Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

Il “problema” Israele

L’informale nasce nel novembre del 2018, otto anni fa, con l’intenzione di fornire ai lettori interessati, in modo documentato e rigoroso, una serie di articoli e interventi sul Medio Oriente, sull’antisemitismo e su tematiche relative al mondo ebraico. La sua attenzione precipua è sempre stato Israele.

In questi otto anni abbiamo avuto la fortuna di ospitare molti autori, alcuni di fama internazionale, come Daniel Pipes, Robert Spencer, Georges Bensoussan, Bat Ye’or, Benny Morris, e altri, i quali ci hanno permesso di comprendere attraverso la loro corposa conoscenza di temi legati alla storia dell’Islam, al mondo arabo e al conflitto arabo-israeliano, le ragioni e i meccanismi sottesi all’odio nei confronti di Israele. Un odio inflessibile che trae principalmente linfa da quello che uno dei suoi maggiori studiosi, Robert S. Wistrich, definiva “l’odio più persistente”, o “l’ossessione letale”, diventati poi i titoli di due suoi libri seminali dedicati all’antisemitismo.

Israele è l’unico Stato al mondo al quale i suoi critici più feroci imputano la sua stessa esistenza. Non avrebbe dovuto esistere. Nemmeno durante la Seconda guerra mondiale, o durante il periodo della Guerra fredda, Stati tra di loro implacabilmente antagonisti come la Germania e la Gran Bretagna, o gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, hanno spinto la loro delegittimazione reciproca al punto tale di dichiarare che il proprio nemico non aveva alcun diritto all’esistenza, che il problema fondamentale non stava nei valori o nella visione del mondo di cui era portatore, o nella sua aggressività o disumanità, ma, appunto, nel semplice fatto del suo esistere.

Il desiderio di cancellare dalla faccia della terra Israele, oggi ufficialmente e programmaticamente dichiarato dall’Iran, e quindi da Hamas, che il 7 ottobre scorso ha dato un assaggio atroce di quello che farebbe con tutti gli ebrei israeliani, uomini, donne e bambini, se potesse farlo, e in passato incarnatosi nel tentativo di realizzarlo da parte dei paesi arabi, non è altro, sostanzialmente, se non la continuazione della convinzione profonda che nutre ogni antisemita genuino; che gli ebrei stessi sono il male e che la loro scomparsa dalla faccia della terra sarebbe un bene per l’intera umanità.

L’espressione più incandescente e devastante per conseguenze di questa convinzione, si è avuta con l’avvento del nazismo, quando Hitler progressivamente arrivò alla determinazione della Soluzione Finale, atta a “purificare” il mondo dal “male” ebraico e che in Medio Oriente, Amin al Husseini, il Mufti di Gerusalemme, si era incaricato di promuovere.

Nessuno che non abbia un minimo di senso della realtà, la capacità di guardare le cose senza pregiudizi, sia egli ebreo o non ebreo, non può non vedere che chi considera Israele un “cancro”, una “pestilenza”, un “abominio”, nutre esattamente questa stessa idea: che il “male” ontologico rappresentato dagli ebrei sia passato al loro Stato.

Certo, viene affermato, ci sono  anche numerosi ebrei che sono critici nei confronti di Israele, e che non ne auspicano la dissoluzione. Ma la critica nei confronti di Israele, quando questa critica non è fondata sulla più vieta demagogia e propaganda, quella secondo la quale in Israele si praticherebbe l’apartheid nei confronti dei palestinesi, come pensava l’arcivescovo anglicano Desmond Tutu, “lottatore per i diritti umani” elogiato da Hamas, o si genociderebbe la popolazione araba che nei decenni non ha fatto che incrementarsi, o che la Giudea e la Samaria sarebbero, contro ogni fondamento storico e giuridico, territori “palestinesi” occupati illegittimamente da Israele, e altro ancora, difficilmente, se non quasi mai, evita questo tipo di retorica e menzogna, fermandosi solo un attimo prima di affermare quello che l’Iran e Hamas dichiarano da decenni, che Israele è una realtà da rimuovere dalla geografia mediorientale.

