Israele e Medio Oriente

L’impasse voluta

Giungono perentorie nei confronti di Israele le richieste da parte di Hamas. Se entro la fine della prossima settimana non arriveranno i soldi quatarioti, 30 milioni di dollari mensili, riprenderanno le offensive.

Per riavere i resti dei due soldati israeliani morti nell’operazione Margine di Protezione del 2014 e rilasciare altri due cittadini israeliani che si troverebbero ancora nella Striscia, Hamas, per bocca di uno dei suoi capi, Yawa Sinwar, rilasciato da Israele dopo 22 anni di detenzine nel 2011 insieme ad altre centinaia di terroristi, per riavere il sergente Gilad Shalit, ha chiesto il rilascio di 1111 terroristi. Nel 2011 i terroristi rilasciati furono 1027.  Ora, naturalmente, la richiesta è maggiorata.

Se la sentenza della Corte Suprema israeliana chiamata a pronunciarsi in merito all’appello rivoltole dalle famiglie palestinesi che dovrebbero lasciare le abituazioni in cui risiedono a Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, dovesse dare ragione, come hanno fatto i precedenti tribunali, ai legittimi proprietari ebrei che chiedono lo sfratto, Hamas non mancherà di farsi vivo. Alla Corte è stato chiesto di non pronunciarsi durante l’ultimo conflitto, segno già evidente di come la legge debba fare un passo indietro rispetto ad esigenze più impellenti. Quanto indietro lo si vedrà in seguito.

La situazione attuale manifesta con chiarezza un fatto: Israele è sotto ricatto da parte di una organizzazione terroristica della quale, ha, purtroppo contribuito al consolidamento, quando negli anni Novanta preferì che a Gaza fosse Hamas a prendere il sopravvento sopra l’OLP, allora ritenuta più pericolosa.

Oggi, dopo sedici anni dalla decisione di Ariel Sharon di lasciare Gaza, auspicando irrealisticamente che potesse prosperare autonomamente, Hamas si è profondamente radicato e ha esponenzialmente incrementato il suo arsenale, come si è visto dal conflitto appena concluso, durante il quale più di 4000 razzi sono stati lanciati su Israele, provocando più danni e vittime all’interno dello Stato di quelli provocati dal conflitto su larga scala del 2014.

Iron Dome ha intercettato una percentuale consistente di razzi, come riporta sul Middle East Forum, Seth J. Frantzman. Il governo ha dichiarato che su 2300 razzi lanciati da Hamas, Iron Dome ne ha intercettati circa 1000, tuttavia, come sottolinea l’autore dell’articolo:

“Le batterie Iron Dome non sono senza fine e nemmeno i loro intercettatori. Il concetto di Iron Dome era quello di proteggere i civili e dare ai politici israeliani la possibilità di decidere cosa fare senza essere costretti a un’invasione di terra. Se 1.000 razzi cadessero su città israeliane prive di un sistema di difesa, i carri armati israeliani dovrebbero entrare a Gaza per fermare il lancio di razzi, come hanno fatto nel 2009”.

Ed è questo esito che si vuole, evidentemente, evitare a tutti i costi. Sì,  ma a quale prezzo?

Il vantaggio di Hamas

Hamas lucra sulla morte dei civili, è cosa nota. Così è stato nel 2009, così è stato nel 2014, nelle due operazioni più massicce intraprese da Israele a Gaza. Ogni morto civile, soprattutto se si tratta di donne e di bambini, è un punto a favore dell’organizzazione terrorista, perchè immediatamente nei confronti di Israele parte la canea guidata dell’esecrazione.

Nel 2014, dopo la conclusione dell’operazione Margine di Protezione, Khaled Mishal, il leader di Hamas rifugiato in Qatar poteva affermare soddisfatto, “Abbiamo vinto la battaglia ‘morale’. Ci siamo focalizzati nel colpire le truppe che ci hanno attaccato mentre loro hanno ammazzato donne e bambini. Questa è la vera immagine della battaglia”.

“Immagine” è parola precisa e riassume tutto; è ciò che appare e viene proiettato ciò che conta per l’opinione pubblica. La disfatta morale di Israele è che quando bombarda Gaza ci sono sempre vittime civili, e non importa che esse siano la conseguenza di una ben precisa scelta di Hamas di posizionare i lanciarazzi nei pressi di ospedali, moschee, o dove l’addensamento abitativo è maggiore, tutto questo, infatti spiega, ma non gunge alla pancia e a i nervi: è l’impatto emotivo che la morte dei civili suscita ciò che conta.

Hamas detiene dunque questo vantaggio che si assomma a quello di potere tenere a piacimento lo Stato militarmente più potente del Medio Oriente sotto pressione.

La strategia israeliana finora messa in atto, continuare a permettere a Gaza di ricevere denaro e rifornimenti, è evidente che non conduca a nessun esito felice. Rimpinzare di dollari una banda di estremisti può solo continuare a mantenerli dove sono, ed è infatti, esattamente questo ciò che Israele ha fatto, ritendendolo un male minore rispetto a una invasione, alla decisione di disarticolare definitivamente Hamas e di essere costretto a Gaza a prendere nuovamente in mano le redini della situazione. Hamas lo sa benissimo mentre prospera e cresce alle spese di Israele e continuerà a farlo anche in futuro, rafforzandosi militarmente.

Israele ha rinuciato alla vittoria preferendo ad essa mantenere in vita un mostro, ma questa strada è senza uscita e sta già mostrando con chiarezza di non potere essere a lungo sostenibile.

Hamas va eliminato, con il concorso di chi, tra gli Stati sunniti lo considera un pericolo anche per la propria sicurezza interna, in testa Egitto e Arabia Saudita. In questo modo Israele può condividere la responsabilità della sua eliminazione e di una eventuale gestione coordinata di una Gaza liberata. Ma non è questo l’esito che si sta preparando, si parla invece di copiosi fondi per la ricostruzione, continuando imperterriti nel perpetuare gli errori del passato.

 

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