Editoriali

Perché stiamo con Israele

Poco più di 8 milioni di abitanti, 200 milioni di nemici nei territori confinanti. Israele non è solo l’unica democrazia del Medio Oriente, definizione oggettiva e inattaccabile che esula dal cosiddetto tifo calcistico, ma è soprattutto un Paese isolato.
Isolato perché circondato da nemici veri, agguerriti, che ne vorrebbero la distruzione e non sono per nulla disposti ad accettarne l’esistenza. Ma soprattutto isolato perché non c’è alcun organismo imparziale in grado di tutelare il diritto all’autodeterminazione di Israele e del popolo ebraico. I vivi, per intenderci, che non possono essere usati come pretesto per attacchi politici e quindi non sono così interessanti e appettibili come gli ebrei morti durante l’olocausto.

Chi difende Israele e il popolo ebraico oggi?
Non certo l’Unesco, né Amnesty Internation, né la Croce Rossa, men che meno Emergency e Medici Senza Frontiere e tutte quelle organizzazioni umanitarie e terzomondiste che si prodigano di buone intenzioni e si arrogano il ruolo di paladini dell’uguaglianza, dei pari diritti, della tolleranza e della solidarietà. Mai solidarietà nei confronti di Israele, però, né di conseguenza del popolo ebraico di oggi che non è costituito da “povere vittime da difendere”, ma spesso viene dipinto come carnefice sanguinario.
Non l’Onu né l’UNHCR, che anzi richiamano e condannano Israele per violazioni di convenzioni spesso reinterpretate ad hoc.
Non la Comunità Europea, che anzi non manca mai di contribuire persino economicamente a sostenere i nemici di Israele, probabilmente credendo alle bugie di chi si finge più moderato rispetto agli “estremisti”, comportandosi però allo stesso modo.

Non la Nato, di cui Israele non fa parte. E neppure le due grandi e principali potenze mondiali, Usa e Russia, che hanno le loro priorità in Medio Oriente e persino discutibili alleati (Arabia Saudita, Qatar e Turchia da una parte, Siria e Iran dall’altra) che gli impediscono di far collimare i propri interessi con quelli di Israele.
Eppure, è opinioni di tanti, chiamiamola pure la “maggioranza silenziosa”, che Israele sia un baluardo dei valori occidentali e rappresenti la cultura occidentale stessa in Medio Oriente. Se cade Israele cade un pezzo di occidente. E le conseguenze sarebbero facilmente immaginabili e devastanti. Un effetto domino che significherebbe il crollo di un’intera civiltà.
Lo sanno, ma non lo dicono. Non lo dice la stampa, con i suoi titoli capziosi; non lo dicono i giornalisti, con i loro servizi tutt’altro che imparziali e sempre propensi a dipingere lo scenario “Israele carnefice, arabi vittime”.

Hanno tanto da farsi perdonare le “anime belle” che pontificano su valori e diritti, trasformandosi da aspiranti Madre Teresa di Calcutta a novelli provetti Adolf Hitler quando si tratta di commentare le vicende israeliane e tutto ciò che riguarda il popolo israeliano. Ha tanto da farsi perdonare l’Italia, governata per anni da esecutivi apertamente filo-arabi che hanno stretto patti con il terrorismo islamista ricevendo in cambio due stragi a Fiumicino e un sanguinoso attentato alla sinagoga di Roma costato la vita a un bambino ebreo di due anni, Stefano Gaj Taché , nel 1982. Così come ha tanto da farsi perdonare l’Europa e l’occidente tutto.
“L’Informale” nasce per questo. Una novità editoriale, forse solo un ennesimo sito di informazione di cui non si sentiva il bisogno, ma che in realtà ha un obiettivo: far conoscere Israele e il suo popolo. Raccontare storie, passate, presenti e future. Curiosità, aneddoti. Diffondere l’arte, la cultura, le usanze, la cucina, gli stili di vita delle comunità ebraiche, che non sono i “grandi banchieri che dominano il mondo e ne decidono le sorti”.
E soprattutto analizzare gli scenari mediorientali da un punto di vista israeliano, che non è quello main stream nonostante la vulgata popolare sostenga che “la stampa è serva dei sionisti”.
Siamo convinti che si può essere antisemiti o anche solo anti-israeliani finché non si conoscono Israele, gli israeliani e il popolo ebraico. Ecco perché abbiamo deciso di far nascere L’Informale.

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