Editoriali

Rafforzare Hamas alle spese di Israele

Con la decisione di trattenere una fornitura d’armi a Israele in una congiuntura critica, gli Stati Uniti confermano, se ce ne fosse bisogno, che non vogliono la vittoria di Israele su Hamas. Non solo, si tratta, oggettivamente, di un assist lanciato all’asse islamico iraniano di cui Hamas, insieme a Hezbollah è uno dei delegati.

È il proseguimento della disastrosa politica mediorientale di Barack Obama, incardinata su due perni, il rafforzamento della Fratellanza Musulmana, di cui Hamas è membro, e quello di Teheran, e il distanziamento da Israele.

Le armi in questione, per il momento sospese sono 1.800 bombe da 2.000 libbre e 1.700 bombe da 500 libbre. Il motivo addotto è che la Casa Bianca teme che Israele voglia usare le bombe da 2.000 libbre in zone densamente popolate della Striscia, malgrado non ci sia alcuna evidenza che ciò sia già accaduto. Interrogato ieri durante una intervista alla CNN se Israele avesse usato bombe da 2.000 libbre su aree densamente abitate, Joe Biden ha risposto affermativamente senza, tuttavia, fornire alcun dato specifico.

La realtà ha la forma dell’interesse americano a che la guerra si concluda in fretta con un accordo con Hamas che Israele dovrebbe accettare obtorto collo.

Ieri, il capo della Cia, William Burns ha detto a Netanyahu che dovrebbe considerare la fine della guerra come “una virgola” che prelude al punto di un accordo con l’Arabia Saudita. Non si vede poi che interesse avrebbero i sauditi ad accordarsi con Israele in funzione di deterrenza anti iraniana lasciando permanere a Gaza, Hamas che l’Iran finanzia copiosamente.

Sempre ieri, in una audizione presso il Senato, il senatore repubblicano Lindsey Graham ha detto al Segretario della Difesa, Austin che trattenere le armi che servono a Israele mentre combatte chi vuole la fine dello Stato ebraico, non solo è assurdo ma è osceno.

Sì, è osceno, ma i fatti sono questi. Intanto il Dipartimento di Stato sta per licenziare un rapporto sulle presunte violazioni israeliane a Gaza.

La frustrazione, a Gerusalemme, è grande, ma è altrettanto grande la debolezza di un governo e di un gabinetto di guerra che non sono in grado di opporsi veramente a quello che l’Amministrazione Biden vuole.

L’operazione su vasta scala a Rafah, tanto strombazzata da Netanyahu assomiglia sempre più a una chimera, mentre, nel contempo Hamas osserva compiaciuto come la macchina da guerra israeliana sia stata inceppata dagli Stati Uniti, l’alleato principale, da cui Israele non riesce in alcun modo a emanciparsi.

Ci troviamo in una fase critica la quale presenta incognite ad alto rischio. Qui su l’Informale, a partire dalla fine di ottobre abbiamo documentato passo dopo passo il modo in cui gli Stati Uniti hanno progressivamente preso le distanze da Israele nonostante la retorica vuota e magniloquente delle dichiarazioni ufficiali. Adesso si è giunti a una sorta di redde rationem.

Israele deve decidere, pagando un prezzo salato, se smarcarsi da questa amministrazione che sta danneggiando in modo palese i suoi obiettivi militari e politici, e quindi trovarsi di fatto isolato all’interno della comunità internazionale, pur godendo negli Stati Uniti di un forte appoggio politico da parte repubblicana, oppure se chinare la testa, subire il ricatto americano e il programma Obama-Biden, poiché solo gli sprovveduti possono pensare che la linea di azione punitiva nei confronti di Israele sia solo farina del sacco di Biden, a capo di una amministrazione dove agiscono e lo consigliano uomini fortemente legati all’ex presidente americano, il più apertamente ostile allo Stato ebraico insieme a Jimmy Carter.

Saranno i prossimi eventi a mostrarci la direzione che Israele prenerà.

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