Editoriali

Il giudice demiurgo e il vulnus alla democrazia

A seguito della annunciata  e necessaria riforma della giustizia da parte del neo eletto governo Netanyahu e dei ripetuti interventi per presentarla come un attentato alla democraticità di Israele, da parte di colui che è stato per decenni, quando era in carica e poi successivamente, l’autoproclamato supplente della democrazia israeliana, Aharon Barak, ripubblichiamo, per la sua stretta attualità, un articolo di Niram Ferretti del 2019.  

Chi governa in Israele? La risposta a questa domanda è fondamentale per comprendere il funzionamento dello Stato e il peso reale degli attori politici. Ma chi sono gli attori politici? Gli attori politici dovrebbero essere, tautologicamente, i politici, cioè i membri del governo in carica che siedono in parlamento in virtù della volontà degli elettori. Alla Knesset, nello Stato ebraico. Dovrebbe essere cioè l’esecutivo il principale organo di decisione politica, di emanazione delle leggi, il luogo che indirizza il paese nelle decisioni fondamentali che riguardano lo Stato. Da Lo Spirito delle Leggi in poi. Teoricamente. Perché c’è un altro potere, quello giudiziario, che in Israele, più che in qualsiasi altro paese, e non da molto, non solo fa da supplente al potere dell’esecutivo, ma si sovrappone ad esso, lo soverchia, lo umilia.

Un nome per tutti. Aharon Barak, presidente della Suprema Corte di Israele dal 1995 al 2006 e precedentemente Procuratore Generale di Israele dal 1975 al 1978, nonché decano della facoltà di Legge dell’Università di Gerusalemme dal 1974 al 1975. Insomma un mandarino della legge, o come lo ha definito recentemente Ben Dror Yamini, il “rabbino imperiale della legge”.

Barak, più di ogni altro giurista israeliano ha impresso all’Alta Corte una svolta che ne ha mutato profondamente la funzione trasformandola in quella che un altro giurista, Amnon Rubinstein ha definito, “un governo parallelo”. Difficile dare torto a Rubinstein, poiché sotto la lunga presidenza  di  Barak la Corte, da organo di interpretazione della legge, si è trasformata in organo interventista sulla stessa formazione delle leggi.

Nella visione decisionista di Aharon Barak la Suprema Corte è attore attivo a tutti gli effetti sulla carne dello stesso corpo sociale e dunque legislativo, andando ben oltre la funzione che un simile organo ha in qualsiasi altro paese democratico. Una sorta di Soviet supremo, in cui il giudice è demiurgo plasmatore e non solo arbitro ultimo della legalità. Tutto ciò, ovviamente in nome della “democrazia” e della sua salvaguardia. Aharon Barak, come tutti i virtuosi assolutamente convinti di avere una missione è uomo di pochi dubbi ma determinazione ferrea.

Nell’aprile del 2007 il giurista americano Richard Posner, certamente non un simpatizzante di Israele, scrive su The New Republic un articolo dedicato a Barak, dal titolo emblematico, Despota illuminato, in cui sottolinea l’eccezionalità delle norme di legge partorite dalla mente di questo politico travestito da giudice, di questo fondamentalista della legge che anche oggi che è in pensione, continua ad esercitare la sua influenza sulla scena giuridica e politica israeliana . Vediamone qualcuna.

“Tra le norme di legge, le opinioni giuridiche di Barak sono state strumentali nel creare leggi  che non hanno alcuna controparte nel diritto americano: i giudici non possono essere rimossi dalla legislatura, ma solo da altri giudici; ogni cittadino può chiedere a un tribunale di bloccare l’azione illegale da parte di un funzionario governativo, anche se il cittadino non ne è personalmente colpito; qualsiasi azione governativa che sia “irragionevole” è illegale (“in parole povere, l’esecutivo deve agire ragionevolmente, perché un atto irragionevole è un atto illecito”); un tribunale può proibire al governo di nominare un funzionario che ha commesso un reato (anche se è stato graziato) o che è messo sotto esame etico in un altro modo, e può ordinare il licenziamento di un ministro se deve affrontare un procedimento penale. In nome della “dignità umana” un tribunale può costringere il governo ad alleviare i senzatetto e la povertà e un tribunale può revocare gli ordini militari e decidere “se impedire il rilascio di un terrorista nel quadro di un ‘accordo politico’, e indirizzare il governo nello spostare il muro di sicurezza che impedisce ai kamikaze di entrare in Israele dalla Cisgiordania”.

