Editoriali

Ridefinire la realtà: Nuovo scenario

E’ arrivata l’ora di rimuovere i vecchi fondali, l’allestimento di scena che dura da 27 anni senza sosta. Sono 68 anni che, nel West End di Londra, continua Trappola per Topi di Agatha Christie (sospeso temporaneamente causa Covid-19), e non ha ancora stancato, ma altro è il caso degli Accordi di Oslo (1993-1995). Diversamente dalla perfetta macchina narrativa costruita dalla celebre scrittrice inglese, qui di perfetto non c’è mai stato nulla. Si è trattato fin da subito di un canovaccio abborracciato e anch’esso con le sue trappole, assai più letali di quella ideata da Dame Agatha per la sua fiction poliziesca.

Occorre, per menti smemorate o per chi è a digiuno, ricordare alcune cose. Oslo nasce già come aborto concettuale. Pensare che sarebbe stato possibile trasformare il lord of terror Yasser Arafat, all’epoca ridotto poco più di un paria dopo essere stato cacciato insieme alla sua organizzazione criminale, l’OLP, da Egitto, Libano, Giordania, Siria e Kuwait, in nation builder, fu già di per sé una spem contra spem sfociante nel grottesco. Sarebbe stato forse più facile convertire Raffale Cutolo o Toto Riina alle opere pie, e se non più facile, altrettanto implausibile. Ma così fu, e il terzetto della pace composto da Shimon Peres, Isaac Rabin e Yossi Belin confezionò il pacco per una opinione pubblica, all’epoca, in buona parte assai riluttante. Come si riuscì a fare passare il pacco è cosa forse non nota a molti e che va ricordata. Fu Gonan Segev, allora deputato della formazione di destra Tzomet, che fuoriuscito da essa insieme a tre parlamentari passo poi alla sinistra. Il suo voto fu determinante, gli Accordi passarono infatti per 61 voti contro 59. Segev fu arrestato nel 2005 per narcotraffico e nel 2019 per spionaggio a favore dell’Iran. Senza questo campione di virtù gli Accordi di Oslo si sarebbero afflosciati su se stessi.

I risultati degli Accordi non tardarono a mostrarsi, come avevano previsto i realisti hobbesiani, tra cui Martin Sherman. Nei due anni e mezzo dalla  loro firma, 1993, alla caduta del governo laburista nel 1996, vennero uccisi a causa di attacchi terroristici 210 israeliani, tre volte di più che nei precedenti ventisei anni.

La guerra voluta da Arafat e introdotta in Israele come un cavallo di Troia dal terzetto per la pace il quale credeva di trasformare i lupi in docili agnelli, costò allo Stato ebraico 1,028 vite israeliane a seguito di 5,760 attacchi. Di queste vittime, 450 (il 43,8 %) morirono a causa di attacchi suicidi, una tecnica praticamente ignota prima degli Accordi di Oslo. Questo il computo fino alla morte di Arafat nel 2004. Nel totale, dalla firma degli accordi alla fine delle seconda intifada, l’8 febbraio del 2005, le vittime israeliane sono state 1600 e i feriti 9,000.

Questo il prezzo esorbitante di chi si ostinò contro la realtà a volere trasformare non le pietre in pane ma un terrorista senza scampo e cleptocrate bulimico in uno statista. Da allora fino ad oggi, perseverante è stata questa fiction, che regalò all’Autorità Palestinese l’Area A e B della Cisgiordania e parte della Striscia di Gaza, da cui l’Autorità Palestinese venne spodestata da Hamas nel 2007.

L’idea che sulle colline della Cisgiordania, nel cuore di Israele, debba sorgere uno Stato palestinese con vista panoramica su Tel Aviv, visibile chiaramente nelle giornate prive di foschia, è una follia alla pari di quella di avere voluto scambiare Yasser Arafat per Nelson Mandela.

Nell’insediamento di Peduel, nell’Area C, Ariel Sharon soleva portare i politici stranieri in visita per mostrare loro, dal punto che venne poi chiamato “la terrazza di Sharon”, la vulnerabilità strategica di Israele al cospetto di uno stato arabo che si fosse insediato lì, sulle colline.

In un articolo pubblicato sul Jerusalem Post nel 2018, Gideon Sa’ar, ex ministro dell’Educazione e degli Interni, sottolineava con lucidità come fosse necessario rimuovere la fiction dei due stati, la realtà decrepita e agonizzante tenuta in vita tutti questi anni in Israele dalla sinistra con gli Stati Uniti e l’Unione Europea a fare da badanti, per sostituirla con un nuovo paradigma.

“L’unico modo per trovare una soluzione e unire l’autonomia palestinese in Giudea e Samaria al regno di Giordania. Non va dimenticato che i palestinesi della Giudea e della Samaria furono cittadini giordani fino al 1988, quando il re, unilateralmente e illegalmente, li privò della cittadinanza”.

L’annessione a Israele dell’Area C, dal 1993 sotto completa sovraintendenza israeliana e il ritorno delle aree palestinesi come da accordi di Oslo, alla Giordania doterebbe il regno hashemita di quella continuità  territoriale che si era preso con la forza e del tutto illegalmente, dal 1948 al 1967, quando Israele vinse la Guerra dei Sei Giorni e catturò i territori che gli erano stati assegnati dal Mandato Britannico per la Palestina del 1922.

Una soluzione di questo tipo, per quanto riguarda una regione così strategicamente importante per Israele, come la Cisgiordania, abbatterebbe di colpo l’idea obsoleta e nefasta di uno stato palestinese autonomo, che nel giro di poco tempo, come è successo con Gaza, diventerebbe una enclave terroristica con conseguenze ben più gravi per la sicurezza di Israele di quelle determinate dalla presenza di Hamas nella Striscia.

Non è questa la soluzione proposta dall’Amministrazione Trump nel suo piano per la pace, nel quale è rilanciato ancora l’obsoleto e disfunzionale paradigma dei due Stati, ma c’è un indubbio passo avanti, ed è quello di evidenziare che per la sua eventuale nascita, l’Autorità Palestinese debba riconoscere la legittimità esistenziale, non solo il mero fatto geografico, di Israele, e che Hamas rinunci al terrorismo. Due condizioni consapevolmente utopiche. Non è utopico per niente invece ciò che viene concesso a Israele, l’annessione del 30% del territorio in Giudea e Samaria in assoluta ottemperanza con ciò che prevedeva la lettera del Mandato Britannico per la Palestina (assai più ampio nella sua disposizione di concedere il diritto degli ebrei di insediarsi in tutti i territori a occidente del Giordano) e nel rispetto dunque dell’unico documento che abbia ancora oggi una valenza giuridica vincolante e mai superata.

A luglio, salvo intoppi e nonostante le minacce, gli strepiti, le urla degli abituali sostenitori della causa palestinese, la UE, e la Giordania, dove il clan hashemita che la controlla per concessione inglese dalla fine della Prima guerra mondiale, è oggi tenuto in piedi dagli USA e da Israele, ciò che aveva stabilito il Mandato Britannico, diventerà effettivo.

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