Israele e Medio Oriente

Il rifiuto islamico di Israele e la passeggiata del ministro

La passeggiata di tredici minuti, ben tredici “inesauribili” minuti, del neo ministro della Pubblica Sicurezza israeliano, Itmar Ben Gvir, sul Monte del Tempio/Spianata delle Moschee, diventa una minaccia per la stabilità mediorientale.

Alla riprovazione internazionale si aggiunge la convocazione di una sessione del Consiglio di Sicurezza Onu il 5 gennaio. Chi ne chiede la convocazione? Chi non ne fa parte. La delegazione palestinese e quella giordana, ma questo non importa, per la bisogna vengono mandati avanti i rappresentanti della Cina e degli Emirati arabi, sì, gli Emirati arabi, quelli degli “storici” Accordi di Abramo, gli “amici”.

Suona l’allarme rosso perché un ministro israeliano certamente noto per la sua scarsa moderazione, “provoca”. Non è moderato come Abu Mazen, che nel 2015 dichiarò che non sarebbe stato permesso agli ebrei “dai piedi sporchi” di insozzare il suolo sacro islamico del sito dando così vita a una lunga serie di accoltellamenti di cittadini e militari israeliani nominata “l’Intifada dei coltelli”.  Lui, Ben Gvir, osa appunto camminare con i suoi piedi sporchi in un luogo sacro per l’ebraismo da millenni.

Ma i millenni di primogenitura ebraica sul sito e nei luoghi circostanti viene corrosa dalla riscrittura della storia operata dalla propaganda islamica con rappresentanza cospicua all’ONU e all’UNESCO, sua appendice culturale, dove, nel 2015 e nel 2016, vengono forgiate due risoluzioni su dettato, incaricate di rinominare il sito del Monte del Tempio, Al Haram Al Sharif e il Muro Occidentale, Muro di Al Buraq.  

Nessuno si scandalizzò ovviamente, salvo Israele, e nessuno ascoltò la dichiarazione fatta il 14 ottobre del 2016 subito dopo la Risoluzione UNESCO da parte di Mohhamed Al Habbash, consigliere di Abu Mazen per le questioni religiose, il quale disse:

“Gerusalemme è terra occupata palestinese. Gerusalemme è proprietà dei palestinesi. La risoluzione dell’Unesco di ieri. [Ottobre. 13, 2016] è una vittoria per la verità. E’ una vittoria per la giustizia, è una vittoria per la vera storia di questa terra e per tutta l’umanità. La risoluzione dell’Unesco conferma ciò che pensiamo e in cui crediamo, che Gerusalemme e in particolare la Moschea di Al-Aqsa e il Muro di Al-Buraq (il Kotel) e la piazza di Al-Buraq, sono luoghi puramente islamici e palestinesi e nessun altro può avere il diritto di esservi associato. Nessuno ha il diritto. Noi siamo i padroni e noi ne abbiamo il diritto. Solo i musulmani hanno il diritto ad Al-Aqsa, al Al-Buraq e alla piazza di Al-Buraq che sono puramente proprietà waqf islamica…”.

Il problema effettivamente è Ben Gvir, sono i suoi piedi che si associano al suolo definitivamente islamico del sito. Come si permette il gaglioffo? Così come è un problema ogni ebreo che osi aprire bocca là dove una volta sorgeva il Tempio di Salomone, per dire una preghiera. Ma siccome così va il mondo, e così va perché nel 1967 Israele confermò per quieto vivere, alla Giordania, (che nel 1950 si era annessa illegalmente Gerusalemme Est dove aveva provveduto senza esitazione a distruggere le sinagoghe che vi si trovavano collocando al loro posto delle latrine), la tutela del luogo, se ne traggano le debite conseguenze. È normale dunque che concedendo a chi ti vede come un usurpatore, come un ladro, che non ti riconosce alcun legame storico e culturale con la tua terra, si riceva in cambio l’accusa di volere fomentare la tensione, di volere modificare lo status quo vigente.

Il problema è Ben Gvir, l’incendiario Ben Gvir, che cammina per tredici minuti là dove non dovrebbe camminare nessun ebreo, come non dovrebbe camminare, per chi ha convocato la riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nessun ebreo sul suolo di Israele.

Il presente articolo è apparso su Informazione Corretta

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