Israel and the Middle East

La politica estera come presunzione di superiorità morale | di Bruce Thornton

L’uccisione a Istanbul di Jamal Khashoggi, columnist e infiltrato del regime saudita, continua a dominare i notiziari, mentre il presidente e il Congresso riflettono sulla propria risposta. Nonostante a quanto accaduto calzi a pennello il vecchio detto giornalistico “non fa notizia il cane che morde l’uomo” – poiché gli autocrati e i tiranni di tutto il mondo eliminano regolarmente i nemici politici senza che l’Occidente esprima il proprio grande sdegno – i nostri media e politici hanno ampiamente mostrato una presunzione di superiorità morale, lanciando tonanti accuse e proponendo varie punizioni nei confronti dell’erede al trono saudita Mohammed bin Salman.

Ancora una volta, il becero idealismo e l’ipocrisia moralista dell’Occidente illustrano i pericoli che provengono da una politica estera basata sull’illusione piuttosto che sulla tragica realtà della natura e della condotta umana.

Gran parte di questo sdegno deriva dal fatto che Khashoggi fosse un editorialista del Washington Post e in possesso di una green card. Ignorando la distinzione esistente fra i giornalisti che dovrebbero riportare i fatti e un columnist che esprime le proprie opinioni, i media progressisti e conservatori hanno trasformato Jamal Khashoggi in un martire del Quarto Potere, in un intrepido ricercatore di fatti  e in un cane da guardia del bene comune.

Solo pochi commentatori hanno parlato della reale natura delle “analisi” di Khashoggi, il quale era un addetto stampa islamista di Osama bin Laden e dei Fratelli Musulmani, la nave appoggio del jihadismo moderno e un critico nei confronti del regime saudita, non a causa delle sue violazioni dei diritti umani, ma della guerra mossa da Mohammed bin Salman contro le forze jihadiste che combattono in Yemen con l’appoggio di Teheran, della sua ostilità verso i Fratelli Musulmani, della sua rottura con il Qatar per l’appoggio offerto a Hamas e a Hezbollah e del suo desiderio di avere legami più stretti con gli Stati Uniti.  Sì, Khashoggi era un “dissidente”, ma che si opponeva alle politiche riformiste del regime saudita in linea con gli interessi statunitensi, e che corteggiava i creduloni occidentali con le lusinghe della “riforma” degli islamisti.

L’elevazione mediatica di Khashoggi, ovviamente, serve al programma anti-Trump dei mezzi d’informazione, sempre a caccia di qualsiasi cosa che possa essere rivolta contro il presidente. Avendo ridicolizzato Trump mostrandolo come un autocrate in fieri, con un debole per altri autocrati, i media hanno enfatizzato l’uccisione del giornalista e le indagini delle sue circostanze, fustigando il presidente e analizzando ogni sua parola per ravvisare segnali di indulgenza verso il comportamento di Mohammed bin Salman o sostenendo l’esistenza di complotti oscuri in merito alle “liste nere” stilate dalla Casa Bianca.

L’altro obiettivo dei media, e anche dei promotori della democrazia di entrambi i partiti, è quello di ravvivare le vecchie panzane dei “musulmani moderati” e della “religione di pace”, l’idea anti-empirica che i jihadisti siano degli “eretici” e dei mentecatti che hanno “dirottato” l’Islam per i loro nefandi fini. Jamal Kashoggi era considerato come uno di questi “riformatori” necessari per eliminare i delinquenti e i despoti mediorientali i cui regimi corrotti stanno spingendo i normali musulmani nelle braccia dei jihadisti. Ecco perché il Post ha attaccato FrontPage e altri siti conservatori, per aver pubblicato la scomoda verità che il Post aveva offerto un pulpito a un islamista per perseguire i suoi scopi, a prescindere da quanto siano contrari agli interessi degli Stati Uniti e a quelli di uno dei suoi fondamentali alleati regionali.