La volontà del popolo di Rousseau è qui trasformata nella volontà della Legge che si incarna nel suo grande sacerdote, di cui Aharon Barak ha assunto le vesti, o nel caso del monarca, si è conferito da se medesimo, l’unzione. Non a caso, sempre Posner, nell’articolo citato, sottolinea come Barak dia “per scontato che i giudici abbiano l’autorità intrinseca di scavalcare gli statuti. Un tale approccio può essere descritto con precisione come usurpativo”.

Se per Montesquieu “Non c’è piú libertà se il potere di giudicare non è separato dal potere legislativo e dall’esecutivo. Infatti se fosse unito al potere legislativo, ci sarebbe una potestà arbitraria sulla vita e la libertà dei cittadini, in quanto il giudice sarebbe legislatore” (Lo Spirito delle Leggi, XI, 6), per Barak vale esattamente il contrario. Il giudice deve essere legislatore. Ma attenzione, in una parodia dell’incunabolo che sta alla base della separazione dei poteri nelle democrazie moderne, anche Barak afferma la separazione dei poteri, solo che, come sottolinea sempre Posner:

“Barak invoca la ‘separazione dei poteri’ come ulteriore supporto alla sua concezione aggressiva del ruolo giudiziario. Ciò che intende per separazione dei poteri è che i rami dell’esecutivo e del’legislativo non abbiano alcun grado di controllo sul ramo giudiziario…nella concezione della separazione dei poteri di Barak, il potere giudiziario è illimitato e la legislatura non può rimuovere i giudici“.

Veniamo ora al caso scottante dei nostri giorni, o forse è meglio dire all’inverno di scontento di Benjamin Netanyahu, accusato di abuso di ufficio, frode e corruzione. Ben Dror Yamini, come già accennato, acuto analista di centro sinistra, in un articolo pubblicato su Ynet il 3 di marzo, non risparmia bordate severe al sistema giudiziario israeliano e a quello che è, a tutti gli effetti, il suo potere parallelo e assoluto. Così scrive:

“I membri del Karmim Forum, ex alti avvocati dello Stato e giudici della Corte Suprema che si sono incontrati al Kramim Hotel, hanno fatto pressione sul Procuratore Generale per indirizzarlo in un senso molto specifico. Non che conoscessero i dettagli. Non avevano letto le migliaia di pagine che dovrebbero essere lette prima di prendere una decisione. Ma sapevano in anticipo quale sarebbe stato l’esito. A tal fine, anche questa settimana si sono arruolati in una campagna che crea un clima di intimidazione. ‘Lo Stato di diritto è nei guai, i guardiani devono essere sorvegliati, il Procuratore Generale è uno di loro’, ha detto il rabbino imperiale legale, Aharon Barak, questa settimana”.

Sì, bisogna sorvegliare i guardiani e soprattutto “indirizzarli”. In attesa che Benjamin Netanyahu sia ascoltato in audizione dal Procuratore Generale Mandelblit, prima della quale, non sarà possibile sapere se verrà effettivamente processato oppure se Mandelblit accoglierà la sua versione dei fatti, c’è un’altra urgenza ben maggiore, ed è quella di riformare l’impianto assolutista impresso da Aharon Barak alla Corte Suprema di Israele, un vulnus insopportabile per la democrazia.

Prima del tentativo di rimuovere a forza Netanyahu dal suo ruolo di primo Ministro attraverso una virulenta campagna di demonizzazione interamente basata su prove indiziarie, è necessario che ai giudici e al potere giudiziario sia restituito il ruolo che essi dovrebbero avere, non secondo Aharon Barak ma secondo Montesquieu.

Occore fare presto.

 

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