Israele e Medio Oriente

L’ambiguo sceriffo russo in Medio Oriente

Una delle conseguenze più preoccupanti ed eclatanti della politica mediorientale voluta dall’Amministrazione Obama è quella di avere riportato la Russia in auge nella regione dopo sessantacinque anni. Come ha scritto Caroline Glick in un articolo pubblicato sul Jerusalem Post, “Fino a quando Barack Obama non è entrato alla Casa Bianca, ogni presidente americano da Franklin Roosvelt in poi ha ritenuto che fosse un interesse economico e strategico americano di primaria importanza limitare il potere russo in Medio Oriente. La ragione principale per cui gli Stati Uniti diedero inizio alla loro alleanza strategica con gli Stati Uniti dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967 era che nello sconfiggere clienti russi come l’Egitto e la Siria, Israele aveva dimostrato la sua importanza per la strategia americana della Guerra Fredda”.
La Guerra Fredda è finita ed è finita anche l’Unione Sovietica, ma quello che non è finito e anzi è ben presente è l’autocoscienza espansionistica della Russia putiniana, la quale è animata da una pulsione neo-imperiale e con l’alibi di difendere l’occidente dal pericolo rappresentato dall’ISIS si è confezionata un ruolo di attore di primo piano là, dove da decenni, non contava più nulla. Questo ruolo gli è stato servito su un piatto d’argento da Barack Obama, la cui gestione velleitaria e confusionale della guerra civile siriana ha evidenziato chiaramente una debolezza strutturale che Putin ha saputo cogliere al volo con la spregiudicatezza avventuristica che lo connota.
Una Russia forte in Medio Oriente e alleata con il principale nemico di Israele e fornitrice di sistemi difensivi ai suoi proxies terroristici come Hamas e Hezbollah (forniture ovviamente smentite) non può non destare preoccupazione. Ugo Volli, nella sua ultima Cartolina, su Informazione Corretta ha ricordato come “Iran, Siria e i loro agenti di Hezbollah dipendono dalla Russia non da ieri bensì dagli anni Ottanta. Israele è in grado di fronteggiarli, ma non può pensare di reggere a un conflitto con la Russia. In effetti, fin dagli anni Cinquanta, Israele ha potuto lottare da solo contro i suoi aggressori arabi e vincerli regolarmente, perché il loro burattinaio (l’Urss e poi la Russia) era bloccato dalla protezione americana, che ora non c’è più.”
La presenza russa in Siria fa parte di un disegno chiaro che ha come obbiettivo primario quello di un consolidamento a vantaggio dei propri interessi. Ma quali sono esattamente questi interessi? Coincidono, o confliggono con quelli che riguardano la sicurezza di Israele? promuovono davvero una maggiore stabilità mediorientale? Ne dubitiamo fortemente. Putin è un gambler funambolico addestrato alla menzogna e al doppio gioco. Non va dimenticato che la scuola del KGB da cui proviene è come una marcatura a fuoco, così come dobbiamo tenere presente che l’Iran, grazie allo sdoganamento voluto da Obama, è oggi in grado di riproporsi sulla scena mondiale come un paese affidabile, pur proseguendo nella sua azione destabilizzante in Iraq, Arabia Saudita e Yemen e continuando ad indicare negli Stati Uniti e in Israele i propri nemici principali. Per Obama questa è mera retorica di regime, e non può che essere considerata tale da chi scommette su un cambiamento radicale del regime sciita. E l’Iran è il principale alleato della Russia e il garante del dittatore siriano Assad. La politica neo-imperiale russa e quella neo-imperiale sciita sono così saldate in un’alleanza che lascia spazio a molte incognite. Siamo in presenza di un cambiamento epocale dei consolidamenti e degli assetti strategici nella regione più incendiaria del globo. La momentanea uscita di scena degli Stati Uniti come lord protettore di Israele e l’ingresso di Vladimir Putin come ambiguo e muscolare sceriffo invita alla massima cautela e sorveglianza.

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