Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

Il perenne giacimento antisemita

L’antisemitismo in Europa nel corso dei secoli, ha assunto forme poliedriche che hanno toccato anche personaggi di grande cultura e intimamente democratici. In questa ottica è interessante ricordare un episodio, poco noto al grande pubblico, avvenuto tra il primo ministro francese Georges Clemenceau e il leader sionista Haim Weizmann in occasione delle trattative che si svolsero a Parigi al termine del Primo conflitto mondiale. Però prima di entrare nello specifico dell’episodio è opportuno ricordare velocemente chi fosse Clemenceau e sottolineare il clima culturale nel quale visse. 

Georges Clemenceau nacque in una famiglia repubblicana fortemente anticlericale, si laureò in medicina (professione a cui non si applicò molto). Dotato di una vasta cultura in campo letterario e filosofico si dedicò con passione al giornalismo. Divenne, nel corso degli anni, uno stimato politico e un grande statista: ricoprì varie cariche ministeriali e fu primo ministro durante le trattive di pace a Versailles nel 1919. 

Ebbe grande notorietà durante gli anni del processo Dreyfus, che spaccò letteralmente la Francia in due. Durante le manifestazioni più violente di carattere antisemita scatenate dalle forze reazionarie e nazionaliste della società francese, prese senza esitazioni le difese del capitano ebreo alsaziano. Assieme ad Emile Zola, nel 1898, fu uno degli artefici che portarono alla riapertura del caso e alla sua riabilitazione (Dreyfus non ottenne la piena assoluzione a causa del clima politico pesantemente antisemita dell’epoca ma dovette fare richiesta di grazia). Non ebbe esitazioni ad attaccare le frange più antisemite definendole “clericali e bigotte”. 

Aveva numerosi amici ebrei, tra i quali si possono ricordare Luis Mullem, Arthur Meyer, Jacques e Joseph Reinach e Cornelius Herz che fu uno dei maggiori finanziatori del suo giornale La Justice. Suo figlio Michel sposò una donna ebrea, Ida Michnay, originaria dell’attuale Slovacchia. In pratica Clemenceau era senza dubbio l’equivalente dell’odierno politico e attivista “progressista”. 

In Francia, il clima politico e sociale – durante l’attività giornalistica e politica di Clemenceau – era contrassegnato da un pesante antisemitismo nonostante la Francia fosse lo Stato europeo più “tollerante” e che per primo aveva riconosciuto i pieni diritti civili e religiosi alla componente ebraica della cittadinanza. Questa apparente contraddizione non deve stupire. Larghe fasce della popolazione non aveva ancora pienamente accettato che gli ebrei francesi, grazie alla Rivoluzione del 1789, avessero gli stessi pieni diritti di tutti gli altri cittadini e restavano ancorati agli stereotipi e ai pregiudizi dei secoli precedenti. Per di più, numerosi ebrei non essendo più costretti a vivere nei ghetti e potendo accedere a tutti i mestieri e alle cariche (anche pubbliche) in poco tempo avevano iniziato a ricoprire importanti posizioni in tutti i campi. Questa ascesa sociale era vista, negli ambienti nazionalisti e cattolici, con diffidenza, stupore e odio. Come si vedrà a proposito di Clemenceau questo pregiudizio non era assente neanche a sinistra. Che lui stesso fosse imbevuto di analoghi pregiudizi antiebraici traspare numerose volte nei suoi scritti e nelle frasi da lui pronunciate con amici, collaboratori o avversari politici. 

Si scorge in Clemenceau una vera e propria ambivalenza nei confronti degli ebrei; da un lato dimostrava ammirazione nei loro confronti in quanto singoli individui con molta cultura, perfettamente integrati nella società francese e che ne condividevano i valori. Sostanzialmente ammirava molto gli ebrei “depurati” della loro ebraicità”, dall’altra, con quelli che desideravano conservare le tradizioni e la cultura ebraica aveva una posizione molto meno tollerante e ricca di stereotipi, come si evince dagli scritti prodotti dopo vari soggiorni nell’Europa dell’Est.

E’ utile ricordare, come esempio, che in occasione dell’accettazione da parte di Alfred Dreyfus della grazia del Presidente della Repubblica, nel 1899, Clemenceau affermò che “il temperamento degli ebrei non li spinge ad affrontare la battaglia”. Questo tipico stereotipo antiebraico (smentito dalla percentuale di ebrei caduti in tutte le guerre che era ben superiore alla loro percentuale sulla popolazione complessiva) non teneva conto di quello che Dreyfus aveva passato nei cinque anni precedenti e soprattutto delle possibilità quasi nulle di ottenere il ribaltamento di un’accusa costruita a tavolino dalle massime cariche dell’esercito francese.

L’Episodio

Haim Weizmann era il capodelegazione dell’Organizzazione Sionista presente a Parigi per perorare la causa del popolo ebraico al fine della ricostituzione di una patria nazionale ebraica, nel futuro riassetto generale del Medio Oriente fuoriuscito dal pluri secolare dominio turco. Il 27 febbraio, Weizmann aveva discusso un proprio memorandum contenente le richieste sioniste davanti al Consiglio delle Grandi potenze. Aveva già ottenuto l’appoggio britannico e in linea di massima anche quello delle altre Potenze. Clemenceau non era presente all’incontro in quanto ancora convalescente a causa dell’attentato subìto pochi giorni prima.

