Editoriali

“Sgomberare gli insediamenti”. La nostra risposta all’articolo pubblicato su Ugei.it

Un articolo dal titolo “Sgomberare gli insediamenti, perché bisognerebbe farlo e perché sarebbe molto pericoloso”, a firma Simone Bedarida, è stato pubblicato sul sito dell’UGEI (Unione Giovani Ebrei Italiani) ed è stato oggetto di critiche sui social network, facebook in primis. In effetti, i commenti anche sotto il pezzo non sono particolarmente lusinghieri. Peccato, perché più della metà dell’articolo contiene opinioni condivisibili: si tratta della parte che spiega perché sarebbe pericoloso (per Israele n.d.r) sgomberare gli insediamenti, che purtroppo nell’articolo sono definiti colonie (feticcio linguistico antisionista al pari di apartheid, occupazione illegale, razzismo, genocidio, pulizia etnica, nazismo e così via). Simone Bedarida fa l’esempio del fallimento dello sgombero degli insediamenti nella Striscia di Gaza, che non ha in alcun modo pacificato l’area ma anzi ha facilitato l’ascesa dell’organizzazione terroristica Hamas, ed evidenzia quanto sarebbe inopportuno lasciare il Golan al totale controllo della Siria, nazione confinante nemica e inaffidabile: Israele si ritroverebbe l’Isis alle porte di Gerusalemme.
Sgomberare gli insediamenti sarebbe “pericoloso” come da titolo, perché ad oggi nessun accordo di pace è possibile, tutte le proposte in tal senso sono state rispedite al mittente da parte degli arabi palestinesi che “vorrebbero tutto quanto il territorio, non solo quello della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, ma tutto il resto, quello che oggi è Israele e che dovrebbe continuare a esserlo anche nel futuro“, come correttamente riportato da Bedarida. Inoltre gli insediamenti sono fondamentali per garantire la sopravvivenza stessa di Israele. Non solo a Gaza e sul Golan: Yoram Ettinger, su L’Informale, ha spiegato l’importanza strategica anche di quelli in Giudea e Samaria.
Bedarida però conclude con una tesi che contraddice il suo stesso articolo: “finché a governare Israele è la destra, guidata per altro da un uomo particolarmente conservatore come Netanyahu insieme ai suoi ancor più rigidi alleati, tale giorno (della definizione di uno nuovo “status quo” n.d.r.) probabilmente non arriverà mai“, come se Netanyahu e la destra israeliana fossero l’unico vero impedimento. Il resto del suo editoriale ha dimostrato che così non è.

Nell’articolo pubblicato sul sito dell’Ugei si afferma però che gli insediamenti sarebbero da sgomberare perché “atto illegale secondo tutti gli organismi internazionali“, anche se è citato solo il comma 6 dell’articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra.
Vediamo cosa recita: “La Potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato“.
La definizione di “territori occupati” in riferimento alla Giudea e Samaria è contestata da Israele e appartiene alla propaganda filo-palestinese. Tutt’altro che oggettiva, perlomeno discutibile. Ed è un’accusa grave. Si tratta invece di territori contesi che non appartengono né ad uno Stato di Palestina, che ad oggi non esiste, né alla Giordania che se li era annessi (illegalmente) in precedenza. Sono inoltre territori che Israele ha conquistato in seguito ad una guerra (di difesa) vinta: la Guerra dei Sei Giorni del 1967.
Fanno fede gli accordi tra le parti, e qui ci corre in soccorso lo stesso articolo di Bedarida: l’ultimo, del 2008, prevedeva “lo smantellamento della quasi totalità degli insediamenti (e per quelli non sgomberati la Palestina avrebbe ricevuto in cambio alcuni pezzi del Negev), la facilitazione del collegamento tra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, e si sarebbero poste inoltre le basi per delineare una volta per tutte lo status di Gerusalemme Est, per fare sì che potesse diventare davvero la capitale del nuovo stato palestinese: l’idea da parte di Israele era quella di mantenere il controllo sul solo quartiere ebraico della Città Vecchia, e l’intera città di Gerusalemme avrebbe goduto di un controllo internazionale che avrebbe coinvolto sia i rappresentanti israeliani che quelli palestinesi“. Accordo proposto da Israele e respinto dagli arabi palestinesi, come tanti altri in passato. Restituire il Sinai all’Egitto è stato assai più facile.
Inoltre, sempre riferendosi al citato comma della Convenzione di Ginevra, non sussistono fenomeni quali il trasferimento coatto di israeliani nei territori contesi (sono trasferimenti volontari), non si può dire che ci sia una colonizzazione in atto né che l’autodeterminazione dei palestinesi sia messa in discussione o in pericolo. Se tutto questo fosse vero, gli insediamenti sarebbero indifendibili anche qualora fossero indispensabili per la sicurezza di Israele. Ma questa non è la realtà, bensì la propaganda filopalestinese.
A proposito di “diritto internazionale”, oltre alla Convenzione di Ginevra è giusto citare l’articolo 6 del Mandato della Lega delle Nazioni per la Palestina: “L’Amministrazione della Palestina, mentre fa sì che i diritti e la posizione di altre sezioni della popolazione non vengano pregiudicati, faciliterà l’immigrazione ebraica sotto condizioni appropriate ed incoraggerà, in cooperazione con l’agenzia ebraica a cui si fa riferimento nell’articolo 4, lo stanziamento concentrato degli ebrei sul territorio, compresi i territori demaniali e le terre incolte non richieste per scopi pubblici”.
Non è meno importante ed è anche assai più attinente del comma della Convenzione di Ginevra.

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