Stati Uniti e Medio Oriente

L’epurazione di John Bolton

Il mese scorso è successo qualcosa di inaudito. Un consigliere per la Sicurezza Nazionale, l’ambasciatore John R. Bolton, è stato cacciato da una congrega di commentatori televisivi e di nemici suoi e del presidente Donald Trump. Forse per la prima volta, l’uscente consigliere ha sconfessato pubblicamente il presidente per la sua politica estera. L’autorevole avvocato americano Alan Dershowitz ha definito l’epurazione di Bolton una “catastrofe nazionale”.

Il mese scorso è successo qualcosa di inaudito. Un consigliere per la Sicurezza Nazionale, l’ambasciatore John R. Bolton, è stato cacciato da una congrega di commentatori televisivi e di nemici suoi e del presidente Donald Trump. Forse per la prima volta, l’uscente consigliere ha sconfessato pubblicamente il presidente per la sua politica estera. L’autorevole avvocato americano Alan Dershowitz ha definito l’epurazione di Bolton una “catastrofe nazionale”.

Il siluramento di Bolton ha gravi implicazioni per la sicurezza nazionale futura degli Stati Uniti. Complimenti a lui per aver sacrificato il suo incarico, essendosi reso conto che il presidente si muove nella direzione sbagliata. Il disagio di Bolton potrebbe essere stato causato dal fatto che non è stato più in grado di sopportare i cosiddetti “momenti di esitazione di Obama e di mancanza di determinazione”  avuti da Trump.

Pazienza strategica contro buon senso strategico

I “momenti di esitazione di Obama e di mancanza di determinazione” consistevano  nel “governare da dietro le quinte”, in quella che era sostanzialmente un’assenza di strategia. Le sue politiche “hanno prodotto soltanto Stati falliti, caos alimentato dall’islamismo, crescenti attacchi terroristici in Europa e debito catastrofico”. A questa lista si aggiunga una mancanza di determinazione e una tendenza a fare compromessi imperfetti e concessioni ai nemici stranieri. I collaboratori di Obama hanno coniato l’espressione “pazienza strategica” per designare questa dottrina.

Al contrario, all’inizio del 2017, sotto la guida del segretario alla Difesa James Mattis e del consigliere per la Sicurezza Nazionale H. R. McMaster, il presidente Trump ha iniziato il suo mandato con diversi “colpi”.

Innanzitutto, ha punito il dittatore siriano Bashar Assad con un  attacco riuscito contro una base aerea siriana per il suo presunto uso di armi chimiche sui propri civili. Questo raid ordinato da Trump ha avuto un enorme significato. Forse il più memorabile “momento di esitazione di Obama” è stata la marcia indietro fatta dall’ex presidente americano nel 2013 sull’uso delle armi chimiche. Ha richiamato i cacciatorpedinieri diretti verso le coste siriane e ha raggiunto un accordo con Vladimir Putin per rimuovere tutte le armi chimiche dalla Siria.

Dopo il raid aereo, Trump ha dato ordine di sganciare una bomba  MOAB (Massive Ordinance Air Blast, o “madre di tutte le bombe”) sui talebani in Afghanistan. A questa mossa decisiva ha fatto seguito l’invio di una poderosa  flotta militare vicino alla costa della Corea del Nord, insieme a una serie di provvedimenti contro il dittatore nordcoreano da parte dell’esercito e dell’aeronautica militare statunitensi, in aggiunta alla pressione retorica di Trump.

Un nuovo capitano governava la nave di Stato, e il suo team non rimandava i problemi alla maniera delle precedenti amministrazioni americane. La nuova squadra ha affrontato i problemi di petto, inviando un chiaro messaggio sulla necessità di impedire a un folle leader nordcoreano di sviluppare ulteriormente le sue armi nucleari e i sistemi di veicolazione, già in grado, come accaduto sull’isola di  Guam, di raggiungere le coste americane.

Segnando la fine della “pazienza strategica”, queste mosse sembravano far debuttare una nuova dottrina di Trump che potrebbe essere definita del “buon senso strategico” – che implica astuta diplomazia, risolutezza, coraggio e uso giudizioso di strumenti economici e di forza militare. Bolton, all’epoca commentatore tv e presidente del Gatestone Institute, un ruolo che ha ripreso da allora, è rimasto probabilmente impressionato dal “pro-americanismo” del presidente, come risulta in un’intervista pubblicata nel marzo 2019:

“Mi definirei pro-americano. La più grande speranza di libertà per il genere umano nella storia è rappresentata dagli Stati Uniti e quindi proteggere gli interessi nazionali americani è la migliore strategia per il mondo”.

