Israele e Medio Oriente

I danni della risoluzione “antisionista” 3379 dell’Onu e della propaganda sovietica

Il 19 maggio 2015 moriva improvvisamente a Roma, dove era in visita, Robert Wistrich, uno dei massimi studiosi mondiali di antisemitismo. Wistrich, tra libri e articoli, ha dedicato migliaia di pagine al fenomeno in tutte le sue ramificazioni. Riguardo ad esso aveva una visione del futuro improntata al massimo realismo. Vedeva con lucidità il profondo legame tra radicalismo islamico e antisemitismo, così come sottolineava che il nuovo antisemitismo avesse assunto il volto dell’antisionismo, soprattutto dopo il 1975, quando le Nazioni Uniti bollarono il sionismo come una forma di razzismo. Purtroppo questa risoluzione, anche se revocata nel 1991, ha provocato danni giganteschi imponendo a Israele un’immagine radicalmente distorta che ancora oggi, in buona parte delle’opinione pubblica, è collegata allo stato ebraico.

La storia e il retroscena della risoluzione 3379 ci aiutano a comprendere il ruolo dell’antisemitismo nell’ambito della politica internazionale. Chi operò affinché la risoluzione passasse? L’Unione Sovietica in amorevole combutta con gli stati arabi. La vittoria di Israele durante la Guerra dei Sei Giorni nel 1967 fu un duro colpo per l’Unione Sovietica, la quale aveva preso sotto la sua egida l’OLP confidando di potere usare la causa palestinese per condurre gli stati arabi nella propria sfera di influenza, cosa che effettivamente avvenne in parte, in modo particolare con la Siria e l’Egitto.

L’espulsione dei consiglieri sovietici dall’Egitto, gli accordi tra Israele ed Egitto del 1973 e quelli tra Israele e Siria nel 1974 furono tra le cause che spinsero l’Unione Sovietica e l’OLP a pianificare l’espulsione di Israele dalle Nazioni Unite per rimpiazzarlo con l’organizzazione palestinese.
I simili attirano i simili, e tra i promotori dell’iniziativa di espulsione ci fu anche l’allora dittatore ugandese Idi Amin, il quale, all’assemblea generale del 1 ottobre 1975 invitò gli Stati Uniti a liberarsi dai sionisti e creare le condizioni affinché i “veri cittadini” della Palestina potessero autodeterminarsi. Un po’ come aveva fatto lui con gli ugandesi.

In buona compagnia di Amin, l’Unione Sovietica (insieme all’OLP) si adoperò affinché il sionismo venisse condannato. Il primo passo venne compiuto con la risoluzione del dicembre del ’73 durante un’assemblea generale il cui focus era l’apartheid sudafricano, e si stigmatizzava “L’indecente alleanza tra il colonialismo portoghese, il razzismo sudafricano, il sionismo e l’imperialismo israeliano”.

Il trucco è, come sempre, linguistico. Si mischiano a dovere le carte, si stigmatizzano il razzismo sudafricano e il colonialismo portoghese e inserendovi nel mezzo Israele lo si rende partecipe sia dell’uno, sia dell’altro.

Ma la condanna vera e propria avvenne più tardi, nel luglio del ’75 a Città del Messico durante la conferenza internazionale dell’Anno delle Donne indetta dalle Nazioni Unite. Il testo redatto proclamava stentoreamente che la pace richiedeva “L’eliminazione del colonialismo, del neocolonialismo, l’occupazione straniera, il sionismo, l’apartheid e la discriminazione razziale in tutte le sue forme”. Nell’agosto dello stesso anno, a Kampala, l’organizzazione dell’Unità Africana rincarò la dose associando il regime razzista in Zimbabwe al “regime” israeliano, entrambi originati dall’imperialismo. Il termine “Imperialismo” era , insieme a “capitalista”, “sfruttatore dei lavoratori”, “nemico del popolo” ecc. uno dei feticci lessicali preferiti della formidabile macchina propagandistica sovietica.

