Editoriali

Tribunale politico

Nel giugno del 2020, l’allora Segretario di Stato americano Mike Pompeo dichiarò la Corte Penale Internazionale un “tribunale illegale” privo di alcuna giurisdizione nei confronti degli Stati Uniti e annunciò sanzioni economiche nei confronti dei membri della corte impegnati a investigare funzionari o soldati americani.

Ieri, dopo solo due settimane dall’insediamento della nuova amministrazione USA, la Corte Internazionale che avrebbe dovuto pronunciarsi già in estate su Israele per presunti crimini di guerra, ha, in Camera pre-processuale, ritenuto di procedere contro Israele per fatti relativi al conflitto del 2014 e alla sua azione in Giudea e Samaria. Un’accusa fino ad oggi riservata a pochissimi casi nel mondo. Ma prima di entrare in merito alle accuse e su che cosa poggino è opportuno fare qualche considerazione.

Non sembra casuale il tempismo di questa decisione presa dopo che Joe Biden si è insediato alla Casa Bianca. L’istruttoria nei confronti di Israele era stata incardinata alla fine del 2019 dal procuratore capo, giudice Fatouh Bensouda, su richiesta dell’inesistente Stato di Palestina.

La decisione della Corte Penale Internazionale va vista con chiarezza alla luce della sua ragione d’essere, che è esclusivamente politica e non giuridica.  Per adesso il portavoce della Casa Bianca si è limitato a manifestare “preoccupazione”, alla quale si vedrà se seguiranno fatti concreti.

Dopo quattro anni di amministrazione Trump, riprende vigore la “guerra pseudo legale” contro Israele che aveva contraddistinto i due mandati obamiani culminati con la famigerata Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza del dicembre 2016. Questa risoluzione, assieme ad altre risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU, è uno dei puntelli non legali ma politici che sono alla base del procedimento messo in atto contro Israele.

Non ci possono essere dubbi sul fatto che l’ICC sia un organismo tra i più politicizzati – assieme al Consiglio per i diritti umani dell’ONU – a livello mondiale, è la stessa Camera che lo dichiara candidamente citando esclusivamente fonti politiche e non giuridiche per la decisione presa.

Per capire come si è potuti arrivare a questo punto, è opportuno ricostruire il clima politico che ne ha permesso lo svolgimento.

I fatti

Tutto è iniziato nel 2015 quando il non Stato di Palestina è stato ammesso in seno all’ICC. Cosa già di per se illegale in base allo Statuto della stessa ICC. Ma al tempo si era in pieno della seconda amministrazione Obama e in dirittura d’arrivo per l’accordo sul nucleare iraniano che vedeva gli USA e la UE non ammettere divergenze, mentre Israele era in prima linea contro tale l’accordo. Poi, come detto in precedenza, arriva nel 2016 la Risoluzione 2334 (fortemente voluta da Obama) che fornisce un “randello politico” senza precedenti che sarà subito utilizzato dal procuratore capo Bensouda per avviare le indagini e in modo particolare sugli “insediamenti illegali” (anche se non c’è una sola norma del diritto internazionale che li qualifichi come tali). Il procedimento è così avviato ma rimane in “sospeso” per le forti pressioni dell’amministrazione Trump. Rimpiazzati Trump e il suo Segretario di Stato Mike Pompeo, la procedura è ripartita con la decisione di venerdì 5 febbraio della Camera pre processuale. Che ci fosse di mezzo la politica e non la giustizia era chiaro fin dal 2015 con l’ammissione del non Stato di Palestina.

Si immagini cosa potrebbe accadere se l’ICC, andando contro il suo stesso Statuto, ammettesse come paese membro, la provincia autonoma cinese dello Xinjiang abitata dal popolo degli Uiguri (dove, li si che avvengono dei crimini contro l’umanità) e iniziasse un procedimento contro la Cina. Basti pensare a cosa è accaduto al Capo dell’Interpol, e non a un vigile urbano, Meng Hongwei, il quale, letteralmente, scomparve in Cina nel 2018 per poi ricomparire più di un anno dopo davanti ad una corte cinese giusto il tempo per prendere una condanna a 13 anni di carcere per corruzione nel silenzio più totale del mondo intero. Cosa accadrebbe ai giudici che iniziassero un procedimento con la Cina è facilmente intuibile.

In base al suo statuto il Tribunale Penale Internazionale non persegue gli “Stati” responsabili di presunti crimini contro l’umanità ma persegue i singoli individui (capi di Stato, ministri, militari ecc) ritenuti responsabili di crimini. E quando avviene che questo procedimento si mette in moto? Quando lo Stato di cui fanno parte questi individui è giudicato dall’ICC non possedere un sistema di diritto in grado di giudicare gli eventuali crimini commessi. In pratica, i giudici dell’ICC sono dell’opinione che Israele non abbia un sistema legale che possa autonomamente ravvisare violazioni dei diritti umani o “crimini di guerra”. Quindi, se si ritiene necessaria un’azione del Tribunale Penale Internazionale ciò vuol dire che Israele non ha un sistema giudiziario all’altezza e implicitamente ne delegittima il sistema legale. In pratica la Corte ha deciso che Israele non è uno Stato di diritto e che ci vuole l’intervento internazionale per riportare giustizia e diritto.

Entrando, molto brevemente, nelle motivazioni della decisione (sono ben 60 pagine complessive), la cosa che balza subito all’occhio è che tutte le fonti utilizzate per giustificare la decisione sono esclusivamente politiche e non giuridiche. Dall’ammissione del non Stato di Palestina in avanti si citano solo risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU che è un organismo politico e non giuridico. Viene citato anche l’immancabile parere consultivo del Corte di Giustizia Internazionale sulla barriera difensiva di Israele che è bene ricordare non ha nessun valore giuridico (di questo L’Informale si è occupato con un articolo il 25 febbraio 2020)http://www.linformale.eu/la-corte-penale-internazionale-e-il-caso-israele/

In pratica è come se un giudice facesse una sentenza basandosi non sul Codice Penale o Civile, ma sulle dichiarazioni di un partito politico. Infatti, la Corte non cita mai un solo trattato di diritto internazionale o una norma di consuetudine internazionale, come prova di una pratica generale accettata come diritto che sono le uniche fonti di diritto internazionale. E’ sufficiente scoprire quali sono gli Stati promotori delle numerose risoluzioni contro Israele citate dai giudici per rendersi subito conto che loro “consuetudine” del rispetto dei più elementari diritti civili è totalmente inesistente. In pratica accusano falsamente Israele di fare ciò che loro stessi fanno e praticano da decenni a cominciare dal non Stato di Palestina.

Ci troviamo al cospetto di una mossa squisitamente politica da parte di un organismo che non ha alcuna giurisdizione su Israele e che Israele, come gli stati Uniti, non ha mai riconosciuto. Si tratterà ora di vedere nel concreto quali saranno, dopo la “preoccupazione” espressa, le azioni della nuova amministrazione americana.

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