Israele e Medio Oriente

Un accordo imperfetto parte seconda

Dopo oltre due anni dalla stipula degli Accordi di Abramo, si può tentare di tirare un primo provvisorio bilancio di questa “storica iniziativa”, come da più parti è stata dipinta con eccessivo entusiasmo. Noi all’ Informale avevamo avuto modo di essere un po’ più dubbiosi sulla reale portata di tali accordi (http://www.linformale.eu/un-accordo-imperfetto/).

L’analisi fatta nell’agosto del 2020 si chiudeva così: “…Questa è la vera scommessa: puntare sul cambiamento di paradigma arabo nei confronti di Israele – con la sua piena accettazione di legittimità esistenziale – oppure ritrovarsi nei prossimi anni a lottare diplomaticamente in tutte le sedi mondiali per conservare il libero accesso al Kotel per tutti gli ebrei. 

Ora, la cronaca politica di questo primissimo scorcio di inizio 2023, ci ha fornito già degli spunti degni di riflessione che si ricollegano con le parole sopracitate e ci forniscono degli elementi per riprendere l’analisi fatta due anni orsono.

Il primo episodio è relativo alla votazione tenuta all’Assemblea Generale dell’ONU del 30 dicembre 2022, relativa alla richiesta formulata da questa Assemblea, e votata compattamente da tutti gli Stati arabi, compresi i firmatari degli Accordi di Abramo, alla Corte Internazionale di Giustizia in merito alla legalità dell’”occupazione israeliana dei territori palestinesi compresa Gerusalemme est”. Questo significa che per tutti i paesi arabi indistintamente il Kotel è “territorio palestinese occupato”. Se a questo aggiungiamo che per quanto si è visto fino ad ora, dalla stipula degli accordi di Oslo trenta anni fa, agli ebrei è interdetto il recarsi nei territori “palestinesi liberati” è facilmente desumibile che qualora venisse “liberata” anche quella parte di Gerusalemme, agli ebrei sarà vietato il potersi recare al Kotel con il pieno consenso di tutti i paesi arabi compresi quelli “amici”.

Il secondo punto di riflessione è l’annunciato viaggio del neo premier Netanyahu negli Emirati Uniti, sarebbe stato il primo all’estero del neo premier, ma subito rimandato a tempo da destinarsi per imprecisati problemi logistici. La reale causa del rinvio è stata la “profanazione della Spianata delle moschee” operata dal neo ministro Ben Gvir. Che una semplice visita di un ministro del governo di Israele in un luogo, che per quanto sacro all’Islam, lo è altrettanto per gli ebrei, della capitale del paese di cui egli è un rappresentante governativo sia visto nella migliore delle ipotesi come una “provocazione” e nella peggiore come una “profanazione”, la dice lunga sulla percezione che gli Stati arabi “amici” hanno di Israele. E’ da sottolineare che Ben Gvir si è attenuto alle regole di condotta concordate tra Israele e il Wakf giordano nel corso dei decenni scorsi. Nulla di offensivo o provocatorio è stato compiuto ma è la semplice presenza di un ministro, che si è sempre distinto nel voler affermare la piena sovranità israeliana su Gerusalemme, vista come un crimine. Questi episodi ci confermano tutti i dubbi che avevamo espresso due anni orsono.

Ora proveremo a vedere un po’ più nel dettaglio come si sono sviluppati concretamente i rapporti tra Israele e i firmatari degli Accordi di Abramo: EAU, Bahrein, Marocco e Sudan. Con quest’ultimo paese il rapporto è presto detto: non ci sono scambi commerciali, né culturali o turistici né di altro tipo. Si ha la netta e ragionevole sensazione che il Sudan abbia firmato l’accordo di pace con Israele unicamente perché il Presidente Trump ha promesso, a fronte della firma del trattato, di togliere il Sudan dalla lista dei paesi “canaglia” cioè sponsor del terrorismo. La cosa è ufficialmente avvenuta il 14 dicembre 2020 e da allora non si è mosso più nulla  

EAU 

Le relazioni tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti sono senza dubbio le migliori e le più prospere rispetto sia a tutti gli altri paesi firmatari degli Accordi di Abramo, sia rispetto anche a “storici” partner di pace come Egitto e Giordania. Questo come vedremo vale solo dal punto di vista commerciale mentre per il resto il rapporto è similare a quello con altri paesi arabi che hanno relazioni diplomatiche con Israele: scarsa amicizia e alcuni interessi comuni. 

Dal punto di vista commerciale, l’interscambio è cresciuto moltissimo dalla firma degli accordi: si è passati, infatti, da circa 200 milioni di dollari fino al 2020, a oltre 1 miliardo e 200 milioni del 2021 e per il 2022 si prevede il superamento dei 2 miliardi di dollari di interscambio. Ad una più attenta analisi dei dati relativi al 2021 si scopre che Israele ha esportato negli Emirati merci e servizi per circa 384 milioni di dollari mentre gli Emirati hanno esportato in Israele per circa 837 milioni di dollari, quindi molto più del doppio (fonte: Abraham Accords Peace Institute e United Nations COMTRADE). Quindi l’accordo è stato senz’altro un buon affare per l’EAU. Si vedranno in futuro i dati relativi al 2022.

