Islam e Islamismo

Persino l’Onu lo ammette: Gaza è invivibile per colpa di Hamas

Un paio di eventi positivi sul fronte internazionale fanno piacere, anche se non costituiscono altro che una eccezione in un panorama che sicuramente non è altrettanto rassicurante. L’attacco terroristico alla Porta dei Leoni di Gerusalemme, messo in atto da palestinesi con cittadinanza israeliana, ne è purtroppo la dimostrazione.
Vediamoli.
L’ONU ha scoperto e reso noto, pochi giorni or sono, che entro il 2020 – fra tre anni – le condizioni di vita a Gaza diverranno intollerabili per i suoi due milioni di abitanti. Hamas si è impadronita di Gaza dieci anni fa con un sanguinoso colpo di mano che ne ha cacciato i rappresentanti della fazione rivale di Fatah ed i rappresentanti dell’Autorità Palestinese. Ora il tasso di disoccupazione è del 40%, quello giovanile del 60%, l’elettricità arriva alle case tre ore al giorno, mentre reddito, sanità, educazione e disponibilità di acqua potabile sono a livelli di rischio ed in costante calo. Ogni indicatore dei livelli di vivibilità è in calo, afferma il rappresentante dell’ONU Robert Piper.
Qualcuno si prepara certamente a gridare ai quattro venti che è tutta colpa di Israele, ma perfino per l’ONU non è vero. Israele ha controllato e limitato l’afflusso di certi beni che avrebbero potuto trovare un utilizzo militare, ma non ha impedito l’arrivo a Gaza, attraverso i varchi ufficiali, di ogni genere di aiuti umanitari. Il rapporto dell’ONU afferma che l’accesso di Gaza ai beni necessari è stato “ostacolato dall’intensificarsi della militarizzazione di Hamas e degli altri gruppi armati che vi operano”, ivi inclusi “la costruzione e lo stoccaggio di razzi con sempre maggiore gittata e lo scavo di gallerie sofisticate atte a catturare israeliani ed a compiere atti di terrorismo”.
Contestualmente l’Autorità Palestinese ha ostacolato i trasferimenti di denaro a Gaza e di recente ha chiesto ad Israele di interrompere la fornitura di elettricità. L’iniziativa congiunta di vari stati arabi contro il Qatar, principale finanziatore di Hamas, ha aggiunto un elemento di crisi che contribuisce a strangolare l’economia di Gaza. Gaza, ad esempio, necessita di 450 megawatt di elettricità al giorno, ma ne riceve solo 120; nel 2020 questo fabbisogno sarà di 850 megawatt al giorno, a fronte di un apporto di 360 al massimo.
La constatazione che l’ONU abbia deciso di prendere una posizione più netta in merito alle cause della imminente, o forse già attuale, catastrofe umanitaria a Gaza, attribuendone buona parte a Hamas, potrebbe portare anche ad una revisione di altri rapporti conflittuali di agenzie come l’UNESCO con la storia ebraica, e – chissà – ad una presa di coscienza delle distorsioni che gli automatismi delle maggioranze precostituite producono.
Il fallimento della gestione del territorio da parte di Hamas è dunque evidente, principalmente a causa dell’indisponibilità del movimento a considerare la possibilità di rapporti amichevoli con Fatah e l’Autorità Palestinese e di un abbandono del terrorismo contro Israele. Hamas non trova alcuna contraddizione, però, nel fatto che uno dei suoi massimi dirigenti vada in Israele per farsi curare.
Sul versante dei rapporti di Israele con l’Autorità Palestinese, invece, è stato siglato in questi giorni uno storico accordo, favorito dalla mediazione dell’inviato di Trump Jason Greenblatt. Il ministro israeliano della cooperazione regionale Tzachi Hanegbi ed il capo dell’Autorità Palestinese dell’acqua Mazen Ghuneim hanno concordato di estendere ai territori dell’Autorità Palestinese un trattato fra Israele e Giordania che riguarda la redistribuzione dell’acqua desalinizzata del Mar Morto; grazie a ciò l’Autorità Palestinese riceverà 33 milioni di metri cubi di acqua a prezzi di favore. Da sempre l’acqua è uno dei motivi di conflitto in una regione che ne ha sempre sofferto la scarsità; il fatto che  i corsi d’acqua attraversino confini fra stati nemici, inoltre, ha acuito questa conflittualità. La fondamentale importanza di poter accedere a quantità di acqua sufficienti per la popolazione e per l’economia costituisce oggi, invece, un motivo di aggregazione di interessi, come, grazie agli impianti di desalinizzazione di cui Israele è leader, questo accordo dimostra.
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