Interviste

Stefano De Angelis: “Asse Usa-Israele mai così forte come con Trump”

Stefano De Angelis (Chieti, 1986), è Presidente e CEO della De Angelis & Associates – International Consulting Group, una delle compagnie più attive e dinamiche nel settore della sicurezza internazionale con sede in Lexington, South Carolina. E’ considerato tra i maggiori esperti al mondo di antiterrorismo, homeland security, money laundering e risk management. Autore di diversi libri in materia, il suo “Isis Vs West” è best seller di categoria negli Stati Uniti, Europa e Israele.

Stefano De Angelis, cosa cambia nei rapporti tra Usa e Israele con la presidenza Trump?

Dopo otto anni di presidenza liberal targata Obama, in cui i rapporti tra Usa e Israele si erano ridotti praticamente a zero e in cui il Presidente Usa più volte aveva strizzato l’occhio al mondo arabo, anche quello più estremista e antisemita come la Fratellanza Musulmana, direi che questa amministrazione ha rilanciato alla grande una delle alleanze più solide e sicure dello scacchiere internazionale. L’apertura dell’Ambasciata a Gerusalemme, il genero Kushner come mediatore speciale tra Trump e Netanyahu, l’intensa cooperazione in materia di antiterrorismo, sono tutti segnali di un cambio di marcia repentino e positivo per entrambi I Paesi.

Si può aggiungere la cancellazione dell’accordo iraniano, i veti di Nikki Haley sulle risoluzioni antisioniste dell’Onu, il riconoscimento appunto di Gerusalemme capitale. Si può dire che questa attuale sia l’amministrazione statunitense più vicina ad Israele?

Beh è un dato di fatto che questa amministrazione veda in Israele un partner privilegiato e che, anche con azioni drastiche, voglia mostrare al mondo l’interesse degli Usa a tutela dell’unica democrazia del Medio Oriente. In tanti ci avevano provato prima, penso a Truman, a Nixon, a Reagan, a Bush padre e figlio, ma nessuno si era mai spinto così avanti. Storicamente parlando, possiamo affermare che Washington non sia mai stata così vicina ad Israele così come lo è oggi giorno. Quanto a Nikki Haley, e qui forse sono di parte dato che vivo non solo nel suo stesso Stato, il South Carolina, ma addirittura nello stessa cittadina in cui tutt’oggi risiede, Lexington, lei è un genio assoluto, una politica sopraffina, oltre che una persona di grande coscienza e lungimiranza. Bene ha fatto Trump a mettere un profilo di tale moralità e caratura in quell’accozzaglia terzomondista delle Nazioni Unite.

Sul Medio Oriente e non solo, appare netta la divergenza di posizioni tra Usa e Ue. L’Ue, però, non sembra avere alle spalle un consenso popolare significativo, soprattutto nella gestione delle politiche migratorie. A suo parere, i cosiddetti populisti anti-Ue europei sono paragonabili a Trump? E una loro vittoria cosa significherebbe per Israele e il Medio Oriente?

Mi scusi se rispondo con una domanda, ma l’UE ha una politica estera degna di tale nome? Tutto quel che vedo è approssimazione, pregiudizio, antisemitismo allo stato puro in alcuni elementi e una certa inclinazione a stringere rapporti con il fondamentalismo islamico. Penso alla Mogherini e inorridisco dinanzi alle sue parole su Israele. Ma i populisti europei non sono di certo paragonabili a Trump. Vogliono più Stato, più welfare e rappresentano una costellazione di partiti che mai riuscirebbero a correre e vincere un’elezione senza stringere improbabili alleanze. Detto questo, seppure io sia un liberista assoluto, guardo con favore al nuovo governo italiano e seguo con un certo interesse il lavoro dei governi in Austria, Ungheria e in Europa in generale. Cosa rappresenta una vittoria di tali entità per Israele non sta a me dirlo, ma di certo la sinistra che ha governato negli ultimi anni è la peggior interlocutrice al mondo per Gerusalemme.

Come è vissuto il problema del terrorismo islamico ed eventuali collegamenti con l’immigrazione all’interno degli Usa?

