Israele e Medio Oriente

L’IDF deve entrare a pieno titolo a Rafah e concludere il lavoro

Negli ultimi mesi abbiamo sentito tutto e il contrario di tutto riguardo all’intervento dell’IDF a Rafah per eliminare ciò che resta dei battaglioni di Hamas e della sua leadership a Gaza.

L’ Amministrazione Biden ha ripetutamente messo in guardia Israele contro una grande offensiva militare a Rafah, affermando che non c’è modo di entrarvi senza danneggiare i quasi 1,5 milioni di palestinesi che vi hanno trovato rifugio.

Israele ha recentemente deciso di accantonare i piani per una grande offensiva a Rafah e di agire in modo più limitato, dopo aver discusso la questione con gli Stati Uniti. Il piano precedente di inviare due divisioni in città non verrà portato avanti e le operazioni saranno invece più circoscritte.

Secondo l’amministrazione Biden, Israele è ormai in linea con le preoccupazioni di Washington e i nuovi piani sono stati indicati come “inizialmente soddisfacenti”.

Sebbene non sia ancora chiaro cosa significhi questo “inizialmente soddisfacente”, è essenziale chiedersi, ancora una volta, perché Israele abbia bisogno dell’approvazione degli Stati Uniti per difendersi e sradicare un’organizzazione terroristica che ha perpetrato il peggiore eccidio contro il popolo ebraico dopo la Shoah.

L’Amministrazione Biden ha cercato di frenare gli sforzi di Israele per sradicare Hamas fin dall’inizio della campagna di Gaza e, nonostante tutto il rumore politico e mediatico sulla “questione umanitaria”, appare abbastanza chiaro che il vero problema sono i rapporti dell’Amministrazione Biden con il Qatar e l’Iran, i due principali sponsor di Hamas.

Il trattenimento delle armi, già pagate da Israele, per paura che venissero usate a Rafah, e la trappola dell’accordo emersa all’inizio di maggio, come pianificato da Egitto e Hamas, senza preavviso a Israele da parte dell’Amministrazione Biden nonostante ne fosse a conoscenza , sono azioni chiare, e sappiamo tutti che le azioni contano molto più delle parole. Poiché Washington non ha informato Israele dei cambiamenti apportati, si è ovviamente innescata un’intensa delusione israeliana nei confronti dell’amministrazione statunitense e il sospetto riguardo al suo ruolo di mediatore (abbiamo già discusso di questi temi e del fatto che l’Amministrazione Biden rappresenta “un terzo mandato di Obama”.

Ulteriori sospetti ricadono sull’Egitto, un altro partner teorico di Israele nella guerra al terrorismo che era totalmente contrario all’intervento dell’IDF nel corridoio Philadelphi. Non è di rilievo che l’IDF abbia scoperto circa 50 tunnel che collegano Rafah al territorio egiziano?

Inoltre, il fatto che l’Amministrazione Biden abbia tenuto “negoziati indiretti” con il regime iraniano sull’accordo sul nucleare appena due settimane dopo che l’Iran aveva lanciato oltre 300 droni e missili contro Israele rende l’intero quadro molto preoccupante.

Gli obiettivi di politica estera di Biden in Medio Oriente non sono in linea con la necessità di sicurezza di Israele,  che implica lo sradicamento di Hamas e la neutralizzazione della minaccia iraniana. Come sottolineato dal senatore Ted Cruz confrontandosi con Antony Blinken in un’accesa udienza al Senato: “La vostra politica estera è esattamente l’opposto di quella che dovrebbe essere una politica estera americana razionale”.

Mettendo da parte la politica e parlando di questioni operative, sarà molto difficile per l’IDF entrare a Rafah, dare la caccia  a Sinwar e Deif, distruggere le centinaia di tunnel sottostanti e annientare i rimanenti quattro battaglioni senza inviare le divisioni necessarie al raggiungimento dello scopo.

La settimana scorsa Aaron Cohen, esperto e veterano americano/israeliano dell’antiterrorismo, ha dichiarato a Fox News quanto sia importante per l’IDF entrare a Rafah con truppe di terra. Cohen ha spiegato che il motivo per cui Rafah è il centro dei rimanenti battaglioni di Hamas è che la campagna “pentola a pressione” condotta dall’IDF mirava, fin dall’inizio, a costringere i terroristi rimasti a convergere su Rafah, aggiungendo che l’unico modo per eliminare  terroristi non è solo attraverso operazioni selettive, ma entrando a Rafah con le truppe:

“Quelle unità devono superare tutti quegli angoli di 90°, devono portare le canne di fucile all’interno delle stanze, devono portare i droni all’interno dell’area, questa è la natura della guerra non convenzionale.”

Una cosa deve essere chiara: Hamas non rilascerà mai gli ostaggi rimasti perché è l’unica leva di cui dispone l’organizzazione terroristica, e questa situazione non farebbe altro che estendersi nel tempo, a vantaggio di Hamas. Pertanto, il mantra della “pressione per i negoziati” non ha senso e ormai dovrebbe essere chiaro.

L’IDF deve andare a Rafah e “finire il lavoro” con la leadership di Hamas e le restanti unità. Questo può essere fatto solo inviando le divisioni. Non esistono piani “più contenuti” che possano consentire di raggiungere l’obiettivo, e chiunque abbia qualche esperienza sul campo di battaglia o nell’antiterrorismo lo sa perfettamente.

Il tempo è scaduto e il Primo Ministro Netanyahu deve decidere quale strada intraprendere, perché il metodo “un piede qui-un piede là” non è di alcun vantaggio per raggiungere l’obiettivo di sradicare Hamas e liberare gli ostaggi rimasti; inoltre, questa situazione rappresenta un problema per l’economia israeliana e per il ritorno alla normalità. L’ultima cosa di cui Israele ha bisogno è una lunga guerra di logoramento come quella in Ucraina, e questa è la direzione che, attualmente, è stata presa.

Traduzione di Niram Ferretti

https://blogs.timesofisrael.com/the-idf-needs-to-fully-enter-rafah-with-its-divisions-and-finish-the-job/

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