Editoriali

L’immagine infranta da ricomporre

La necessità primaria e l’inderogabilità della vittoria di Israele in questo ennesimo conflitto contro Hamas, responsabile del più grande eccidio di ebrei dalla fine della Seconda guerra mondiale, è quella della sua stessa sopravvivenza.

La posta in gioco non è mai stata così alta dal 1973, quando Israele riuscì a vincere una guerra che, se avessero vinto i suoi avversari, avrebbe sancito la sua fine.

Non c’è, evidentemente, paragone tra la capacità offensiva e l’entità complessiva dell’allora esercito egiziano e siriano, e oggi dei miliziani di Hamas, la potenza militare di Israele è incomparabilmente superiore a quella dei suoi aggressori, il problema non sta, come allora, in un rischio di annichilimento materiale dello Stato ebraico, ma nella perdita di senso della sua stessa ragione d’essere.

Quando i jihadisti di Hamas, sabato scorso, sono riusciti a entrare nel paese e a massacrare 1400 cittadini israeliani, per la grande maggioranza civili inermi, questa stessa ragione di essere è svanita nell’arco di quelle interminabili ore in cui gli assassini agivano indisturbati uccidendo con ferocia implacabile le proprie vittime.

Questa è stata la vittoria atroce e momentanea dei carnefici, distruggere l’immagine che Israele ha sempre avuto di se stesso. Non importa se alle spalle di queste vittime ce ne erano già molte altre, uccise nel corso delle due intifade e dei numerosi atti terroristici che sono seguiti ad esse, tutto terribile e traumatico, certo, ma diluito negli anni, iscritto nella storia interminabile del conflitto, non come questa volta, in un’unica occasione, con un impatto devastante. Un trauma unico per implicazioni, per proporzioni, per violenza.

Per ricomporre questa immagine infranta, per restituirla a se stesso e a tutto il mondo, per mostrare ai nemici di sempre che non può esserci nessuna ammenda, nessuna possibile alternativa a ciò che si è subito, Israele deve chiudere definitivamente i conti con Hamas, con il mostro che ha lasciato crescere dentro casa in tutti questi anni.

Il dovere è morale, ma è, soprattutto, esistenziale. La lacerazione profonda nel  suo tessuto può essere suturata solo in questo modo, non esistono altre strade. Gli Stati Uniti, lo hanno compreso bene. La preoccupazione legittima e doverosa per gli aiuti umanitari ai civili di Gaza espressa da Joe Biden, abbinata a quella per le sempre inevitabili vittime innocenti, è subordinata alla consapevolezza che a Gaza, il regime di Hamas deve terminare. Se questo non accadesse, i pezzi dell’immagine infranta  non sarebbero più ricomponibili.

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