Interviste

“Il ritiro delle forze americane dalla Siria è orrendo”: Intervista a Daniel Pipes

A seguito della decisione di Donald Trump di ritirare il contingente americano in Siria, L’Informale ha voluto intervistare Daniel Pipes, tra i maggiori esperti internazionali di Medioriente e un interlocutore abituale del giornale.

Come valuta il via libera che il presidente Trump ha concesso a Recep Tayyip Erdoğan di invadere la Siria e attaccare i curdi?

A volte Trump riconosce la sua mancanza di competenza e governa seguendo il consiglio altrui, per esempio nello scegliere i giudici. In altre circostanze, crede di saperne di più e agisce sulla base dell’istinto. Il ritiro delle forze degli Stati Uniti dalla Siria è orrendo su tre livelli: moralmente, nell’avere tradito un alleato, tatticamente, nell’avere ceduto il territorio ai nemici, e infine strategicamente nell’avere inviato un segnale agli alleati nel mondo che gli Stati Uniti sono inaffidabili.

John Podhoretz ha scritto del negoziato Pence-Pompeo con Erdogan che “rischia di trasformare il colpo alla schiena ai curdi in un diretto e inequivocabile colpo frontale”. Non solo concede ai turchi, “tutto quello che volevano” ma non lo definiscono nemmeno un cessate il fuoco perché  “desiderano che sia chiaro che hanno sconfitto gli Stati Uniti”. Quale è il suo punto di vista?

Sono d’accordo con questa analisi e anche con quella di Tom Rogan, il quale ha scritto che “La diplomazia americana ha semplicemente rimpiazzato i carri armati turchi come mezzo per la vittoria turca”. Questo accordo è una barzelletta e un perenne motivo di imbarazzo per Pence e Pompeo.

A partire dal 2009 lei ha contestato la presenza della Turchia nella NATO, Nel 2018 ha scritto, “In aggiunta alla sua ostilità la presenza turca nella NATO snatura l’alleanza. La NATO dovrebbe combattere l’islamismo.” Trump, come i suoi predecessori non sembra molto preoccupato dell’islamismo, è corretto?

E’ corretto. Ha posto come una questione fondamentale la lotta all’islamismo nella sua campagna per le presidenziali ma come presidente ha fondamentalmente abbandonato il tema.

Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sostiene che la Turchia è un importante alleato e che allontanarla sarebbe un errore. Cosa ne pensa?

Il Dipartimento della Difesa non è aggiornato. Già a partire dal 2003 quando i turchi non diedero il permesso alle truppe americane di transitate in Turchia per raggiungere l’Iraq, Ankara è stata più un avversario che un alleato. Gli sviluppi attuali, incluso l’acquisto del sistema russo S-400, hanno confermato questo stato di cose. E’ tempo di confrontarsi con la realtà.

Come vede la Siria da qui ai prossimi cinque anni?

Divisa in aree controllate dai regimi, aree controllate dalla Turchia e aree controllate dai ribelli.

A giugno, dopo che gli iraniani hanno abbattuto un drone americano, Trump, all’ultimo minuto, ha fermato un raid contro le postazioni iraniane. A settembre, non ha reagito a un attacco sponsorizzato dall’Iran contro i pozzi petroliferi sauditi, ma piuttosto si è rivolto a Teheran per negoziare. Quale è il suo punto di vista su i rapporti attuali tra Stati Uniti e Iran?

Trump detestava il Joint Comprehensive Plan of Action del 2015 e dunque si è ritirato dal negoziato, detto questo, spera di riuscire a costruire delle relazioni decenti con Teheran a modo suo. Avendo una vasta esperienza nel settore immobiliare, da una grande importanza ad intese che possano promuovere i suoi interessi personali, anche laddove questo approccio è piuttosto irrilevante.

Ritiene anche lei che Trump stia seguendo l’ex presidente Obama nel disimpegnare gli Stati Uniti dal Medioriente? 

Sì, ma per ragioni diverse. Per Obama gli stati Uniti erano fondamentalmente una forza malefica a livello globale, per Trump è il mondo ad avere un impatto malefico sugli Stati Uniti.

Quale è la sua valutazione generale della politica di Trump in Medioriente?

E’ transazionale, il che significa che non possiede alcuna filosofia e moralità, soltanto una visione di corto raggio degli interessi americani. Questo approccio ha abbandonato il prolungato senso di responsabilità per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e dei suoi alleati, successivo alla Seconda guerra mondiale. Dunque, mentre apprezzo in modo entusiasta alcuni passi specifici, in particolare l’essere uscito dal JCPOA e il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, sono tuttavia preoccupato per l’impulso generale della politica americana nella regione.

 

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