Editoriali

Non cedere alla pressione della piazza

Una riforma della giustizia, una riforma necessaria a limitare il potere esorbitante in dotazione al ramo giudiziario, senza equivalenti in nessuna altra democrazia, dove i giudici non hanno la prerogativa di indirizzare il legislativo, di stabilire a proprio arbitrio come è accaduto dal 1995 in poi se determinate leggi sono leggi costituzionali o meno, facendolo con il concorso di un quarto del parlamento, ignaro all’epoca che esse sarebbero diventare tali.

Potere che nessuno gli ha conferito e che, in un paese privo di Costituzione come Israele, li ha messi nella condizione di crearla loro, senza il concorso del corpo politico. Questa riforma è stata trasformata dall’opposizione in un corpo contundente lanciato contro il governo in carica allo scopo di abbatterlo.

Da settimane le piazze sono state mobilitate da manifestanti i quali sono stati convinti, senza avere alcuna consapevolezza dei poteri specifici della Corte Suprema, senza avere una conoscenza chiara e precisa della natura delle riforme proposte, di essere a presidio della democrazia in pericolo.

In Israele sarebbe in pericolo la democrazia perchè si vuole riequilibrare la rivoluzione giudiziaria che Aharon Barak ha messo in atto a partire dal 1995, conferendo alla Corte Suprema poteri che nei precedenti 47 anni di vita non aveva mai avuto.

Durante quel lungo periodo, le Leggi Base, che costituiscono i mattoni di un edificio costituzionale in itinere, non venivano considerate de facto una Costituzione, in virtù di esse non venivano annullate le leggi del governo, il Procuratore Generale dello Stato non era la mano longa del ramo giudiziario, una sorta di vigilante che stabiliva a priori se una legge dell’esecutivo era più o meno conforme ai criteri stabiliti dalla Corte. All’epoca non si era ancora passati al massimalismo giuridico voluto da Barak, per il quale tutto è giudicabile, e ognuno può appellarsi ai tribunali per qualsiasi istanza e ragione. All’epoca i giudici non avevano potere di veto sulla nomina di altri giudici, costretti a essere conformi alla loro linea ideologica. Tutto questo non avveniva, ma nessuno scendeva in piazza a manifestare contro l’assenza di democrazia nel paese, contro la deriva “autoritaria” dell’esecutivo. Il paese funzionava normalmente, i giudici non si erano ancora trasformati nel corpus degli illuminati descritti da Platone ne La Repubblica.

Quello a cui stiamo assistendo sta avvenendo per un semplice motivo, perchè dopo trent’anni, per la prima volta, un governo coeso sulla necessità di riformare l’apparato giudiziario, ha deciso di mettere in atto la riforma, una riforma annunciata da anni ma mai attuata perchè nei governi precedenti non sussisteva la maggioranza politica per poterla attuare.

Dunque, il “governo parallelo” di Israele, nella felice definizione del giurista israeliano Amnon Rubinstein, ha deciso di correre ai ripari, di organizzare la propria offensiva contro il pericolo incombente. Si è così iniziata a propagare la menzogna che il governo presieduto da Benjamin Netanyahu sia in procinto di attuare una riforma liberticida atta a imbavagliare i giudici, a sottometterli al potere dell’esecutivo. I media hanno iniziato a diffondere a spron battuto l’accusa, raccolta dalla fitta rete di ONG di sinistra presenti nel paese, a cui ha fatto da eco l’opposizione, sempre più schiacciata dall’estremismo di piazza. La folla non ha fatto che perpetuare il mantra in un crescendo esagitato che ieri sera è sfociato in disordini maggiori dopo che Benjamin Netanyahu ha annunciato il defenestramento di Yoav Gallant, ex Ministro della difesa il quale, poche ore prima, aveva pubblicamente annunciato, cedendo alla pressione della piazza e ad allarmismi infondati (il paventato rischio che la riforma della giustizia potrebbe mettere im mora la sicurezza del paese, solo perchè 450 riservisti su più di 400,000 hanno accusato Netanyahu di essere un dittatore e di non volere prestare servizio sotto di lui), che è opportuno sospendere la riforma.

Prima del fantomatico rischio per la sicurezza del paese, dove, all’interno del comparto militare si sono levate solo voci minoritarie di protesta, così come è minoritaria la parte del paese che è scesa in piazza, si era evocato in modo altrettanto fantomatico, il rischio di una recessione economica a riforma attuata, senza che nessuno abbia saputo specificare il nesso causale tra un ribilanciamento della Corte Suprma e un eventuale contraccolpo economico, così come nessuno ha specificato come, privare la Suprema Corte della facoltà di porre il veto sulla nomina dei giudici, o di decidere cosa è “ragionevole” o meno in merito alle decisioni prese dal governo, possa inficiare la sicurezza dello Stato. E i nessi non possono essere specificati perchè sono come la “virtù dormitiva” dell’oppio nel Malato immaginario di Moliere, inesistenti.

L’irrazionalità la sta facendo da padrone. La voluta, fomentata irrazionalità di un potere abnorme che si sente minacciato. E’ in momenti come questi che bisogna mantenere i nervi saldi, la barra dritta, e c’è da augurarsi che Benjamin Netanyahu non ceda alle pressioni della piazza, della folla eterodiretta, per la quale valgono sempre le parole scritte da Gustave Le Bon ne La psicologia delle folle:

“Annullamento della personalità cosciente, predominio della personalità inconscia, orientamento determinato dalla suggestione e dal contagio, dei sentimenti e delle idee in un unico senso, trendenza a trasformare immediatamente in atti le idee suggerite, tali sono i principali caratteri dell’individuo in una folla.”

Se Netanyahu lo dovesse fare, sarebbe l’inizio della fine del suo governo, esattamente ciò che i facitori del caos creato ad arte in questi mesi, intendono ottenere.

 

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