Lettere al giornale

Diritti umani e scelte libere

Da Roberta Vital, riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Dal sollievo per la notizia della liberazione della connazionale Silvia Romano si è passati, complice una gestione della comunicazione stile Reality Show, a una spaccatura nella società invasa da accese polemiche.

È partita Silvia è tornata Aisha e questo ha creato un sentimento complesso che sarebbe stato meglio, in alcuni casi, non tradurre istintivamente in parole. Si è sollevata un’ondata di rifiuto nei confronto dell’abito indossato dalla ragazza, prendendo la forma di chi, non sapendo come gestire quella sensazione di rifiuto, lo ha tradotto in insulti di ogni genere.

Da un lato si è sollevato il femminismo, quello che si è battuto per decenni per la liberazione della donna, e il cui manifesto è stato di riappropriarsi del proprio corpo, scoprirsi e proclamarsi padrona delle proprie scelte e dunque uscire dall’ordine costituito da anni di imposizioni maschiliste. Dall’altro i difensori di una ” libera scelta” che a detta loro, spaventava per la presunta forza della sua indipendenza.

Abbiamo letto frasi come “Conato di tristezza e di dolore, vedendo questa giovane sorridente messa in un sacco, come a volerla eliminare, cancellandone l’identità”.

O altre ancora, che indicavano le critiche come puro sessismo perché in realtà altri connazionali, in questo caso, uomini, si convertirono senza tutto questo clamore mediatico e senza il bombardamento aggressivo delle accuse.

Ma se la conversione è una scelta intima su cui nessuno ha il diritto di sindacare, la sua esposizione circondata da alte cariche dello Stato in questo contesto, sdogana anche concetti come la libertà di scegliere e il rispetto dei diritti umani, in questo caso nelle mano di fondamentalisti, e questo merita invece una doverosa riflessione.

Uomo o donna che sia, è irrilevante. È il messaggio trasmesso in mondovisione, ossia quello attinente alla libertà individuale e al rispetto per i diritti umani in un mondo, quello integralista islamico, in cui ogni libertà è repressa, in cui, quella tunica verde è simbolo di oppressione per le donne somale e con quella è stata imposta la negazione della loro libertà.

Libertà di espressione, di culto, libertà sessuale, la libertà di essere ciò che si è, che nel mondo a cui appartengono  i sequestratori  di Silvia Romano, è punita severamente. Ed è proprio da questo ambito che si cerca la liberazione di un ostaggio. Una conversione avvenuta in un contesto coercitivo, indotta certo da chi non rappresenta l’Islam dialogante.

C’è dunque una netta differenza tra quello che dovrebbe essere un rispettoso silenzio davanti una scelta intima, e l’indignazione nei confronti di chi ha evidenziato come la scelta di Silvia Romano non sia maturata in condizioni idonee, cioè in un contesto realmente opzionale. Un contesto di totale assenza di libertà, di imposizione, di ricatto, di oppressione e prigionia che si oppone per contrasto alla democrazia e al concetto di libertà individuale in essa contenuto. Poiché soltanto la democrazia offre una vera libertà di scelta tra diverse opzioni esistenziali, tutte conciliabili con il rispetto dei diritti umani che permette a ognuno di abbracciare la religione che crede o di non abbracciarla affatto, di essere ateo, omosessuale, ebreo, musulmano, cristiano, di essere se stesso. Una scelta si può qualificare come tale, solo se si hanno delle alternative liberamente perseguibili, senza costrizione alcuna. Dunque, spostiamo lo sguardo dall’abito, dalla donna o dall’uomo che sia e rivolgiamolo al nostro concetto di libertà. E’ su questo, soprattutto che dobbiamo fare convergere la nostra attenzione perché è con questi valori, non altri, opposti, con quelli della nostra democrazia e con gli ideali di libertà difesi dal nostro paese, che Silvia Romano è stata liberata.

 

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