Bolton ha aggiunto che l’America ha lentamente imbrigliato il proprio raggio d’azione attraverso intrecci insensati con istituzioni internazionali come le Nazioni Unite e ingenui accordi bilaterali che hanno promesso troppo ai nemici dell’America in cambio di troppo poco.

Il motivo dello screzio che Bolton ha avuto con il presidente nel settembre scorso sembra essere stato la sua crescente opposizione al graduale ritorno di Trump alle impraticabili politiche di Obama di pazienza strategica e di ripiegamento.

I momenti di esitazione di Obama avuti da  Trump in Siria

In alcuni settori della politica estera, come il forte sostegno all’alleato americano Israele, Trump e Bolton erano d’accordo, come sulla decisione di armare l’Ucraina con i missili Javelin e tenere a bada l’Iran.

In Siria, tuttavia, Trump, come Obama prima di lui, sembra non aver capito che quando gli Stati Uniti si ritirano, i loro nemici avanzano e riempiono il vuoto lasciato. Il segretario alla Difesa Mattis a quanto parte si è dimesso perché era contrario a questo ritiro. Bolton avrebbe fatto lo stesso mesi dopo, evidentemente a causa dell’invito rivolto da Trump ai leader talebani di recarsi a Camp David, escludendo il governo afgano alleato degli Stati Uniti – durante la settimana della commemorazione degli attacchi dell’11 settembre. Come Mattis, Bolton ha sacrificato il suo incarico a causa delle prevedibili conseguenze negative per gli interessi nazionali statunitensi.

Gli alleati curdi dell’America sono stati abbandonati da Trump per essere massacrati dalla Turchia. Il ritiro delle truppe statunitensi ha inoltre un impatto nefasto sull’Ucraina che insieme ad altri Paesi sta rivalutando negativamente l’affidabilità degli Stati Uniti.

Al momento del ritiro, il presidente russo Vladimir Putin ha lanciato quello che sembrava essere un finto attacco in direzione del città portuale ucraina di Mariupol, come già aveva fatto nel 2015. Il suo reale obiettivo sembra essere stato un nuovo e sanguinoso attacco unitamente al dittatore siriano Bashar Assad e al Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche contro i ribelli della provincia siriana di Idlib. L’offensiva russo-siriana si è intensificata dopo che è diventato chiaro che la risposta di Trump al nuovo massacro non sarebbe andata oltre un tweet furente.

Corea del Nord: ritorno alla pazienza strategica

Dopo aver dimostrato il buon senso strategico con Kim Jong-un nel 2017-2018, Trump è tornato alla pazienza strategica.  Di seguito alla dimostrazione di forza sono arrivati i summit.

Trump sembrava convinto di poter parlare con Kim come se fosse un cliente immobiliare. Pertanto, ha elogiato il sanguinoso e spietato Kim, simile a Stalin, come avente “una grande personalità”; si è rallegrato della “buona alchimia” esistente tra di loro e ha espresso altri commenti non presidenziali che probabilmente hanno imbarazzato Bolton.

Come ha ammonito Bolton “Nelle circostanze attuali [Kim] non rinuncerà mai volontariamente alle armi nucleari”.

I funzionari nordcoreani hanno l’abitudine di lunga data di mangiare e bere con i negoziatori americani, intrattenendoli e ingannandoli, mentre costruiscono il loro arsenale nucleare. Sotto il presidente George W. Bush, ad esempio, il segretario di Stato Condoleezza Rice era così ansiosa di raggiungere un accordo con il padre dell’attuale dittatore da impegnarsi in quella che l’allora vicepresidente Dick Cheney definì “una concessione dopo l’altra”. Con una mossa particolarmente disperata, la Rice ha perfino rimosso la Corea del Nord dalla lista nera degli Stati sponsor del terrorismo.

E Trump sta seguendo un copione simile. Nonostante l’opposizione di Bolton, ha accettato la richiesta principale di Pyongyang: la cancellazione delle esercitazioni militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud, senza la reciprocità nordcoreana.

