Islam e Islamismo

La lectio di Abu Mazen, capobastone messo all’angolo

Nel 1982, Abu Mazen presenta presso il Collegio Orientale di Mosca una tesi negazionista dal titolo emblematico, La connessione tra nazismo e sionismo 1933-1945, nella quale, il futuro presidente dell’Autorità Palestinese sottostimava le vittime della Shoah a poche centinaia di migliaia, ribadendo uno dei paradigmi della propaganda araba e antisionista tout court, che lo sterminio (per altro, a suo dire, ampiamente manipolato) degli ebrei sarebbe stata la causa, o meglio il pretesto per il sorgere dello Stato ebraico. Domenica scorsa, nel suo feudo di Ramallah, i presenti convocati per una riunione straordinaria del Consiglio Centrale dell’Autorità Palestinese a seguito della decisione di Donald Trump di dichiarare Gerusalemme capitale di Israele, hanno assistito a una lectio di storia dell’improvvisato docente, il quale, faccia feroce, pugni serrati, ha messo in piedi un insieme inverosimile di falsità per ribadire una tesi brunita dal tempo: l’impresa sionista è una impresa criminale perpetrata ai danni del popolo palestinese.

Il paradigma è quello confezionato nei laboratori sovietici nella metà degli anni Sessanta, quando videro la luce l’OLP e, a seguito della inaspettata vittoria di Israele nella Guerra dei Sei Giorni del 1967, “il popolo palestinese” di cui, nei decenni precedenti, nessuno aveva avuto alcun sentore. Ma la propaganda, si sa, è opera demiurgica, plasma la realtà attraverso un fiat verbale che non è il logos originario, ma una sua bassa e decaduta imitazione, la quale, tuttavia, funziona a meraviglia.




Il professor Mazen ha ripetuto il vecchio mantra sul sionismo come “progetto colonialista che nulla ha a che fare con l’ebraismo” che piace tanto agli ebrei ultraortodossi avversi allo Stato ebraico come la setta dei Naturei Karta e agli antisionisti e antisemiti di vario colore, a destra come a sinistra. Non contento ha voluto aggiungere che la cacciata degli ebrei dai paesi arabi in cui vivevano, Egitto, Iraq, Siria, Marocco, Yemen, Tunisia, conseguente la nascita di Israele fu causata dagli ebrei stessi. Il motivo? Avevano bisogno di popolare la regione.

Non furono gli stati arabi che lo fecero di loro sponte a causa della nascita di Israele e della vittoria di quest’ultimo contro le armate arabe che volevano annichilirlo. No. Furono gli ebrei che organizzarono le cose in modo che gli stati arabi cacciassero i loro confratelli. Tesi che va di pari passo con l’altra, ancora più ignobile e ripugnate, secondo cui sarebbero gli ebrei stessi i responsabili della Shoah al fine di affrettare la nascita dello Stato ebraico.

Siamo qui al cospetto sempre dello stesso stampo, quello del complotto ebraico, la cui matrice si trova incuneata nei “Protocolli dei Savi di Sion”, testo prediletto dagli antisemiti al cubo, assai compulsato da Adolf Hitler e immarcescibile evergreen, soprattutto nel mondo arabo e musulmano dove venne diffuso con amorevole cura alla fine degli anni ’20 dai Fratelli Musulmani.

Naturalmente, non poteva mancare la rappresentazione di Theodor Herzl come di un Cecil Rhodes molto più perfido e spietato, il quale aveva progettato lo sterminio degli arabi. Invenzione delirante come le altre, perfetta per analfabeti, indigenti di storia e di realtà.

Herzel, mai scrisse o professò lo sterminio degli arabi, sicuramente scrisse a proposito di un loro trasferimento da realizzarsi attraverso compensazione. Come scrive Benny Morris in “Vittime, Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001”:

“Nel 1901, in una bozza di statuto per una ‘società ebraico-ottomana di gestione del territorio’, Herzl propose che lo Stato avesse l’autorità di spostare la popolazione locale da un luogo a un altro. Ma non parlò mai apertamente della necessità di trasferire gli arabi palestinesi per far posto ai sionisti. Da buon liberale, immaginava che gli arabi benestanti avrebbero appoggiato lo Stato ebraico, e avrebbero continuato a vivere in Palestina sotto una legislazione di esemplare tolleranza”.




Ma tutto muta nella nera fabula raccontata da Abu Mazen, ogni cosa, come in uno specchio deformante, assume contorni grotteschi, sgomentevoli, si alona di malefico, diventa il solito racconto nero e turpe in cui Israele appare come una entità satanica, per la gioia dei suoi demonizzatori.

Il capobastone di Ramallah, ormai ridotto a quello che è da anni, un mafioso di provincia, non ha mai perso un’occasione per ribadirlo e continua a farlo anche ora, in cui, ridotto all’irrilevanza politica, messo all’angolo dagli eventi, può solo sfogarsi col suo surreale j’accuse rivolto a una entità immaginaria, mai esistita. Allucinazione perpetua generata da una impietosa impotenza manifesta.

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