Interviste

Nuove sfide in Medioriente: Intervista con Daniel Pipes

Tra i maggiori esperti internazionali di Medioriente, Daniel Pipes è un ospite regolare de L’Informale. A seguito del drastico cambio di politica in Medioriente adottato dall’amministrazione Trump e del confronto tra Israele e Iran in Siria, lo abbiamo intervistato.

In veste di critico del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), l’accordo sul nucleare iraniano voluto dall’Amministrazione Obama, quale è il suo giudizio sulla decisione di Donald Trump di affossarlo?

Sono estremamente soddisfatto. L’accordo sul nucleare iraniano ha portato enormi vantaggi ai mullah a Teheran consentendogli nel presente libertà di movimento e nel futuro armi atomiche per le quali hanno ricevuto enormi somme di denaro. Non avrebbe mai potuto essere terminato abbastanza in fretta.

Benjamin Netanyahu, uno degli antagonisti più espliciti dell’accordo sul nucleare nel suo discorso al Congresso del 2015 disse, “Il regime iraniano non è solo un problema ebraico, più di quanto lo fosse il regime nazista…Il regime iraniano pone una grave minaccia non solo per Israele ma per la pace del mondo intero”. Aveva ragione?

Del tutto. Gli iraniani si trovano attualmente coinvolti in conflitti in Iraq, Siria e Libano, e in più minacciano l’Arabia Saudita e altri stati del Golfo Persico. A parte ciò, la minaccia di un ordigno atomico che attiverebbe un impulso elettromagnetico negli Stati Uniti e in altri paesi occidentali comporterebbe una catastrofica perdita di vite.

Numerosi leaders europei hanno dichiarato che l’Unione Europea continuerà a mantenere in vita l’accordo. Realisticamente, può essere mantenuto in vita dal momento in cui gli Stati Uniti riattiveranno le sanzioni economiche sull’Iran?

Sì. Gli europei possono creare corporazioni come Total S.A. che non hanno nessun legame con gli Stati Uniti e che potrebbero operare liberamente in Iran. A questo proposito, se gli europei riusciranno a convincere Teheran a continuare a rispettare i termini dell’accordo, ciò renderà la decisione degli Stati Uniti priva di costi. Washington si sarà levato dall’accordo ma gli iraniani continueranno a non arricchire l’uranio.

Con una economia iraniana molto provata, quanto ritiene che possa influire sul paese l’uscita americana dall’accordo sul nucleare?

La leadership iraniana ha costruito una “economia di resistenza” che può resistere alle sanzioni, quindi sarà in grado di gestire il contraccolpo. Se il popolo iraniano accetterà un livello ulteriore di povertà, è un altro paio di maniche. Ritengo che il malcontento aumenterà e che ciò porterà a una eventuale esplosione.

In una intervista con l’Informale fatta a novembre lei disse “Vorrei che Washington fosse più fondamentalmente ostile nei confronti della Repubblica Islamica dell’Iran al punto di adoperarsi per cambiare il regime, ma non è mai accaduto in quasi quaranta anni di governo khomeinista”. Le nomine di Mike Pompeo come Segretario di Stato e di John Bolton come Consigliere per la Sicurezza Nazionale, più il fatto dell’uscita dall’accordo sul nucleare, indicano un approccio più risoluto nei confronti dell’Iran. Ritiene che il suo desiderio si potrà realizzare presto?

Ne dubito. Tenga conto di quello che Trump ha detto dei leaders iraniani dopo essere uscito dal JCPOA: “Vorranno negoziare un nuovo e più duraturo accordo, uno di cui beneficerà tutto l’Iran e il popolo iraniano. Quando lo faranno, io sarò pronto, intenzionato e in grado di negoziarlo”. E’ una affermazione che non va nella direzione di promuovere un cambio di regime.

Ritiene che i recenti scontri tra Israele e l’Iran possano preludere a qualcosa di più vasto?

Sì. Mentre i recenti raid hanno segnato un quasi totale fallimento per gli iraniani, hanno modi più efficaci di colpire Israele. Possono avere delegati che attaccano Israele da Gaza, dalla Siria e in modo particolare dal Libano. O possono impiegare la violenza jihadista contro gli ebrei, come a Buenos Aires o come a Burgas.

Fino ad ora Putin non ha interferito con le attività militari di Israele contro l’Iran in Siria, ma anche se la Russia e l’Iran non condividono i medesimi obbiettivi geopolitici, sono alleati. Non ritiene inevitabile che Putin, prima o poi, faccia una scelta in contrasto con gli interessi israeliani?

No, non è inevitabile. Primo, Putin ha costantemente cercato di stabilire buone relazioni con Israele. Secondo, non vuole che gli iraniani dominino la Siria. Gli attacchi israeliani servono i suoi interessi.

Lei è stato scettico a proposito di Donald Trump. Quale è la sua valutazione delle sue decisioni risolute riguardo al Medioriente come dichiarare Gerusalemme capitale di Israele, trasferirvi l’ambasciata americana, firmare il Taylor Force Act, trattenere i pagamenti all’UNRWA e uscire dall’accordo nucleare con l’Iran?

La mancanza di filosofia politica da parte di Trump e la sua generale imprevedibilità mi fanno temere che possa commettere degli errori rilevanti in Medioriente. Finora sono rimasto sorpreso molto piacevolmente. Ma potrebbe cambiare le sue opinioni in un minuto, quindi mi aspetto problemi futuri.

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