Punto di svolta in Iran

Un importante punto di svolta è arrivato quando gli iraniani hanno attaccato le navi alleate nel Golfo Persico e hanno abbattuto un drone statunitense. La decisione di Trump di non rispondere militarmente – e il suo ritiro degli aerei americani che erano pronti a bombardare obiettivi in Iran – ricorda una delle inefficienze di Obama. La sua incapacità di reagire agli attacchi contro le navi alleate o ai raid aerei iraniani condotti contro gli impianti petroliferi sauditi non possono che incoraggiare future azioni militari di Teheran contro le risorse degli alleati nel Golfo Persico.

Trump sembra voler mostrare che a suo avviso tutte le differenze possono essere risolte con i negoziati. Tuttavia, tutti i presidenti degli Stati Uniti a partire da Nixon avrebbero probabilmente punito l’Iran per l’uso della forza militare, con la sola eccezione di Obama.

Trump vorrebbe negoziare un nuovo accordo nucleare con i leader iraniani, ma – come i nordcoreani – essi non fermeranno la costruzione delle bombe. Punto. Quindi bisogna mantenere le sanzioni, lasciare che il regime si sbricioli e ricorrere all’uso della forza, se e quando necessario. Uno dei più grandi successi di Trump è stata la demolizione del disastroso “accordo sul nucleare” iraniano (il JCPOA) che non avrebbe dovuto essere firmato e che di fatto ha spianato la strada all’Iran per avere tutte le armi nucleari che voleva.

Una troika della tirannia: Cuba, Venezuela e Nicaragua

Bolton ha soprannominato Cuba, il Venezuela e il Nicaragua una “troika della tirannia” nel cortile strategico degli Stati Uniti. Il Venezuela, che un tempo era un ricco Paese dell’OPEC pieno di petrolio, in circa 20 anni si è trasformato in uno Stato fallito la cui popolazione vive in condizioni insopportabili di fame e miseria – un pozzo nero di droga, criminalità e di terroristi di Hezbollah.

Vladimir Putin, con l’aiuto di Cuba ha violato la Dottrina di Monroe dell’America fornendo aiuti militari al regime “socialista” del Venezuela e sostenendo il regime del suo presidente illegittimo, Nicolás Maduro. Ma nemmeno l’arrivo di “consiglieri” russi e cinesi e l’erogazione di aiuti militari al Paese sembrano aver impressionato Trump. Un’azione significativa per estromettere Maduro deve ancora avvenire. I tweet e le minacce a vuoto, prevedibilmente, non hanno funzionato.

Il “momento di esitazione di Obama” avuto da Trump ha incoraggiato Erdoğan

Il crescendo dell’offensiva russo-siriana nell’estate scorsa è ora visibile nelle decina di migliaia di civili siriani che fuggono dal loro Paese e cercano di raggiungere l’Europa attraverso la Turchia. Il nuovo esodo siriano sta fornendo al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan una scusa per lanciare reiterate minacce che “inonderà l’Europa” di 3,6 milioni di rifugiati provenienti dai campi turchi.

Trump dovrà affrontare la sfida che Erdoğan sta presentando agli Stati Uniti. Il presidente turco non è più l’alleato strategico dell’America, come ha chiarito quando ha deciso di acquistare armi russe incompatibili con i requisiti richiesti dalla NATO, con la quale è teoricamente impegnato.

Imparare da Reagan

Il presidente Trump farebbe bene  a seguire le raccomandazioni degli esperti di politica estera e militare che conoscono la storia, la strategia e la geopolitica. Sta mostrando un infausto cambio di rotta con politiche che ricordano le peggiori decisioni delle amministrazioni Clinton, Bush e Obama.

Ma soprattutto, farebbe bene a lavorare verso la riconciliazione e la costruzione di una relazione produttiva con l’emergente ala Bolton del GOP.

Alla fine della campagna elettorale del 1983-1984, quando Ronald Reagan fu assediato dai democratici che lo chiamavano guerrafondaio, egli si rifiutò di proiettare l’immagine di un presidente in cerca di pace a tutti i costi. Invase l’isola caraibica di Grenada, che aveva appena deposto un brutale regime leninista in un sanguinoso colpo di Stato.

Il popolo americano non necessariamente elegge i candidati impegnati esclusivamente nella ricerca della pace. Bolton ha ragione: gli americani appoggiano i leader che non sono pacificatori, ma difensori dei valori americani, degli interessi nazionali vitali e dei diritti – in particolare, nel proprio cortile di casa. Non è troppo tardi per il presidente Trump. Deve svegliarsi.

Traduzione di Angelita La Spada

https://besacenter.org/perspectives-papers/purge-john-bolton/

 

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