Israele e Medio Oriente

Scenario mobile: L’incontro Netanyahu-Trump alla Casa Bianca

Chi si aspettava dal primo incontro ufficiale tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu, dopo l’elezione di Trump a presidente, qualcosa di dirompente o epocale, deve essere rimasto deluso. L’unica rilevante novità, e sicuramente non è poco, è che, per la prima volta dagli Accordi di Oslo, un presidente americano non difende l’opzione dei due stati separati come la più ragionevole e adeguata risoluzione al conflitto arabo-israeliano. Ma attenzione, il fatto che Trump non abbia posto questo come l’esito obbligato, l’inevitabile road map, non significa che venga esclusa, come molti, tendenziosamente, vorrebbero fare credere. E ha suscitato un certo sconcerto che il presidente, evidentemente poco addentro alla questione, abbia disinvoltamente e superficialmente dichiarato durante la conferenza stampa congiunta, che anche l’opzione di uno stato binazionale è sul tavolo, se piacesse ai contendenti. Affermazione che ha fatto scrivere a David Horovitz sul Times of Israel un duro editoriale in cui evidenzia come questa opzione sancirebbe la fine di Israele come stato ebraico.

Netanyahu era molto allegro. Dopo gli otto anni di presidenza Obama e la ben nota distanza di vedute tra i due leader non gli deve sembrare vero avere Trump come interlocutore, e Trump, più compassato, giocava di sponda. Tutto questo è positivo, ci mancherebbe. Il fatto che il presidente americano e il primo ministro israeliano siano in amichevole concordia non è un fatto irrilevante, anche se si sa, Trump è molto più volatile di quanto sembri e non lesina mai ai suoi ospiti e alleati complimenti e iperboli. E’ la cornice di un incontro che in realtà ha partorito poca cosa, se non ribadire, da parte di Netanyahu, la ferma sottolineatura che i negoziati con l’Autorità Palestinese non potranno nemmeno cominciare se essa non riconoscerà il diritto di Israele all’esistenza e dunque la sua legittimità come stato ebraico, prerequisito preliminare insieme alla necessità da parte israeliana di mantenere comunque un cordone di sicurezza intorno alla Cisgiordania. Siamo sempre al punto di partenza. Sì, Trump ha amichevolmente detto all’amico israeliano, trattieniti un po’ sugli insediamenti, ma poi bisogna vedere come, in che misura.

Dopo l’incontro, Netanyahu ha ribadito che a Gerusalemme si costruirà comunque anche se è giusto prendere in considerazione l’esortazione del presidente, tuttavia, come ha affermato in conferenza stampa, gli insediamenti hanno un ruolo secondario nell’economia del conflitto. Difficile dargli torto, essendo il rifiuto arabo nei confronti di Israele l’ostacolo maggiore da settanta anni a oggi.

Per il resto si è parlato dell’eventualità di coinvolgere gli stati arabi in un negoziato allargato, vecchia ipotesi, ma che ora potrebbe essere più facile soprattutto in funzione anti sciita, essendo sia per Trump che Netanyahu, l’Iran il pericolo maggiore.

Il risultato finale è quello di uno scenario fluttuante, in cui tutto resta sospeso in un limbo di buone intenzioni, possibilità, probabilità. Netanyahu torna a casa ringalluzzito con molte foto di pacche sulle spalle, sorrisi e complimenti. Quanto al futuro, chi vuol esser lieto sia, di doman non c’è certezza.

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