Unione Europea e Israele

La UE e la sua ossessione anti israeliana

Dalla firma degli Accordi di Oslo del 1993-95, la politica della UE nei confronti di Israele è andata progressivamente assestandosi su posizioni apertamente e pregiudizialmente anti-israeliane.

E’ cronaca di questi giorni l’ultimo capitolo – per ora – di questa agenda politica radicalmente ostile. Si tratta dell’incontro previsto venerdì prossimo tra i rappresentanti della politica estera europea per decidere se applicare sanzioni economiche ai danni di Israele, in merito alla questione della ventilata annessione dell’area C di Giudea e Samaria (Cisgiordania) da parte del neo governo israeliano. Questa linea di condotta è fortemente voluta  da Joseph Borrell, l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri, e dalla Francia.

Va evidenziato che il solo fatto di considerare la possibilità di prendere in considerazioni delle sanzioni economiche nei confronti di un paese considerato alleato è un fatto di per sé estremamente grave. L’idea stessa di minaccia di applicazione delle sanzioni economiche, non a un fatto compiuto, ma a quella che è, al momento, una proposta di annessione, non ha precedenti nella storia delle relazioni diplomatiche. Si tratta di un atto intimidatorio mai applicato neanche ai peggiori regimi, oltre che una palese ingerenza nella politica di una Stato sovrano.

La UE è, in teoria, uno dei garanti degli Accordi di Oslo, di conseguenza la sua posizione dovrebbe essere super partes, ma non lo è affatto. Il suo pregiudizio anti-israeliano si evidenzia plasticamente comparando la posizione europea nei casi delle dispute territoriali tra Marocco e Sahara Occidentale e Turchia e Cipro da un lato e quella tra Israele e Autorità Nazionale Palestinese dall’altro.

I casi di Marocco e Turchia

La UE non si è mai espressa con comunicati ufficiali in merito alle questioni ancora aperte dell’occupazione del Sahara Occidentale e di Cipro, compiute rispettivamente da Marocco e Turchia. L’unica presa di posizione è sempre stata che la questione deve essere risolta pacificamente tra le parti. Quindi non esiste alcuna posizione ufficiale UE su come devono essere sistemati i confini o se “i coloni” devono rimanere o essere allontanati. Dal punto di vista economico la UE mantiene tariffe doganali agevolate per i prodotti ittici di provenienza dall’area del Sahara Occidentale occupato dal Marocco senza distinguere se essi provengano dal Marocco o dal Sahara Occidentale. La stessa cosa è valida nel caso dei prodotti provenienti dalla Turchia senza distinguerli da quelli provenienti dalla parte di Cipro occupata. Nessuna norma del diritto internazionale prevede l’illegalità di attività economiche, commerciali o industriali nei territori contesi o occupati.

In conclusione, la UE non ha mai utilizzato lo strumento economico per esercitare pressione nei confronti del Marocco o della Turchia.

La politica UE nei confronti di Israele

La posizione odierna di Borrell e della Francia, è solo l’ultima di una lunga serie di azioni ostili verso Israele tramite cui la UE applica un palese doppio standard di cui riportiamo in sintesi le principali tappe degli ultimi 15 anni.

