua debolezza.

Se Hamas non venisse smantellato potrebbe vantare di avere sconfitto un esercito ben più potente del suo in virtù della sua capacità di resistenza. A quel punto si presenterebbe con una legittimità piena come la principale forza jihadista regionale e quella più titolata a rappresentare la “causa palestinese” relegando la già screditata Autorità Palestinese a una completa irrilevanza. L’Iran incasserebbe immediatamente il considerevole vantaggio

In questa prospettiva la proposta che sembra essere stata avanzata da Israele a Hamas di una pausa nei combattimenti prolungata per due mesi in cambio del rilascio di un altro numero di ostaggi tra quelli ancora detenuti nella Striscia insieme allo scambio di prigionieri palestinesi, si palesa come un cedimento che avrebbe gravi ripercussioni sul raggiungimento dell’obiettivo militare prefissato.

Lo stesso Gallant ha più volte affermato che solo la costante pressione militare può indurre Hamas a cedere gli ostaggi. Avanzare questa proposta quando il grosso della milizia jihadista è ancora intatto a sud e il raggiungimento dell’obbiettivo militare è lontano dall’essere raggiunto può solo essere un vantaggio per Hamas.

Un cessate il fuoco lungo due mesi renderebbe la ripresa dei combattimenti problematica indebolendo inevitabilmente la determinazione di sconfiggere il nemico e conducendo Israele al fallimento dell’operazione militare.

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