Israele e Medio Oriente

Un caso per un’azione preventiva, di Gideon Sa’ar

Le sfide per la sicurezza di Israele sono state di nuovo al centro del dibattito pubblico negli ultimi giorni. Tuttavia, al dibattito pubblico è mancata una conversazione su come impedire il concentramento delle forze militari dei nostri nemici nei paesi e nei territori confinanti.

È chiaro che le capacità di Hamas (e delle altre organizzazioni terroristiche a Gaza) si rafforzano da un’azione militare all’altra. Questo è accaduto negli ultimi 13 anni, da quando Israele si è ritirato dalla Striscia di Gaza. Tuttavia, la principale minaccia arriva di fatto dal nord del paese.

Nei 12 anni trascorsi dalla fine della Seconda guerra del Libano, Hezbollah ha notevolmente potenziato le proprie capacità, nonostante il fatto che per circa la metà di questi anni il gruppo sia stato pienamente coinvolto nella guerra interna in Siria. Le azioni intraprese da Israele di volta in volta contro la presenza di forze da parte di Hezbollah hanno ritardato questo processo, ma non l’hanno arrestato.

Circa un anno e mezzo fa, in un articolo pubblicato sulla rivista dell’Institute for National Security Studies (INSS), io e Ron Tira abbiamo illustrato le linee rosse di Israele riguardo al contesto siriano-libanese. Abbiamo mostrato, la portata dei tentativi di Teheran – attraverso il suo mandatario Hezbollah – nello sviluppare la capacità per fare un salto di qualità e lanciare un imponente attacco contro le infrastrutture civili e militari di Israele.

L’obiettivo delle fabbriche dei missili di precisione di Hezbollah in Libano è quello di convertire proiettili imprecisi in missili guidati di precisione. Tali missili saranno in grado  di “raggiungere il cuore di Israele con una precisione di 10 metri”, come ha spiegato il primo ministro Benjamin Netanyahu nel suo ultimo discorso alle Nazioni Unite, due mesi fa.

Se Hezbollah riuscisse nel suo intento, potrebbe causare a Israele danni di notevole entità durante uno scontro. Ecco perché nel nostro articolo pubblicato dall’INSS lo abbiamo chiaramente indicato come una linea rossa.

A mio avviso, ci stiamo avvicinando a un punto di non ritorno.

Se in tempi brevi non verrà compiuto un attacco preventivo israeliano, la finestra delle opportunità potrebbe chiudersi. Ciò significa che i futuri attacchi potrebbero essere meno efficaci e comportare un prezzo nettamente superiore. Il vantaggio sarà inferiore e il prezzo più elevato.

Un attacco preventivo potrebbe causare una risposta, ma se non agiremo Israele pagherà un prezzo molto più salato nel prossimo scontro armato.

L’obiettivo di Hezbollah di riuscire a realizzare capacità tali per lanciare un attacco “di qualità” contro le infrastrutture civili e militari israeliane fa parte della sua strategia più ampia, che consiste nel limitare la libertà di azione strategica di Israele, anche nel contesto di una possibile futura svolta nucleare iraniana.

Auspico un attacco preventivo contro le fabbriche dei missili di precisione in Libano e contro altre minacce strategiche che Hezbollah sta mettendo a punto in Libano e appoggerò una decisione di questo tipo.

Allo stesso tempo, è necessario un nuovo approccio per affrontare il tentativo iraniano di stabilirsi in Siria. Finora in questa arena lo schema di azione israeliano è stato all’insegna della “caccia alle forniture di armi”, mentre la strategia iraniana è stata quella di tenere fermamente fede al proprio obiettivo. Teheran è stata attenta a non distogliere in alcun modo l’attenzione dal suo obiettivo, al punto che non reagisce nemmeno agli attacchi compiuti da Israele. Gli iraniani hanno costruito una infrastruttura in Siria che annovera, tra le altre cose, sistemi di intelligence, missili terra-terra e missili terra-aria.

Israele non dovrebbe essere scoraggiato e dovrebbe continuare i propri attacchi in Siria. La restrizione delle attività da parte di Israele per un periodo di tempo prolungato (com’è avvenuto nelle ultime otto settimane) probabilmente limiterà la libertà di azione necessaria per raggiungere il nostro obiettivo.

La realtà in Siria dopo la lunga guerra civile del paese renderà più difficile per noi agire lì in futuro. Israele deve garantire con ogni mezzo necessario (anche militare) che la minaccia di un potenziamento militare iraniano in Siria sia del tutto rimossa prima che la finestra delle opportunità si chiuda. Ciò probabilmente richiederà un’attività israeliana più intensa.

Sul fronte politico, sappiamo che l’amministrazione americana intende rendere pubblico il cosiddetto “accordo del secolo”. La collaborazione fra l’attuale amministrazione statunitense e il governo israeliano oggi è ai massimi storici.

Non conosciamo i dettagli del piano, ma posso solo sperare che l’amministrazione americana – che finora ha eccelso nell’affrontare la questione – eviterà di ripetere gli stessi errori commessi dalle amministrazioni precedenti.

Queste ultime avevano torto a porre al centro della “soluzione” l’idea di creare un nuovo stato arabo nel cuore della nostra terra. Questa idea infelice non solo non fa parte della soluzione, ma ci allontana ulteriormente dalla pace e dalla sicurezza. Aggraverà l’instabilità nella regione e anche i problemi di sicurezza di Israele. Ecco perché numerosi israeliani si aspettano che il nostro migliore amico ora introdurrà un approccio nuovo e inedito, come ha fatto negli ultimi due anni.

Va detto chiaramente: dopo i ritiri di Israele durante il processo di Oslo e il disimpegno di Gaza, non abbiamo altro da dare (territorialmente) e non abbiamo nessuno a cui darlo.

Le direzioni future per qualsiasi processo di pace devono essere separate dal concetto di Oslo e basarsi su accordi regionali che includano la Giordania e l’Egitto. In futuro, l’autonomia araba in Giudea e Samaria (l’Autorità palestinese) dovrebbe essere connessa alla Giordania. Fino al 1988 i residenti arabi della Giudea e della Samaria erano cittadini giordani. Un nuovo piccolo stato arabo nel cuore della nostra terra non può essere e non sarà fattibile. Israele non dovrebbe tornare al paradigma di Oslo.

In conclusione, nel prossimo periodo ci saranno decisioni difficile e coraggiose da prendere. Come ho detto, mi presenterò alle elezioni politiche del 2019 tornando a rappresentare il mio partito – il Likud. Lo farò per rafforzare il mio partito, basato sul nostro cammino, fondato sulla ferma convinzione e sulla tutela dei nostri diritti e degli interessi del nostro paese.

Il testo è basato sul discorso pronunciato da Gideon Sa’ar alla Jerusalem Post Diplomatic Conference.

Gideon Sa’ar, del Likud è stato Ministro dell’Interno  (2009-2913) e Ministro dell’Educazione (2013-2014)

 

Traduzione in italiano di Angelita La Spada

Qui l’originale in lingua inglese

 

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