  • La politica di discriminazione dei prodotti israeliani, da parte della UE, è iniziata a partire dal 2005 ed è culminata con la risoluzione 2015/2685 del parlamento europeo del 10 settembre 2015, con la quale si decideva di “etichettare” tutte le merci israeliane prodotte in Giudea, Samaria e Golan.
  • Il passo successivo nella discriminazione dei prodotti israeliani si è avuto nel luglio 2013, quando la Commissione Europea ha pubblicato gli “Orientamenti sull’ammissibilità delle entità israeliane e relative attività nei territori occupati da Israele da giugno 1967 alle sovvenzioni, ai premi e agli strumenti finanziari dell’UE a partire dal 2014”. Qui la Commissione Europea ha superato se stessa, infatti, come specifica l’art. 2 del testo: “Per territori occupati da Israele da giugno 1967 si intendono le Alture del Golan, la Cisgiordania inclusa Gerusalemme est, e la Striscia di Gaza”. Per la Commissione Europea nel 2013 Israele occupava ancora Gaza, nonostante, dal 2005, avesse ritirato tutti i soldati, i civili e avesse passato tutte le competenze civili, amministrative e di sicurezza all’Autorità Nazionale Palestinese.
  • Sono molti e ben documentati i casi di come la UE stia finanziando la costruzione di interi insediamenti abusivi in Giudea e Samaria, specificatamente nell’Area C, sotto il totale controllo israeliano, in spregio agli accordi da lei stessa sottoscritti. Di fatto, la UE stà spendendo milioni di euro dei contribuenti europei per costruire interi villaggi arabi abusivi, senza sistema fognario e senza i minimi criteri igienico-sanitari, pur di alterare la situazione demografica dell’Area C, creando così una situazione di fatto sul terreno che si ripercuoterà sulle future trattative.
  • Ricatti per ottenere finanziamenti per la ricerca universitaria. Il programma europeo Horizon 2020 è rivolto a istituzioni e università che collaborano con analoghe istituzioni europee. Questo programma di ricerca e sviluppo sovranazionale è finanziato dalla UE (circa 80 miliardi di euro) e da altri paesi (tra cui Israele che contribuisce con circa 600 milioni di euro). Le linee guida del progetto sono state approvate nel luglio del 2013. A Israele è stato imposto che i finanziamenti UE non andassero ad “istituzioni o università che operano oltre i confini del ‘67”. Posizione fortemente voluta dall’allora Alto Rappresentante, Catherine Ashton, la quale nel 2013 era a capo della diplomazia europea. Nessuna richiesta di questo tipo è mai stata mai avanzata nei confonti di alcuna istituzione universitaria di nessun paese coinvolto in dispute territoriali.
  • La UE finanzia testi scolastici chiaramente antisemiti pubblicati dalla ANP e cosa ancora più grave finanzia ONG collegate direttamente a gruppi terroristici (dichiarati tali anche dalla UE stessa). Questo è reso possibile da un escamotage dichiarato dallo stesso rappresentate UE a Gerusalemme, Sven Kühn von Burgsdorff, in una lettera indirizzata a una ONG palestinese il 30 marzo 2020: non si finanzia direttamente le ONG ma i singoli individui affiliati alle ONG stesse che così non sono tenuti a rendicontare come sono utilizzati i fondi percepiti dalla UE. La UE per sua stessa ammissione finanzia il terrorismo.
  • Presa di posizione politica sul processo di pace. Come accennato in precedenza la UE è uno dei garanti degli Accordi di Oslo, quindi dovrebbe mantenere una posizione di equidistanza tra le due parti, ma in concreto non è così. Con il suo documento ufficiale “Il ruolo della UE nel processo di pace in Medio Oriente” del 10 settembre 2015, il parlamento europeo ha già deciso come devono finire le trattative: “Due Stati indipendenti sulla base dei confini del ’67 (mai esistiti se non nei desideri di Federica Mogherini promotrice del documento) con Gerusalemme capitale dei due Stati, con eventuali scambi di territorio e con continuità territoriale del futuro Stato palestinese”. Va detto, a questo propsito che se per la UE lo Stato palestinese deve essere continuo quello israeliano non dovrà più esserlo. Anche qui si evince  chiaramente il doppio standard adoperato, in quanto esistono vari casi al mondo di Stati non contigui e la UE non ne mai ha imposto la continuità a danno di altri.

Giunti a questo punto delle relazioni tra Israele e UE, sarebbe auspicabile che il governo israeliano prendesse una decisa e netta posizione contro i continui ricatti e discriminazioni europee, costi quel che costi.

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