Seppur l’11 settembre sia ormai lontano, il tema è sempre molto caldo. Ed è un dato di fatto che l’immigrazione incontrollata generi serie issues in materia di sicurezza. Dato il mio lavoro, in una sorta di riflesso condizionato, mi viene da dire che un Paese senza confini protetti è un Paese particolarmente esposto ad ogni genere di attività criminale. Terrorismo, narcotraffico e tratta di esseri umani prosperano in una nazione che si riempie la bocca, in modo ipocrita, della parola “accoglienza”. L’immigrazione è un fenomeno umano che esiste fin dalla notte dei tempi, ma va gestita in modo razionale e lungimirante, senza ideologie e con uno sguardo intelligente, pensando a cosa e, soprattutto, chi c’è realmente dietro questo fiume in piena di migranti, soprattutto economici, che si sta riversando in Occidente. Una cosa è certa: il terrorismo islamico da anni sfrutta questo canale per installare cellule operative in tutti quei Paesi che spalancano le porte senza farsi troppe domande.

Politicamente, chi non si spende senza ambiguità contro il terrorismo islamico e la gestione incontrollata o quasi dei flussi migratori perde le elezioni pressoché ovunque. Come mai, secondo lei, certe forze politiche insistono nel mantenere posizioni così deleterie?

Troppi interessi. Troppi soldi. L’immigrazione è un business. Il fiume di denaro che genera è un qualcosa che può comprare tutto e tutti. Poi, parlando in termini prettamente ideologici, da decenni la sinistra internazionale è impregnata di terzomondismo allo stato puro, mi sembra quasi logico che non avvertano minimamente la portata del problema. E chi si mette di traverso a questa folle logica ne paga in un certo modo le conseguenze. Anche se, mi permetta, Trump, Salvini, Kurz, Orban e altri, hanno raggiunto il successo anche grazie alla politica del “chiudiamo le porte”. Direi che il vento è cambiato e probabilmente questo è solo l’inizio.

Chi potrebbe essere un Trump europeo, ammesso che ci sia?

Non c’è. Non esiste nessuno con un tale carisma e una tale visione di società. Con tutti i suoi pregi e difetti, Trump oggi rappresenta un qualcosa di unico sullo scacchiere internazionale.

Tornando ai rapporti tra Usa e Israele, quali sono gli scenari futuri?

Direi che ci siano i presupposti per essere più che ottimisti. Questo rapporto inedito e privilegiato sicuramente sta portando a risultati incredibili, basti pensare alle tante aperture nei confronti di Gerusalemme da parte dei Paesi arabi che subiscono l’influenza a stelle e strisce, come ad esempio l’Arabia Saudita. Rimangono tanti nodi sciogliere, dalla questione palestinese ai rapporti con i Paesi confinanti, dalla lotta congiunta al terrorismo alla gestione dei rifugiati in Medio Oriente, ma una cosa è certa: l’asse Usa-Israele non è mai stato così forte e prospero prima d’ora.

Trump potrebbe durare due mandati? E chi potrebbe essere il suo successore? Si parla della figlia Ivanka o della stessa Nikki Haley…

Checché ne dicano Hollywood e la Cnn, Trump gode di una popolarità senza precedenti. È amato trasversalmente dalla silent majority che lavora e produce ricchezza, dai minatori della Pennsylvania ai metalmeccanici del Michigan, dagli agricoltori del Kansas agli avvocati di New York, dagli ingegneri che in Texas estraggono petrolio a coloro che, come il sottoscritto, hanno un’azienda che portano avanti con passione e dedizione e che, grazie alle sue politiche fiscali, riescono ad aumentare i margini di profitto con successiva ridistribuzione della ricchezza per tutti i collaboratori. Inoltre l’elettorato cristiano, fondamentale in ogni elezione, è schierato praticamente in blocco con lui. Il PIL a 4,5 punti è il miglior spot per la sua rielezione, senza contare i risultati raggiunti a livello internazionale, Corea del Nord su tutti. Quindi direi che, sì, Trump probabilmente resterà alla Casa Bianca fino al 2024. Dubito che la figlia Ivanka possa, nel breve-medio termine, correre in un’elezione presidenziale, ma è un’idea che affascina il gossip. Mentre con Nikki Haley il discorso cambia radicalmente. È una politica di lungo corso, qui in South Carolina, dove è nota per la sua serietà e laboriosità, da governatore ha fatto un lavoro straordinario, rendendolo uno degli Stati più prolifici, attraenti e virtuosi degli Usa. Ora alle Nazioni Unite sta facendo perfino meglio, ridando dignità al Paese e ai nostri valori occidentali, supportando lealmente gli alleati e non piegandosi ai diktat dei tanti fondamentalisti che animano il Palazzo di Vetro. Pertanto, sarebbe fantastico averla come Presidente e nulla esclude che lo possa un giorno diventare.

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