Editoriali

La “spontaneità” delle proteste

I fatti. Il 29 dicembre del 2022 il nuovo esecutivo Netanyahu, il suo sesto, entra ufficilamente in carica. Il 4 gennaio del 2023, il neo Ministro della giustizia Yariv Levin annuncia in una conferenza stampa il programma del governo per riformare la giustizia. Il 7 gennaio, tre giorni dopo l’annuncio, si danno convegno a Habima Square a Tel Aviv, circa trentamila persone per protestare contro la riforma.

Tra le bandiere israeliane presenti in piazza insieme a un grande striscione con suo effigiato Netanyahu e la scritta, “Ministro del crimine”, appaiono, per incrementare la varietà della protesta, anche diverse bandiere palestinesi. Il 12 gennaio fa la sua apparizione il Movimento dei Togati, evocativo sia dell’Inquisizione che de “Lettera Scarlatta”. La Presidente della Corte Suprema, Esther Hayut, arringando il Movimento e altri che si sono raccolti ad ascoltarla definisce la riforma annunciata dal governo come un “attacco sfrenato” il cui obbiettivo è quello di “distruggere il sistema giudiziario”. La Hayut aggiunge che se verrà implementata, “il settantacinquesimo anniversario dell’indipendenza di Israele verrà ricordato come l’anno in cui l’indipenenza della magistratura del paese avrà subito un colpo fatale”.

La chiamata alle armi è esplicita, senza mezzi termini. Alla Hayut risponde immediatamente Yariv Levin dichiarando che la Suprema Corte non è altro che un partito politico travestito che “si pone sopra il popolo e il risultato elettorale” accusando la sua presidente di incitamento contro la riforma.

Per quattordici settimane Israele vede un crescendo di proteste, migliaia di persone scendono in strada, la maggioranza concentrata soprattutto a Tel Aviv e nei sobborghi, per manifetestare contro la riforma in atto. Il mantra di tutte le manifestazioni è quello che la Hayut ha definito nel suo discorso. La democrazia è in pericolo, il paese va protetto da una incombente dittatura.

Le manifestazioni vengono salutate dai massmedia compiacenti nazionali e internazionali come lo spontaneo insorgere di una parte del paese contro il pericolo di uno stravolgimento golpista dello Stato. Si tratterebbe soprattutto di patrioti che hanno a cuore il bene del paese e che protesta in massa contro una masnada delinquenziale di politici israeliani votati da una irresposabile maggioranza. Non si può permettere loro di attuare il programma di governo per cui è stata votata, e di cui la riforma del sistema giudiziario è uno dei cardini portanti.

Sulla “spontaneità” delle manifestazioni non occorre essere complottisti basta un po’ di smaliziata consapevolezza. La rete di soggetti contrari alla riforma a partire, come è ovvio, dall’opposizione, è vasta e ramificata, e accorpa non solo i media, ma la parte più consistente dell’accademia, una costellazione varia di ONG e di autoproclamati movimenti di salute pubblica come il Movimento dei Togati, una parte dell’esercito e delle forze dell’ordine, e, non ultima, una parte dei Servizi. A tutto ciò si aggiunge la Casa Bianca da cui giunge una ingerenza senza precedenti negli affari interni di Israele a cominciare da gennaio con la raccomandazione benevola a Netanyahu da parte del Segretario di Stato Blinken di fare la riforma con un consenso ampio, per culminare poi con il brusco richiamo all’ordine del Presidente Biden.

E’ sui Servizi, tuttavia, che ultimamente va concentrata l’attenzione, sul Mossad in modo esplicito, a proposito di un memorandum riservato del Pentagono di cui danno notizia il New York Times e il Washington Post, i due principali quotidiani progressisti americani, secondo il quale alcuni alti funzionari dell’agenzia avrebbero incoraggiato agenti e cittadini comuni a scendere in strada a protestare.

Il memorandum non spiega le modalità in cui si sarebbe attuato l’incitamento ma certifica che gli sforzi in questo senso sarebbero cominciati già a febbraio. Al memorandum risponde in modo perentorio l’ufficio del Primo Ministro, negando la sua autenticità, una presa di posizione scontata. Tuttavia, il documento appare del tutto autentico e non afferma che siano attuali funzionari del Mossad ad avere agito nel senso esplicitato, è possibile infatti che sia nato un malinteso, poichè è inequivocabile che ex direttori dell’agenzia, tra cui Tamir Pardo e diversi funzionari non più in servizio abbiano firmato una lettera indirzzata al Presidente di Israele Isaac Herzog, chiedendogli esplicitamente di non offrire alcuna sponda alla riforma della giustizia voluta dal governo.

Che vi siano presenti nel Mossad attuale funzionari contrari alla riforma e potenzialmente attivi nel agire direttamente per incrementare le contestazioni, metterebbe in luce non solo un grave vulnus all’interno degli apparati di sicurezza israeliani ma anche una esplicita slealtà nei confronti del governo che dovrebbero servire. D’altronde, non è già successo all’interno dell’esercito che vi siano stati un gruppo di riservisti, piloti e addetti alla cyber sicurezza che hanno rifiutato di presentarsi agli impegni di routine? Non è già accaduto che 450 di essi abbiano firmato una lettera in cui scrivono che non hanno alcuna intenzione di servire in una “dittatura”?

La chiamata alle armi contro la riforma si stringe a tenaglia contro il sesto governo Netanyahu, bollato di estremismo, dipinto come officina di un disegno golpista, laboratorio di leggi teocratiche e liberticide tutte pronte a essere varate una volta che la riforma dovesse passare.

E’ lo spauracchio paranoide sventolato dagli estremisti, coloro per i quali questo governo non sarebbe mai dovuto nascere. Sono i democratici a senso unico che hanno nella Corte Suprema il loro totem, la cittadella più fortificata. Se il governo in carica recederà dalla riforma, tanto necessaria quanto tardiva, segnerà la sua fine. E’ il desiderio della piazza e dei suoi manovratori.

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