Editoriali

Un accordo problematico

La notizia dell’ormai prossima apertura delle relazioni diplomatiche ufficiali tra Marocco e Israele è stata salutata da vari commentatori come un autentico miracolo di Hannukà, altri come l’ennesimo prodigio dell’alleanza Trump-Netanyhau prima che l’amministrazione USA cambi casacca in favore del blu democratico dal 20 gennaio 2021.

Ovviamente ci vorrà del tempo per vedere se questo accordo, al pari degli analoghi stipulati con Emirati, Bahrein e Sudan, darà i frutti sperati. Soprattutto se tutti questi accordi sapranno resistere ai cambiamenti politici locali, alle tensioni e ai nuovi assetti che inevitabilmente si presenteranno in Medio Oriente nei prossimi anni. La lezione avuta negli anni novanta dopo il grande entusiasmo seguito agli Accordi di Oslo del 1993-1995 è ancora viva: tutto è naufragato con lo scoppio della Seconda intifada e l’orologio della storia è tornato subito indietro per riprendere la sua corsa solo 20 anni dopo.

Da un lato vogliamo essere ottimisti e pensare che questo sia l’ennesimo passo di un percorso che porterà ad una pace lunga, sentita e duratura. Dall’altro non riusciamo a non rilevare delle forti perplessità.

Sono esattamente le stesse perplessità che avevamo rilevato, in merito agli “Accordi di Abramo”, in vari articoli apparsi in questa sede tra agosto e settembre.

Sembra che il copione sia lo stesso: al mero riconoscimento di Israele da parte di un paese arabo, la contro parte araba ottiene qualcosa di concreto e tangibile: questa volta addirittura la sovranità su tutto il territorio dell’ex colonia spagnola del Sahara Occidentale. La stessa logica si ripete senza sosta: Israele e il suo interlocutore sono su piani diversi, tuttavia, per trovare la quadra uno dei due (immancabilmente la parte araba) ottiene qualcosa di tangibile a fronte di un mero riconoscimento. Manca sempre una reale reciprocità. In questo caso c’è una novità assoluta – nonché un pericoloso precedente – “pace in cambio di terra di terzi”. Cioè il Marocco è disposto a firmare una accordo di pace con Israele solo in cambio del riconoscimento americano della sovranità territoriale del Marocco sull’intero Sahara Occidentale.

Ora, qui non si entrerà nel merito della quarantennale disputa tra la popolazione Sahrawi e il Marocco per ragioni di spazio, ma legalizzare, retroattivamente, il principio di aggressione militare e cambiamento etnico (quello attuato dal Marocco ai danni della popolazione Sahrawi nell’area del Sahara Occidentale che sarebbe dovuto diventare indipendente ma impossibilitato a farlo a causa dell’invasione marocchina) è davvero un precedente che non promette nulla di buono. E’ superfluo dire che contrasta tutti i principi del diritto internazionale.

C’è anche da rilevare che la UE, in modo ufficioso, questo principio l’ha già accettato da tempo: non ha mai condannato l’invasione, non ha mai “etichettato” i prodotti marocchini del Sahara; ha anzi, favorito tale pratica con tariffe doganali agevolate e stabilendo canali commerciali privilegiati.

C’è anche un’altra questione che sarebbe interessante conoscere. Se questo accordo di pace in qualche modo affronta la questione della spoliazione dei beni della popolazione ebraica marocchina (oltre 250.000 persone dovettero abbandonare il paese tra il 1948 e il 1967 lasciando tutti i loro averi). E’ prevista qualche clausola negli accordi? O non se ne fa menzione, e mai se ne farà in futuro per non compromettere le relazioni diplomatiche appena suggellate?

Ci si augura che questo accordo di pace porti prosperità ad entrambi i paesi, ma non sembra nascere sotto i migliori auspici.

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