Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

La Risoluzione 2334. Israele come bersaglio

L’imboscata fatta dall’Amministrazione Obama a Israele è l’ultimo atto di una lunga ostilità. La nuova scandalosa risoluzione, un regalo all’Autorità Palestinese dopo la risoluzione Unesco del 13 ottobre, certifica, tra le altre cose, che il quartiere ebraico di Gerusalemme e il Muro del Pianto sono territorio occupato. Basterebbe questo obbrobrio per rigettarne in blocco e con fermezza l’intero impianto. Quando si afferma che la presenza degli ebrei in un quartiere dove hanno dimorato per più di mille anni è abusiva, ed è abusiva anche là dove vi è il luogo più sacro dell’ebraismo, cosa c’è ancora da aggiungere?

D’altronde una cosa va subito detta. Trattasi di premessa fondamentale. Fin dagli anni ’60, L’ONU, sotto l’influenza compatta dell’allora blocco arabo-sovietico con l’aggiunta del NAM (gli stati non allineati) e della quarantina di stati africani tra cui pescare con successo adesioni alla comune causa antisionista, si è trasformato progressivamente in un potente (per risonanza mediatica) tribunale il cui più assiduo e principale accusato è stato persistentemente Israele. E se Daniel Patrick Moynihan, divenuto ambasciatore degli Stati Uniti all’ONU negli anni ‘80 avrebbe scritto nelle sue memorie del proprio stupore nell’appurare che lo Stato ebraico “fosse il fulcro della vita politica delle Nazioni Unite”, non c’è poi da stupirsi se questo fulcro sia stato mantenuto fisso negli anni, anche dopo la scomparsa dell’antisionismo di matrice sovietica. In scena, infatti, nonostante il venire meno di uno degli agenti principali e più virulenti della propaganda antiisraeliana insieme all’ampia compagine di stati arabi, è rimasto intatto e si è ulteriormente incrementato un apparato che continua a funzionare a pieno ritmo.

La risoluzione 2334 approvata venerdì dal Consiglio di Sicurezza, e che gli Stati Uniti hanno vergognosamente avallato è, sotto questo aspetto, solo una di una lunga serie. Di fatto mette nuovamente Israele con le spalle al muro e lo fa, da parte americana, nel corso delle ultime tre settimane di una Amministrazione uscente la quale non avendo più nulla da perdere, invece di muoversi con cautela e tatto, agisce in modo vile e spregiudicato.

Barack Obama ha fatto degli insediamenti nella West Bank la sua personale ossessione relativamente al conflitto più lungo del dopoguerra. La scelta americana di non porre il veto al Consiglio di Sicurezza è l’ultimo tassello in ordine di tempo di una lunga e fallimentare strategia politica mediorientale, iniziata nel 2009 con il celebre discorso tenuto al Cairo, in cui il neoeletto presidente americano dichiarava già la necessità di un congelamento degli insediamenti come prerequisito per la pace. Da allora la questione è diventato un vero e proprio feticcio ideologico fondato sulla irrealistica convinzione che il loro congelamento totale sia il prerequisito necessario a una negoziazione che possa produrre quella pace che non è mai arrivata. Che ciò sia palesemente falso lo dimostrano tutti i tentativi di negoziazione precedenti, come ha recentemente ricordato in un lungo articolo su Middle East Forum, Steven J. Rosen. Rosen sottolinea come Mahmoud Abbas abbia partecipato a diciotto anni di negoziazioni con sette diversi governi israeliani senza che il congelamento degli insediamenti fosse stato mai richiesto come precondizione necessaria al loro avvio. Il fallimento di tutte queste negoziazioni non dipese mai dalla questione degli insediamenti ma dalla indisponibilità palestinese ad accettare le proposte avanzate da Israele, fino alla più vantaggiosa di tutte, il “pacchetto” Olmert del 2008, quando l’allora Primo Ministro israeliano offrì alla controparte un ritiro pressoché completo dalla West Bank consentendo a Israele di tenersi il 6.3 % dei territori, da compensarsi con un 5.8 % di terreni israeliani. A questa offerta, venne aggiunto il ritiro israeliano dai quartieri arabi di Gerusalemme Est e la disponibilità a cedere il controllo della Città Vecchia a una apposita autorità internazionale.

La Risoluzione 2334 mina alle fondamenta ogni possibilità di pace, radicalizzando la questione su un aspetto del tutto secondario rispetto a quello fondamentale, il principale ostacolo a ogni tentativo di pace, precedente la guerra di Indipendenza del 1948 ad oggi, la ferma indisponibilità araba a riconoscere la legittimità dello Stato ebraico, il suo diritto all’esistenza. Non vi sono altre precondizioni necessarie a una negoziazione autentica se non questa, che Israele ha sempre avanzato e non ha mai ottenuto. Senza di essa tutto il resto è vacillante.

Con la sua scelta, Barack Obama conferma ulteriormente la profonda cecità politica che ha caratterizzato nelle sue strategie mediorientali la sua Amministrazione. Essa ha operato attivamente per disarticolare la principale alleanza americana nella regione portando acqua alle “ragioni” del terrorismo palestinese, a cui, l’ultima risoluzione ONU, offre su un piatto d’argento rinnovati e perenni alibi.

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