Islam e Islamismo

Il fuoco sciita

“Non scherzate con il fuoco” ha detto Trump all’Iran, che con le fiamme ha lunga dimestichezza, da Zoroastro in poi. Fuoco sacro, purificatore, escatologico, quello con il quale, nell’Armageddon finale, Israele dovrebbe essere combusto. Sono antiche storie, iscritte in un passato di profezie in cui tra cieli corruschi e fiamme, i guerrieri di Allah si scontreranno nella battaglia decisiva contro l’empietà.

Come ha evidenziato Matthias Küntzel, uno dei maggiori studiosi mondiali del complesso intreccio tra jihadismo, antisemitismo e islamismo “La politica estera iraniana non è mai orientata allo status-quo ma è millenarista e rivoluzionaria, con la distruzione di Israele in cima alle sue priorità”.

Gli USA per Teheran sono il Grande Satana, la culla del peccato. Così era per l’ayatollah Khomeini, l’esule di Parigi che tornò in patria, Lenin sciita, a “liberare” il popolo oppresso dallo Scià, pedina dell’impero del male americano. Bei tempi quelli prerivoluzionari, quando tra Israele e Iran i rapporti erano ottimi. Tutto svanito, naturalmente, con la rivoluzione del ’79 e il ritorno del rigorismo islamico.

Da allora Israele e gli USA sono diventati i due satana in combutta, il minore e il maggiore, i nemici da abbattere, finora solo con proclami, ma da colpire, soprattutto con tanto terrorismo esportato sull’onda della rivoluzione khomeinista. Terrorismo da esercitare o direttamente, o tramite proxies, vedi alla voce Hezbollah, Hamas, talebani. Scorriamo di seguito alcune delle tappe più significative delle imprese terroristiche finanziate dall’Iran nell’ultimo ventennio. Si tratta di protocolli intrisi di sangue.

A Beirut, il 18 Aprile 1983 ha luogo un attentato all’ambasciata americana che provocherà 63 morti. Sempre a Beirut, il 23 ottobre 1983, 241 marines verranno uccisi in quello che è ancora oggi il più clamoroso attentato nei confronti degli USA precedente l’11 settembre.

Il 12 Dicembre 1983 è la volta dell’attentato all’ambasciata americana in Kuwait che causerà 5 morti e 86 feriti. Il 20 settembre 1984 sarà il turno dell’attentato a un distaccamento dell’ambasciata americana a Beirut Est che provocherà 24 morti. Il 17 marzo 1992 tocca all’ambasciata israeliana a Buenos Aires con 29 morti e 242 feriti a cui farà seguito, due anni dopo, il 18 luglio del 1994, l’attentato all’AMIA, centro della comunità ebraica sempre a Buenos Aires che causerà 85 morti e 300 feriti. Il terrorismo sponsorizzato dall’Iran prosegue il 25 giugno del 1996 con l’attentato alle Khobar Towers in Arabia Saudita lasciando al suolo 19 americani morti e provocando 372 feriti.

A questa lunga lista di crimini va aggiunto il supporto armato e logistico dato dall’Iran alle milizie sciite e sunnite combattenti le forze della coalizione e causa della morte di migliaia di soldati americani. Come dichiarò nel 2010, James Jeffrey, l’ambasciatore americano in Iraq, “Almeno un quarto delle perdite americane (4,491) possono essere ricondotte senza dubbio a gruppi di matrice iraniana”.

A partire dal 2006 l’Iran offre il suo supporto ai talebani nel teatro di guerra afghano. Secondo il Dipartimento del Tesoro, “Dal 2006 l’Iran ha organizzato frequenti spedizioni di piccole armi e munizioni di vario tipo ai talebani”. A questi vanno aggiunti i 1000 dollari retribuiti per ogni soldato americano ucciso.

“Per quanto riguarda l’Iran, si tratta del maggiore sponsor del terrorismo al mondo”, ha dichiarato il generale James “Mad Dog” Mattis, nuovo Segretario della Difesa, ieri a Tokyo. “Credo sia saggio chiarire all’Iran che quello che sta facendo è osservato da molti”. Il riferimento di Mattis al lancio di un missile predisposto per testata nucleare avvenuto nei giorni scorsi, segue la dichiarazione di Donald Trump.

L’accordo sul nucleare fortissimamente voluto da Barack Obama non sembra offrire grandi garanzie ai nuovi membri della Casa Bianca. Accordo che non ha mai convinto i Repubblicani e che, nel 2015 è stato al centro di una aspra battaglia congressuale preceduta dal controverso discorso che il premier israeliano Benjamin Netanyahu tenne al Congresso lo stesso anno.

Netanyahu mise in luce con forza la grande minaccia rappresentata da un Iran dotato di capacità nucleare, in primis per Israele, ma non solo. E’ assai probabile che sia quello che ripeterà a Trump il 15 di febbraio quando i due si vedranno nell’incontro bilaterale previsto a Washington. Con il nuovo presidente americano, il primo ministro israeliano avrà una buona sponda nel sottolineare come il regime scita rappresenti il più grande pericolo per la stabilità regionale.

Ci vuole molto sangue freddo e lucidità per affrontare la realtà dissipando le illusioni obamiane in merito a un regime teocratico che lentamente ma inesorabilmente abbandonerà i propri sogni neo imperiali, il dettato rivoluzionario di Khomeini e il proprio apocalittismo teologico per convertirsi al pragmatismo. Bisogna guardare dentro l’assoluta inaffidabilità di Teheran, alla sua doppiezza.

E’ con il fuoco che l’Iran scherza, ma non nel senso metaforico inteso da Trump. E’ un fuoco vero, da creare in laboratori predisposti. Una volta ottenuto non saranno occidentali considerazioni di buon senso che impediranno all’Iran di farne uso.

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