Dal punta di vista culturale e turistico, in questi due anni, la relazione tra i due paesi è del tutto asimmetrica: da una parte si registra la presenza di alcune centinaia di migliaia di turisti israeliani nelle maggiori città degli Emirati, mentre la presenza di turisti emiratini in Israele si è limitata a circa 1.600 persone. Due sembrano le cause principali per questa disparità relazionale: la prima e più importante è la percezione ancora molto negativa e ostile della popolazione emiratina nei confronti di Israele. Questo è confermato da uno studio condotto dal Washington Institute polling, dal quale si evince che nel 2020 il 49% della popolazione degli Emirati era contraria agli accordi, mentre alla fine del 2022 la percentuale è aumentata al 67%. Per un altro istituto, il Washington Institute for Near East Policy, le percentuali sono addirittura peggiori: si è passati dal 53% dei contrari del 2020 al 75% del 2022. La seconda causa è l’aperta ostilità dimostra dalla popolazione arabo-israeliana nei confronti dei pochi turisti provenienti dagli Emirati: diversi sono stati i casi registrati di aggressione verbale e fisica a Gerusalemme, oltre a questo c’è stata anche l’aperta condanna da parte del Gran muftì di Gerusalemme, Muhammad Ahmad Hussein per la loro presenza, che li ha accusati di “tradimento”. L’asimmetria dei turisti è confermata anche dall’asimmetria delle visite ufficiali dei ministri dei due paesi nel paese “amico”: rarissimi i ministri dell’Emirato giunti in Israele, numerosi invece quelli israeliani recatisi negli Emirati. Senza dubbio la politica è lo specchio del sentimento della popolazione. 

Bahrain

Del tutto analogo a quello con gli Emirati è il rapporto commerciale, politico e culturale tra Israele e il Bahrein con la sola differenza delle cifre: l’interscambio commerciale tra i due paesi è insignificante (nel 2021 ammontava complessivamente a meno di 10 milioni di dollari). Pochissimi i turisti tra i due paesi, con la netta prevalenza di quelli israeliani nel paese del golfo (quelli dal Bahrein sono stati così pochi che non esiste un dato ufficiale), e scarse le relazioni politiche. In Bahrein gioca anche il fatto che la popolazione è meno legata alla casa regnante rispetto agli Emirati (è presente una grande comunità sciita che si oppone ai regnanti). Una ricerca condotta dal Washington Institute polling sul gradimento degli Accordi di Abramo ha indicato una visione positiva nel 45% della popolazione nel 2020, percentuale scesa al 20% nel 2022. In pratica se questa decisione fosse dipesa dalla popolazione non si sarebbe mai raggiunto nessun accordo. 

Anche per il Bahrein, come per gli Emirati, si ha la netta sensazione che gli Accordi di Abramo siano soprattutto funzionali in ottica difensiva anti iraniana: c’è l’esigenza da parte delle monarchie del golfo di trovare un alleato che si dimostri più affidabile degli USA in caso di minaccia iraniana. In questa ottica bisogna anche segnalare un riavvicinamento dei paesi del golfo anche alla Turchia e al Qatar con il quale avevano chiuso i rapporti diplomatici. 

Passata la paura iraniana rimarrà spazio per l’amicizia con Israele? 

Marocco 

Forti dubbi furono da noi espressi, all’indomani dell’annuncio dell’accordo di pace tra Israele e il Marocco, sulla premessa stessa alla base dell’accordo (http://www.linformale.eu/un-accordo-problematico/). A distanza di due anni questi dubbi permangono e i dati delle relazioni tra i due paesi li confermano. 

Da un punto di vista politico nulla è cambiato: il Marocco, al pari di tutti gli altri paesi arabi, si schiera sempre e incondizionatamente contro Israele in tutti i forum internazionali. Dal punto di vista commerciale, l’interscambio è aumentato nel corso di questi due anni. Nel 2021 Israele ha esportato in Marocco per circa 110 milioni di dollari e il Marocco ha esportato per 113 milioni. Le cifre sono ancora modeste ma in aumento rispetto al periodo pre accordo. L’asimmetria riscontrata con gli Emirati è ancora più marcata con il Marocco (viste le dimensioni del paese e il numero dei suoi abitanti): oltre 40.000 gli israeliani che si sono recati nel paese nordafricano, solamente 500 i turisti marocchini in Israele. Questo vale anche per le visite ufficiali dei ministri. Mentre per quel che concerne il sentimento della popolazione, secondo un sondaggio effettuato dall’istituto Arab Barometer, solo il 31% dei marocchini si è dichiarato favorevole alla sigla dell’accordo di pace. 

Per adesso rimaniamo della convinzione che gli Accordi di Abramo si siano sviluppati nella falsariga degli accordi di pace con l’Egitto e la Giordania: accordi volti ad accontentare il grande finanziatore degli stessi, gli USA; ma ben poco amichevoli e di rispetto da parte di Egitto e Giordania. Vedremo cosa porterà il futuro quando Emirati e Bahrein percepiranno l’Iran come una minaccia non più pericolosa. Per adesso si registra solo molta più ingerenza da parte loro nelle questioni interne di Israele ben poco compensata da vantaggi economici, politici e culturali di cui usufruiscono.  

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