Tuttavia, anche i politici repubblicani sono diventati isterici in merito all’idea di punire l’Arabia Saudita, non importa quanto tali azioni siano dannose per la politica estera americana. Il membro del Congresso Peter King ha affermato che l’Arabia Saudita è “il governo più immorale con cui abbiamo dovuto fare i conti”, una sorta di iperbole facile da disintegrare con una serie di tiranni e oppressori ben peggiori, a partire da Iosif Stalin e Mao, i due peggiori omicidi di massa della storia, che “abbiamo conosciuto”. Lo stesso dicasi per altri deputati che invocano sanzioni e la cancellazione delle vendite di armi. O sono idealisti terminali, ignoranti in politica estera, o esibizionisti morali.

Ma la cosa più preoccupante è il modo in cui la reazione all’omicidio di Kashoggi riflette l’opinione comune e i dogmi fossilizzati dell’internazionalismo moralista, la vecchia idea wilsoniana che il potere americano debba essere utilizzato per affermare i nostri “valori” e trasformare il resto del mondo in cloni occidentali. Assecondiamo questa chimera da un secolo e i suoi risultati sono penosi. Si basa un fallimento fondamentale dell’immaginazione, sull’incapacità di vedere chiaramente le profonde differenze che contraddistinguono le persone di tutto il mondo e motivano le loro azioni. In tal modo, presumiamo che, se tutti gli esseri umani sono in grado di abbracciare la democrazia liberale e il suo carico di diritti umani, uguaglianza e libertà politica, ne deriva che tutti i popoli vogliono quei beni e ricompense più di ogni altra cosa.

Ma queste differenze sono ostinate e cruente nel Medio Oriente musulmano. Dalla prima guerra del Golfo alla Primavera araba, fino ai nostri continui interventi nella regione, non siamo riusciti a capire che la democrazia liberale occidentale e il suo carico di diritti naturali, libertà politica, uguaglianza delle donne e tolleranza per le pratiche religiose sono estranei all’Islam tradizionale. Peggio ancora, sono considerati da milioni di fedeli musulmani come armi offensive contro l’umma, la comunità islamica mondiale, e come copertura per la miscredenza e l’edonismo – “occidentossicazione”, come dicono gli iraniani, la corruzione della fede da parte del suo più antico nemico e rivale.

Non sorprende, quindi, che negli ultimi due decenni abbiamo speso circa due trilioni di dollari e sacrificato migliaia di vite umane nel tentativo di imporre la democrazia liberale al Medio Oriente musulmano, e abbiamo fallito. L’Isis e la carneficina in Siria sono una conseguenza di tali sforzi, così come la presenza dell’Iran e della Russia in una regione nella quale un tempo avevamo il dominio. Ma nonostante questo fallimento continuiamo a predicare i nostri ideali al resto del mondo, usando bromuri diplomatici per compensare la futilità dei nostri sforzi. L’attuale ondata di ammonimenti  nei confronti di Mohammed bin Salman riflette la nostra abitudine di fare predicozzi al resto del mondo su un comportamento ritenuto normale o non eccezionale in altre nazioni, indipendentemente da quanto ciò offenda le nostre convinzioni.

Ad esempio, è ovvio che al di fuori del ricco Occidente la violenza è un tradizionale  strumento di potere politico. Ecco perché l’omicidio di Khashoggi ne è un tipico esempio, a prescindere dalla sua incredibile goffaggine. Ed è stato commesso in Turchia, governata da un regime islamista illiberale che incarcera regolarmente i giornalisti e uccide i dissidenti. Eppure, Erdogan ha suscitato una frazione dello sdegno che sta attualmente subissando Mohammed bin Salman. Forse quegli sfortunati giornalisti turchi non erano in possesso di una green card e non lavoravano per il Post, e quindi non risultavano sul nostro radar morale? Data la portata della violenza inflitta ai dissidenti e ai giornalisti in tutto il mondo, per non parlare poi delle uccisioni e dei danni fisici inflitti ai cristiani, ci si chiede cosa renda questa particolare morte così meritevole di condanna.

