Editoriali

Quinta colonna

Nel 2004, nel corso di una intervista a Haartez che fece scalpore, Benny Morris dichiarò:

“Gli arabi israeliani sono una bomba a orologeria. La loro discesa verso una palestinizzazione completa li ha resi un emissario del nemico che è in mezzo a noi. Sono una potenziale quinta colonna. In termini sia demografici che di sicurezza, rischiano di indebolire lo Stato. Se Israele dovesse trovarsi nuovamente in una situazione di minaccia esistenziale, come nel 1948, potrebbe essere costretto ad agire come fece allora. Se venissimo attaccati dall’Egitto (dopo una rivoluzione islamista al Cairo) e dalla Siria, e missili chimici e biologici si schiantassero nelle nostre città, e allo stesso tempo i palestinesi israeliani ci attaccassero alle spalle, posso contemplare l’eventualità di una espulsione. Potrebbe succedere. Se la minaccia a Israele diventasse esistenziale, l’espulsione sarebbe giustificata”.

Nella stessa intervista, con il suo consueto brutale realismo, Morris spiegava al suo interlocutore che se Ben Gurion avesse proceduto a una espulsione totale degli arabi nel 1948, Israele sarebbe stato un luogo molto più tranquillo e si sarebbe risparmiata molta sofferenza. In seguito Morris non ritrattò le sue affermazioni ma spiegò che ciò che aveva detto era in parte dovuto al suo animo esacerbato da quattro anni consecutivi di sanguinosa Intifada (che si sarebbe conclusa, un anno dopo l’intervista, nel 2005).

I recenti fatti di Lod, dove facinorosi arabi israeliani hanno dato fuoco a sinagoghe, negozi e macchine, costringendo buona parte dei residenti a restare sbarrati nelle loro abitazioni, nonchè i precedenti tumulti sul Monte del Tempio/Spianata delle Moschee, riportano a galla prepotentemente la questione. Si tratta, per il momento, di minoranze ma trasformare il dato statistico in una legge stabile è una fallacia deduttiva. La storia insegna che, in casi estremi, furono sempre minoranze agguerrite e ben dirette quelle che si portarono appresso le maggioranze quiete.

Alla Knesset siedono parlamentari arabi che non hanno mai fatto mistero di considerare l’appartenenza all’Umma prioritaria rispetto all’appartenenza allo Stato ebraico. Nel 2017, all’ingresso del Monte del Tempio, due poliziotti drusi vennero uccisi da due arabi-israeliani. Quante sono esattamente il numero di armi illegali in possesso delle comunità arabe? La vendita clandestina è ben nota, non solo allo Shin Bet.

Per anni si è dato per scontato che gli arabi-israeliani, circa un milione e novecentomila fossero e siano integrati nella società israeliana, che lo status socio-economico di una parte consistente della popolazione, sensibilmente superiore mediamente a quello degli arabi di Siria, Giordania ed Egitto li rendesse e li renda immuni alle sirene dell’estremismo islamico, ma di fatto è così? C’è un detonatore insediato all’interno dello stato come dichiarava Morris nel 2004? La partita che sta giocando Hamas è chiara. Proporsi come unica tutela dei palestinesi, unica forza in grado di contrastare “l’occupante” a fronte di un’Autorità Palestinese sempre meno credibile, percepità come corrotta ed inefficace, con un leader al tramonto impaurito di indire le elezioni nella consapevolezza che lo metterebbero definitivamente fuori gioco.

Hamas soffia sulle braci interne, chiama alla mobilitazione, tenta quello che fino a poco tempo fa veniva considerato improbabile, una rivolta non nei territori, dove la situazione è sostanzialmente sotto controllo, ma a Gerusalemme, a Lod, a Jaffa. Dalle braci si producono le prime fiamme sparse. Israele con ogni probabilità riuscirà a contenerle, ma fino a quando?

 

 

 

 

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