Grazie alla ferma opposizione americana, Israele non venne né espulso né sospeso dalle Nazioni Uniti ma ciò non impedì che il 16 ottobre del 1975 e il 10 novembre successivo, l’Assemblea generale passasse la risoluzione 3379 la quale dichiarava che “Il sionismo è una forma di razzismo e discriminazione razziale”. Risoluzione appoggiata a maggioranza di 75 contro 35 dall’Unione Sovietica e dagli stati arabi.

Ora qui c’è da fare una parentesi non a favore di Israele né del mondo ebraico e che riguarda la sottovalutazione della risoluzione. L’atteggiamento generale fu quello di dire, “Sì, è accaduto un fatto grave ma non qualcosa di così compromettente”. Quanto questa sottovalutazione sia stata miope lo hanno poi mostrato gli anni a venire. La risoluzione 3379 sarebbe diventata una potente arma di propaganda contro lo stato ebraico usata a più non posso dai suoi detrattori. Già nel 1976 e nel 1977, in Gran Bretagna, otto unioni studentesche avevano fatto propria l’equiparazione sionismo=razzismo partorita dalla risoluzione. Questa equiparazione sarebbe penetrata rapidamente all’interno del mondo accademico. Il suo effetto deleterio dura ancora ai nostri giorni. Va notato come, a seguito dell’approvazione della risoluzione, l’ONU con passo spedito inizio a produrre altre risoluzioni contro Israele. Nel periodo dal 1969 al 1972 il ritmo fu di quattro risoluzioni all’anno. Durante il periodo dal 1973 al 1978 si arrivò a sedici all’anno e nel 1982 ci fu un balzo in avanti deciso, con quarantaquattro risoluzioni. All’interno dell’ONU, dove era riuscito a rimanere nonostante il progetto iniziale di espulsione arabo-sovietico, Israele veniva considerato una sorta di stato paria.

Questo effetto domino determinò il progressivo mutamento di atteggiamento da parte di Israele nei confronti della risoluzione e la decisione di agire per la sua rimozione, cosa che non fu facile e che accadde in virtù dell’intervento decisivo degli Stati Uniti da parte dell’amministrazione Bush. Nel settembre del 1991 George H. W. Bush, rivolgendosi all’Assemblea Generale dell’ONU, affermò perentoriamente la necessità di abrogare la risoluzione 3379, sottolineando come il sionismo non fosse una dottrina politica ma l’idea che aveva condotto alla creazione dello stato di Israele. Sottolineò altresì la flagrante contraddizione in cui si trovava coinvolto l’ONU, il quale non poteva da una parte dichiarare di cercare la pace e dall’altra mettere in discussione lo stesso diritto all’esistenza di Israele. Ma non fu certo l’esortazione etica di Bush a determinare l’abrogazione della risoluzione, quanto l’istruzione data a tutti gli ambasciatori statunitensi di fare presente agli stati facenti parte dell’ONU che una loro mancata adesione all’abrogazione della risoluzione avrebbe potuto compromettere i legami con gli Stati Uniti. Questa fu la ragione che determinò il successo dell’abrogazione.

Purtroppo, dopo sedici anni, la risoluzione 3379 aveva abbondantemente determinato i suoi effetti perniciosi. Il potere dello stigma è grande, penetra in profondità nelle coscienze e lascia effetti duraturi. Nonostante la riabilitazione successiva, Israele era stato collettivamente marchiato, e di nuovo attraverso un numero di protocollo, come quelli timbrati sulle braccia dei deportati nei campi di concentramento. Ai nostri giorni l’equiparazione di sionismo e razzismo continua, a dimostrazione del grande successo conseguito dalla risoluzione.

Robert Wistrich non ha mai smesso, nel corso di una vita dedicata allo studio dell’antisemitismo nelle sue molteplici forme, di sottolineare come l’antisionismo sia una forma aggiornata di antisemitismo e come l’odio per Israele nasca soprattutto dall’odio per gli ebrei. La scellerata alleanza della Unione Sovietica con l’OLP e gli stati arabi per demonizzare Israele non nasceva da parte sovietica dall’antisemitismo, ma trovava, nell’ampio credito che esso aveva all’interno del mondo arabo, una fortissima e perdurante adesione. La stessa che permane oggi.

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