Il fatto è, detto brutalmente e senza esitazioni, che quello che fa realmente problema relativamente a Israele, è fondamentalmente proprio questo, la sua esistenza. Va  ammesso a denti stretti, hanno ragione gli antisemiti quando auspicano la sua distruzione o dichiarano che non doveva nascere, perché sanno cogliere con una precisione maggiore e una maggiore onestà intellettuale, il cuore del problema, quello che i critici ideologici camuffano dietro le loro accuse fantasiose e la loro delegittimazione politica.

L’odio per gli ebrei, the longest hatred per citare ancora Wistrich, si prolunga dunque, inevitabilmente, dentro Israele, ne è la sua fisiologica continuazione, e i numerosi ebrei, tutti immancabilmente di sinistra, che abitualmente criticano Israele, dentro o fuori di esso, affetti, nella migliore delle ipotesi da uno stordimento ideologico che rasenta la patologia o nella peggiore, da una ripugnante malafede, (e i primi a venire in mente nell’un caso o nell’altro, sono quelli di Zeev Sternhell, Illan Pappe, Noam Chomsky, Shlomo Sand, Gideon Levy, Amira Haas), in realtà chiedono a Israele di rinunciare ad essere prima di tutto uno Stato ebraico, poi di difendersi dal nemico concedendogli sempre più credito e legittimità. In altre parole, di rinunciare alla propria identità, di farsi più cedevole e malleabile, di indebolirsi. Gli chiedono, facendosi forti di un umanitarismo e di una democraticità totalmente astratti, del tutto sconosciuti nel mondo arabo e in quello islamico, di venire meno alla sua stessa ragione d’essere. Ma non lo fanno con la capacità di sintesi dura e pura dell’antisemita, il quale, nella sua incarnazione più subdola, afferma, come Ali Khamenei, di non avere nulla contro gli ebrei, vedi alla voce ebrei iraniani, sostanzialmente ridotti a dhimmi, ma di avercela con gli israeliani che, sono, un’altra cosa. Lo fanno in nome dei diritti umani, della presunta difesa del più debole, di chi, cioè, sempre appena ha potuto farlo ha tratto subito vantaggio dalle concessioni ottenute da parte di Israele per poterlo aggredire meglio, come è accaduto con i disastrosi Accordi di Oslo del 1993-1995 o dopo la decisione di Ariel Sharon di lasciare Gaza nel 2005, diventato poi roccaforte di Hamas.

Il grande rimosso che sta alla base delle critiche pretestuose, inette, diffamanti di costoro, è quello del persistente rifiuto arabo nei riguardi di uno Stato ebraico impiantato in una regione a maggioranza islamica, rifiuto che dura da almeno 100 anni, e che si è dovuto in parte addomesticare, vedi gli Accordi di Abramo, e prima di essi i trattati di pace con l’Egitto e la Giordania, perché ci si è resi conto semplicemente di una cosa, che Israele è più forte, e difficilmente può essere distrutto.

Distrutto come vorrebbe che fosse l’antisemita doc. La resistenza tenace di Israele è, in questo senso, emblema della resistenza stessa degli ebrei nei secoli, contro i vari tentativi assimilazionisti e poi eliminazionisti, di dissolverne la specificità.

Da otto anni, appena compiuti, L’Informale offre ai suoi lettori articolo e interviste esclusive su temi legati principalmente a Israele e al Medio Oriente. 

Cerchiamo di farlo al meglio con collaboratori di grande competenza. Le numerose visualizzazioni dei nostri articoli e delle nostre interviste riprese frequentemente da siti stranieri, ci confortano.

A supporto del nostro lavoro e del sito chiediamo per la prima volta ai nostri lettori di potere dare il loro sostegno con una donazione di loro scelta.

Per poterlo fare è semplicemente necessario andare a fondo pagina sulla destra e cliccare sulla voce Contatti. In fondo si troverà  il tasto giallo Donazione.

Un ringraziamento a chiunque voglia contribuire.

L’Informale

 

 

 

Torna Su