Quando Weizmann e Clemenceau si incontrarono molto brevemente, come testimoniò un ufficiale britannico presente all’incontro (il colonnello Richard Meinertzhagen), dopo una veloce descrizione delle richieste a nome del popolo ebraico fatta da Weizmann, Clemenceau disse: “Noi cristiani non possiamo perdonare gli ebrei per aver crocifisso Cristo”. Questa frase racchiude bene duemila anni di antigiudaismo cristiano.

La prima considerazione da fare in merito a Georges Clemenceau è che non si può certo accusare di avere coltivato nel passato posizioni pregiudiziali verso gli ebrei, come dimostra chiaramente il caso Dreyfus. Tuttavia va rilevato che all’epoca del processo, Clemenceau era all’opposizione e non al governo. In occasione dell’incontro con Weizmann, Clemenceau era a capo dell’esecutivo francese e vedeva minacciate le prerogative francesi in “Terra Santa” dalle richieste ebraiche. Il fatto di dover rinunciare al solo protettorato dei Luoghi Santi del cristianesimo era visto come una minaccia agli interessi francesi. Se a questo aggiungiamo lo stress per l’attentato subìto e i forti contrasti con i britannici e gli arabi di Feisal per interessi molto divergenti in Medio Oriente, si capisce chiaramente che sotto la spinta di una forte pressione anche il “laico e anticlericale” Clemenceau, non sia riuscito a contenere il riaffiorare del plurisecolare astio antiebraico presente nella cultura europea.

E’ importante rilevare che parole di quel tenore le espresse unicamente a Weizmann e non ad esempio a Feisal con il quale ebbe dissapori ben più gravi che portarono ad una rapida rottura tra i due. Viene spontaneo ipotizzare che l’acceso anticlericalismo di Clemenceau fosse reale fintanto che riteneva la Chiesa una minaccia per la Repubblica francese ma non avesse molto a che fare con il suo antigiudaismo. Per capire meglio l’ambivalenza di Clemenceau è necessario analizzare nel dettaglio la frase riferita a Weizmann, che comincia con l’inciso “Noi cristiani”. E’ interessante la scelta del “noi” che ha il duplice significato di specificare che egli stesso lo è (quindi si fa portavoce delle istanze di tutti i cristiani) e se c’è un noi, evidentemente c’è un “voi” che è interpretato come un antagonista, in questo caso, non perdonabile a causa delle colpe dei suoi antenati.

“Non possiamo perdonare gli ebrei per aver crocifisso Cristo, è una affermazione in linea di continuità con la tradizione antigiudaica del cristianesimo più conservatore che Clemenceau aveva combattuto. Da questa frase si può trarre una considerazione fondamentale, la presenza irriducibile di un substrato culturale, o giacimento, così radicato da condizionare anche le élite più “progressiste”. Tutto ciò risulta essere ancora più sconcertante se consideriamo il contesto nel quale fu fatta questa accusa: una conferenza internazionale di pace dai contenuti squisitamente politici e diplomatici.        

In pratica, Clemenceau, facendosi forza della falsa accusa di deicidio, pone Weizmann e tutto il movimento sionista su un piano moralmente inferiore al suo e a quello degli altri governi cristiani. Le conseguenze politico-diplomatiche di questo atteggiamento sono chiare: “voi” non potete trattare alla pari ma dovete accontentarvi di quello che decidiamo “noi cristiani”. A ben vedere questo atteggiamento è analogo a quello che ancora oggi si ha nei confronti di Israele, non  fondato su un rifiuto teologico cristiano ma su un rifiuto religioso e politico islamico riassunto nella persuasione che Israele sia nato nella colpa e dunque meriti di essere trattato con regole diverse da quelle che valgono per tutti gli altri Stati. 

Per comprendere meglio il clima del tempo (che, fondamentalmente è il medesimo di oggi) è utile riportare anche un altro giudizio espresso da un economista della delegazione britannica, niente di meno che John Maynard Keynes, il quale, riferendosi ad un consulente finanziario presente nella delegazione francese, Louis Klotz, così si espresse,”Klotz rimanda a tutti l’immagine dell’orribile ebreo che stringe la borsa dei soldi”. La colpa di Klotz era quella di rimanere rigido in merito alle richieste per le riparazioni tedesche nei confronti delle Francia dopo quattro anni di una devastante guerra che non aveva precedenti. Di posizioni rigide durante le trattative di Parigi ve ne furono parecchie e portate avanti da molti delegati ma nessuno venne giudicato in modo analogo. Un altro esempio di come l’antisemitismo fosse trasversale e ben diffuso nelle élite politiche, anche progressiste, ben prima del sorgere del nazismo.

In conclusione duemila anni di antisemitismo, declinato di volta in volta nelle sue molteplici forme di antigiudaismo, antisemitismo e antisionismo, si manifesta anche inconsapevolmente e non solo non riesce ad essere cancellato, ma sviluppa, come un virus, nuove varianti.    

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