Israele e Medio Oriente

Il riconoscimento della realtà

L’atteso discorso di Donald Trump certifica di fatto quello che è sempre stato davanti ai nostri occhi, Gerusalemme è la capitale di Israele, perché è lì e non altrove che è insediato il suo nucleo politico, è lì e non altrove che si trovano il parlamento, la Corte Suprema, la residenza del Primo Ministro. Ma Gerusalemme è anche da tremila anni legata alla storia del popolo ebraico ed è per gli ebrei e solo per loro specificamente unica religiosamente e spiritualmente. Per i cristiani essa è uno dei luoghi santi, non quello esclusivo, e tale lo è per i musulmani, che hanno nella Mecca il loro principale luogo religioso. Dunque, Gerusalemme ha, per quanto riguarda la storia e la memoria ebraica un significato prioritario e connotante in una misura assai maggiore rispetto a quello che ha per le altre due fedi. Questo aspetto è stato assente dal discorso di Donald Trump, e non poteva essere altrimenti, essendo esso fondamentalmente incardinato su un assetto politico e pragmatico, con un respiro circoscritto ma tuttavia incisivo.




Nel suo discorso, Trump ha ribadito chiaramente come il riconoscimento da parte americana di Gerusalemme capitale di Israele e il conseguente spostamento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme, non implichi in alcun modo la definizione dello status giuridico della città relativamente alle rivendicazioni israeliane e palestinesi su di essa, status che deve e può solo essere determinato attraverso una negoziazione. Il riconoscimento dunque appalesa fondamentalmente e pragmaticamente ciò che è da settanta anni empiricamente verificabile e che per opportunità e opportunismo politico non veniva dichiarato. Lo spostamento dell’ambasciata a Tel Aviv rappresenta questo riconoscimento, ne è la logica e inevitabile conseguenza.

 

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