Israele e Medio Oriente

“La verità negata”, un film semplicemente indimenticabile

David Irving contro Deborah Lipstadt, lo scrittore negazionista contro la storica. Una polemica sfociata in un processo tra i più seguiti della storia. In ballo c’era qualcosa di più grande di una semplice causa di diffamazione: la legittimazione delle teorie negazioniste e quindi la negazione storica della verità dell’olocausto.
Tutto questo è raccontato nel film “La verità negata” che, come recita un desclaimer a inizio proiezione, si attiene totalmente alla realtà dei fatti. La pellicola quindi è interamente un documentario, un documento storico che non lascia spazio all’invenzione cinematografica. Lascia però spazio alla sceneggiatura maestosa e alle superbe interpretazioni degli attori Rachel Weisz, che interpreta Lipstadt, Timothy Spall, il negazionista Irving nel film, e soprattutto Tom Wilkinson, che giganteggia nella parte dell’avvocato Richard Rampton.
Il film racconta della causa intentata da Irving contro Lipstadt, accusata di averlo diffamato. Ma in Regno Unito la difesa corrisponde ad una sorta di accusa, per dimostrare la propria innocenza l’imputata è costretta a provare la colpevolezza dell’accusatore. Deborah Lipstadt e i suoi avvocati devono quindi dimostrare in tribunale che Irving è davvero un mistificatore, un falsificatore, un negazionista che agisce in virtù delle sue idee antisemite e razziste, frequentando anche ambienti neonazisti, proprio come asserito dalla storica.
Il processo, che si è svolto tra il 1996 e il 2000, ha vissuto momenti sofferti e drammatici, per tutte le parti in causa. Momenti ottimamente ricordati nel film. Deborah Lipstadt si trova costretta a dimostrare che l’orrore dell’olocausto è realmente accaduto, non solo per vincere la causa ma soprattutto per onorare la memoria dei morti e l’onore dei sopravvissuti. Una battaglia legale che le costerà dubbi e timori, ma da cui alla fine uscirà vincente anche grazie alla bravura e all’impegno dei suoi avvocati, che riescono a smantellare passo dopo passo le teorie contenute nei libri di Irving.
Tra sorti che sembrano ribaltarsi in continuazione, il processo prende una piega favorevole all’imputata quando l’avvocato Rampton riesce a smontare completamente la tesi di Irving secondo il quale le camere a gas di Auschwitz erano in realtà rifugi antibomba o stanze in cui venivano gasati corpi già cadaveri. Impossibile che fossero rifugi antibomba, a causa dell’eccessiva distanza (ben 4 km) dalle basi delle SS, assurdo che fossero stanze per gasare cadaveri destinati ad essere successivamente bruciati in un inceneritore, ancor più per il fatto che le camere erano sigillate con tanto di griglie protettive negli spioncini, e certo i cadaveri non avrebbero potuto né scappare né rompere vetri.
Dettagli macabri, anche crudeli, ma necessari da ripercorrere per rispettare la memoria negata dell’olocausto, ripercorrere e addirittura completare il lavoro degli storici per vincere una causa di vitale importanza, in mancanza delle testimonianze dei sopravvissuti. Nessuno dei reduci dei campi di sterminio ha potuto parlare al processo, per una scelta del collegio difensivo di Deborah Lipstadt che si è rivelata vincente, nonostante il parere contrario della stessa: secondo gli avvocati, i sopravvissuti che avessero testimoniato sarebbero stati vilipesi e insultati da Irving.
Il risultato finale ha premiato questa strategia: il giudice ha deciso in favore della difesa.
Irving, da quel giorno, è diventato ufficialmente un negazionista che falsifica la storia in nome dell’antisemitismo. E l’olocausto è stato riconosciuto in un’aula di tribunale. Crudele, ingiusto, ma necessario per mettere a tacere per sempre le teorie negazioniste.
Il film termina con la sentenza, la storia reale prosegue con l’arresto di David Irving in Austria nel 2005, per aver glorificato il nazismo. Resterà in carcere 400 giorni, in seguito ritratterà parzialmente le sue tesi. Deborah Lipstadt si è sempre dichiarata contraria al suo arresto.

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