Questo sdegno selettivo è sconveniente e ipocrita, e non passa inosservato al mondo. Molti si chiedono, ad esempio, perché Saddam Hussein meritasse di essere cacciato dal potere e perché il suo paese sia stato occupato, quando non abbiamo fatto nulla in merito al genocidio in Sudan o Ruanda, e continuiamo a fare molto poco riguardo ai nigeriani cristiani e ai siriani che vengono uccisi e ridotti in schiavitù, anche se ci lagniamo per quanto accaduto a un apologeta islamista del terrorismo. Oppure si chiedono perché Muammar Gheddafi sia stato rovesciato grazie a una operazione della NATO basata su qualche spacconata retorica, mentre Assad di Siria ha massacrato mezzo milione di persone, subendo pochi attacchi aerei. O ancora perché l’Iran, considerato da quarant’anni nemico insanguinato degli Stati Uniti, oltre a essere una brutale teocrazia e il principale sponsor del terrorismo in tutto il mondo, non abbia suscitato gli stessi livelli di indignazione di quelli destati contro Mohammed bin Salman, quando Barack Obama stava facilitando l’acquisizione di armi nucleari da parte del regime, anche se il sangue non si era ancora seccato sulle mani dei mullah.

Conosciamo la risposta. A causa di tutta la nostra promozione della democrazia e dell’internazionalismo moralizzatore, non abbiamo altra scelta che ispirare la nostra politica estera ai nostri interessi e alla sicurezza nazionale. Ciò significa che dobbiamo scegliere dove usare il nostro potere, non importa quanto macabro sia il bilancio del massacro che dobbiamo costeggiare Né, come alcuni sostengono, è nel nostro interesse ricostruire e trasformare una cultura religiosa tradizionale di quattordici secoli, fiera della sua tormentata storia di conquiste e occupazione. Era facile andare a ricostruire e democratizzare l’Europa dopo la Seconda guerra mondiale, quando era un cumulo di macerie. L’Europa aveva ancora le infrastrutture civilizzazionali di Atene, Roma e Gerusalemme con cui lavorare.

Ma ciò asseconda una pericolosa illusione di intervenire nei paesi musulmani la cui fede è nemica dell’Occidente, e che non tollera alcun adattamento agli infedeli, se non la sottomissione ad Allah; e di cercare di costruire la democrazia combattendo al contempo un feroce nemico jihadista che disprezza le nostre regole di ingaggio e le convenzioni che difendono i non combattenti. Come mostra quanto accaduto a Jamal Khashoggi, forse siamo diventati cinici riguardo ai nostri “valori” dichiarati, visto che non siamo riusciti a ricrearli all’estero. Forse è per questo che sostituiamo la furia morale e indulgiamo in una sfacciata ipocrisia su chi merita il nostro sdegno e chi può essere ignorato.

Ma la politica estera dipende da un serio e razionale calcolo dei nostri interessi. Proprio ora, l’Arabia Saudita persegue quegli interessi contro l’Iran e il suo agente jihadista, e in appoggio al nostro fondamentale alleato Israele. Questi interessi sono più importanti dei vuoti e ipocriti proclami dei nostri “valori” o della punizione di un alleato perché, come la maggior parte degli alleati nella nostra storia, questo alleato governa secondo le tradizioni della propria cultura, non importa quanto esse siano ripugnanti o contrarie ai nostri principi e alle nostre convinzioni. Finché non riusciremo a conquistare e a rifare il mondo a nostra immagine, non abbiamo altra scelta che prendere il mondo com’è e non come vorremmo che fosse.

Traduzione di Angelita La Spada

Qui l’articolo originale in lingua inglese

 

 

 

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