Israele e Medio Oriente

C’è anche chi gioisce per la morte di Shimon Peres | di Federico Steinhaus

Sami Abu Zuhri, portavoce di Hamas, ha dichiarato all’Associated Press che “il popolo palestinese è molto felice per la morte di questo criminale che ha causato la sua strage”.
Shimon Peres era l’ultimo esponente dei fondatori dell’occupazione, e la sua morte segna la fine di una fase della storia di questa occupazione e l’inizio della nuova fase di debolezza”. E il sito ufficiale di  Hamas scrive che “malgrado il fatto che lui sia stato uno dei costruttori degli insediamenti, egli divenne uno dei fautori della pace e parlò spesso della necessità di fare concessioni ai palestinesi”.
E infine anche l’agenzia stampa ufficiale palestinese WAFA ha scritto che “Peres è responsabile per la morte di palestinesi e per molti crimini. Lui è uno degli architetti degli insediamenti in Cisgiordania ed a Gerusalemme Est, e come primo ministro è stato responsabile per l’uccisione di rifugiati palestinesi nel Libano meridionale” nel 1993. “Peres è morto senza dover rispondere alla giustizia per i suoi crimini sanguinosi in Palestina e nel Libano. Una tragedia per le sue vittime, che riposino in pace” è stato il commento twittato dallo scrittore palestinese-americano Ali Abunimah.
Mahmud Abbas (Abu Mazen) invece si è unito al cordoglio per la morte di Peres, che ha definito uomo di pace, che aveva lavorato insieme alla dirigenza palestinese per raggiungere accordi di pace.
Un altro tweet di condoglianze è arrivato, del tutto inaspettato, dal ministro degli Esteri del Bahrein – che non ha relazioni diplomatiche con Israele – Sheikh Khaled bin Ahmed al-Khalifa, ed ha suscitato le ire di molti arabi.
La scomparsa di un protagonista, il massimo protagonista insieme a Ben Gurion, ma più longevo e poliedrico del suo grande mentore, dell’ intera storia oramai lunga settant’anni di Israele e responsabile primo della sue trasformazione da stato-rifugio dei sopravvissuti alla Shoah a potenza mondiale in campo militare e scientifico lascia dunque il segno. Ed è un segno che va interpretato secondo diversi parametri di lettura.
Innanzi tutto, come ha detto Netanyahu, il giorno della morte di Peres è stato il primo giorno di Israele senza di lui.
Il destino di Peres è stato tutt’uno col destino di Israele fin dalla fondazione.
Ma Peres ha incarnato anche le due facce della medesima medaglia quando ha ritenuto di dover difendere la sopravvivenza dello stato con le armi e quando al contrario ha trasfuso ogni sua energia nella ricerca di una pace gusta e durevole col popolo palestinese. La bomba atomica, l’impresa di Entebbe che è costata la vita al fratello di Netanyahu, e gli accordi di Oslo sono un tutt’uno, indivisibile, della vita di Peres.
Il mondo – quasi tutto, esclusi gli arabi e l’Iran – piange per la sua morte, ma in realtà piange solamente la morte del Peres pacifista, dimenticando per opportunismo il Peres deciso a difendere con ogni mezzo Israele. Un cordoglio ipocrita, dunque, da accogliere ma non da analizzare troppo a fondo.
Nel frattempo Israele è diventato fornitore di gas naturale alla Giordania e si propone di rifornire anche l’Europa in un prossimo futuro; all’ONU il discorso di Netanyahu con la sua offerta ad Abu Mazen di parlare alla Knesset è stato apprezzato; l’Arabia Saudita si torva ad essere un alleato oggettivo di Israele non meno dell’Egitto.
Che, scomparso Peres, il suo sogno di pace si possa realizzare?
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