Editoriali

I falsari e la realtà

Su “Bet Magazine Mosaico”  organo ufficiale della Comunità ebraica di Milano del 13 luglio appare un appello dal titolo, Contro l’annessione: una voce ebraica italiana, una protesta globale. Già il titolo, nella sua iperbole, evoca un orizzonte assai ampio, tuttavia il respiro dello scritto è corto, quasi asfittico, diremo, nonostante l’entusiasmo del titolatore.

Il pezzo si associa vibrantemente  a un altro appello, quello promosso e capeggiato a maggio da settanta parlamentari del centrosinistra e indirizzato al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, allo scopo di condannare Israele nella sua intenzione di estendere la propria sovranità su una porzione di territori della Giudea e Samaria (Cisgiordania, West Bank).

A leggere alcune delle firme in calce alla protesta ebraica su Mosaico, non si può fare a meno di notare quanto, alcune di esse, rappresentino il fior fiore della Haskalah diasporica italiana, ovvero la rappresentanza degli ebrei illuminati e giusti per i quali, i correligionari che dissentono appartengono proverbialmente alla categoria guarescana dei trinariciuti.

L’appello è un esemplare breviario di luoghi comuni stagionati e falsità consolidate che farebbe la letizia dell’ufficio propaganda dell’OLP o dell’Autorità Palestinese, con l’aggiunta di nuove gemme.

Vediamoli.

Portatori di sensibilità  politiche e religiose differenti, ci accomuna la forte opposizione all’occupazione israeliana dei territori palestinesi e, oggi, al piano di annessione previsto…L’annessione unilaterale di porzioni della Cisgiordania rappresenta un colpo fatale per la realizzazione di un futuro di giustizia e pace tra israeliani e palestinesi e viola il diritto internazionale. 

La sensibilità comune è un collante forte, ma non basta a trasformare la realtà in fiction. I territori “palestinesi” sono tali geograficamente, in quanto ubicati al di fuori di Israele. Solo in questo senso eminentemente toponomastico si possono definire “palestinesi”. Non esiste, infatti, sui territori della Giudea e Samaria alcun detentore sovrano legittimo dal 1948 ad oggi. Il massimo che si possa dire, in ossequio al diritto internazionale, è che essi siano contesi, tuttavia, vi è una forte, anzi fortissima legittimità israeliana su di loro, sancità dal Mandato Britannico per la Palestina del 1922, mai abrogato nelle sue disposizioni originarie.

Il termine “occupazione” consegue all’abbaglio di fare credere che essi siano palestinesi di dotazione e che gli israeliani vi permangano abusivamente. Le parole stregano, non solo quelle dei poeti, ma soprattutto quelle di megafoni solerti al servizio della propaganda, come ben sapeva il dottor Goebbels.  Altra fola perpetrata ad arte e tutta giocata sull’ambiguità del termine. Va aggiunto inoltre che il concetto stesso di “occupazione” è stato svuotato di senso con gli Accordi di Oslo e in modo evidente con l’Accordo Provvisorio del 1995 il quale, all’articolo XI stabilisce che i poteri civili e l’autorità in tutti i territori sia esercitata dall’Autorità Palestinese con l’esclusione dell’Area C, sulla quale il potere dell’Autorità Palestinese non si estende. Lo stesso Accordo stabilisce all’Articolo XII(1), stipulato, come gli altri, con i palestinesi, che Israele abbia il diritto di permanere a tutela difensiva degli insediamenti ebraici e della loro popolazione. In altre parole, “l’occupazione” riguarderebbe la salvaguardia israeliana sulla popolazione ebraica legittimamente insediata nella porzione di territorio che le compete.

“Annessione” è altro termine fraudolento, così come è del tutto falso affermare che l’estensione di sovranità, perchè questo è, sarebbe in violazione del diritto internazionale. Quale diritto internazionale? Gli autori o l’autore dell’appello non lo dice. Si limita al flatus vocis  della formula. In verità non può esservi annessione laddove i territori in oggetto sono già stati allocati a Israele nel 1922 dal Mandato Britannico per la Palestina, e sui quali Israele ha piena legittimità giuridica di estendere la propria sovranità.

