Editoriali

D’ALEMAH

Ora non abbiamo più dubbi, se mai li avevamo, che l’Arab connection di Massimo D’Alema e il suo persistente, inossidabile pregiudizio antiisraeliano, non fossero solo il portato di una ben robusta formazione ideologica di sinistra (ah il vecchio PCI antisionista!), ma si trovassero ancorati a qualcosa di ben più profondo.

E’ l’ex presidente del Consiglio impareggiabile velista e viticoltore a svelarci l’arcano, la sua discendenza o meglio ascendenza araba. “Non c’è alcun dubbio sull’origine araba della mia famiglia: D’Alema, Halema, Halim. Siamo tra quegli arabi che servirono Federico II di Svevia”, ha dichiarato recentemente.

Quante cose si comprendono meglio, assumono una pregnanza diversa al cospetto di questa rivelazione. Come ad esempio la passeggiata che D’Alema o D’Alemah fece nel 2006 insieme a Hussein Hajii Hassan, deputato di Hezbollah, la formazione integralista libanese vocata alla distruzione di Israele che ha fatto dell’antisemitismo e dell’antisionismo più radicali una vera e propria bandiera.

D’Alema allora, con la solita spocchia, dichiarò «Hezbollah mi sembra difficilmente liquidabile come un gruppetto terroristico essendo un movimento di natura assai complessa. Hezbollah è innanzitutto un partito politico che gode di un vasto consenso democratico, di una robusta rappresentanza parlamentare e che fa parte del governo di quel Paese che le Nazioni Unite dicono che dobbiamo sostenere».

Eh già, “il vasto consenso democratico”. Magnifico lavacro nel quale mondare ogni impurità. Accadde anche a Hitler nel 1933 di ottenerlo vasto. Ma non confondiamo il Volk con l’Umma, per favore. Gli antenati di D’Alema si adonterebbero assai del confronto e forse anche Tariq Ramadan, il mellifluo nipote di Hassan al Banna, fondatore di quei Fratelli Musulman dei quali Matthias Küntzel a proposito del loro contributo all’umanità scrive:

“L’innovazione più significativa della Fratellanza fu il suo ricorso al jihad come guerra santa, che differiva significativamente da altre dottrine contemporanee, e in associazione con ciò il perseguire appassionatamente l’obbiettivo di morire la morte del martire nella lotta contro i miscredenti…Il punto di partenza dell’islamismo è la nuova interpretazione del jihad, abbracciata con militanza irremovibile da Hassan al Banna, il primo a promuovere questo tipo di jihad in epoca moderna”.

D’Alema che considera Ramadan interlocutore autorevole e illuminato, condivise con lui a firma congiunta un memorabile pezzo sul quotidiano belga Le Soir nel 2015 in cui si magnificava la società multiculturale e l’Islam pacifico e aperto di cui Ramadan sarebbe un fulgido esponente, lui che su Israele ha nel tempo riversato le abituali accuse di apartheid e genocidio e che non ha mai disconosciuto uno scampolo della Weltanschauung del nonno.

Ma tornando a D’Alema, l’importante è essere fedeli a una idea, a un progetto, essere ideologicamente affini. Gli antenati di D’Alemah, servivano Federico II di Svevia, lui la “causa di liberazione palestinese” contro “l’occupazione” sionista.

Dall’Hohenstaufen ad Arafat.

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