Nessuna delle numerose risoluzioni ONU prodotte negli anni a ritmo serrato contro lo Stato ebraico con il copioso concorso degli Stati musulmani e arabi, e nelle quali viene ribadita la presunta illegalità della presenza israeliana in Cisgiordania e degli insediamenti che vi si trovano, ha valore sul piano legale, non essendo alcuna delle risoluzioni in oggetto giuridicamente vincolante.

Gli stessi Accordi di Oslo del 1993-1995 prevedono che la questione relativa alla distribuzione e all’eventuale cedimento dei territori da parte israeliana avvenga nel contesto di negoziati tra le parti. Dopo 25 anni e dopo il costante rifiuto arabo di accettare le proposte israeliane, da Camp David nel 2000, a Taba nel 2001, e in seguito con la proposta fatta da Ehud Olmert ad Abu Mazen nel 2008, anch’essa respinta, è giunta l’ora di riconoscere il fallimento degli Accordi e procedere a legalizzare una porzione (il 30%) dei territori.

La tanto invocata pace a cui l’appello fa riferimento, non è mai giunta a realizzarsi, unicamente e inequivocabilmente, in virtù della indisponibilità araba a ogni intesa con Israele, cominciando dal 1947 in sede ONU, quando, dopo la Risoluzione 181, in cui il territorio demandato agli ebrei dal Mandato Britannico per la Palestina del 1922, veniva ulteriormente decurtato a favore degli arabi, essi rigettarono la Risoluzione e procedettero ad attaccare il nascituro Stato ebraico nel 1948 allo scopo di annientarlo. Ad oggi in nessun documento ufficiale sia dell’OLP che dell’Autorità Palestinese è riconosciuta la legittimità esistenziale di Israele. Vi è stato solo ed unicamente da parte dell’Autorità Palestinese un riconoscimento formale di fatto.

Se portata a termine, l’annessione consoliderà de jure la discriminazione sistematica dei palestinesi, negando i loro diritti individuali e collettivi. Inoltre il Primo Ministro israeliano ha dichiarato che hai residenti palestinesi dei territori annessi non verrebbe conferita la cittadinanza. 

Così come la gatta frettolosa fece i gattini ciechi, il falsario poco esperto crea patacche grossolane. Basterebbe conoscere le disposizioni vigenti degli Accordi di Oslo per sapere che nella tripartizione delle aree della Cisgiordania, A, B e C, l’Autorità Palestinese ha piena giurisdizione legale e politica sulla prima, e in parte sostanziale anche sulla seconda, e che, unicamente l’Area C è demandata al controllo politico e militare israeliano. L’eventuale estensione di sovranità sul 30% dei territori circoscritti nel perimetro di tale area, lascerebbe agli arabi palestinesi che vi dimorano la la loro specificità, non facendoli diventare automaticamente cittadini israeliani, nella prospettiva di un futuro Stato palestinese nel quale confluirebbero. La salvaguardia della loro autonomia specifica, alla luce di questa prospettiva, sarebbe, per gli autori dell’appello, una forma di discriminazione.

La criticità di questo progetto è resa ancora più acuta dal quadro all’interno del quale si inserisce, il ‘Deal of the Century’ del Presidente Trump, che dietro la falsa promessa della creazione di uno Stato palestinese, prospetta in realtà una entità priva di continuità territoriale e di sovranità politica.

I falsari che accusano di falsità chi non lo è sono pari alle donne di facili costumi che danno lezioni di virtù, suscitano sconcerto e ilarità. La continuità territoriale di un possibile Stato palestinese, per le evidenti caratteristiche geografiche del territorio in essere, non può essere omogenea. Nonostante ciò, il piano di pace targato Trump prevede un notevole investimento in infrastrutture nel quale sarebbe anche ipotizzato un collegamento tra la Cisgiordania e Gaza. La sovranità sullo Stato palestinese sarebbe pienamente trasferita agli arabi palestinesi, tuttavia, lo Stato non potrebbe avere un proprio esercito così come altri Stati, il Liechtenstein, Monaco, Panama, Grenada, senza per questo che la loro sovranità sia diminuita.

I fatti parlano sempre il linguaggio inequivocabile della realtà, l’ideologia, di cui, questo appello è impregnato come una spugna, si incarica di sostituirli con dei simulacri.

 

 

 

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