Editoriali

La squalifica preventiva

Ieri sera era in programma, su piattaforma digitale come impongono le regole di distanziamento sociale, un incontro sul tema “Shoah, identità e universalità”. L’evento è stato organizzato dell’Associazione Sionistica Piemontese nella persona del suo presidente Emanuel Segre Amar. Al moderatore scelto per l’occasione, Davide Cavaliere, era stato dato il compito di introdurre e moderare gli interventi dei quattro relatori scelti per l’incontro: Anna Foa, Niram Ferretti, Vittorio Robiati Bendaud e Gabriele Nissim.

Una prima sorpresa si è avuta quando è stato comunicato che uno dei relatori, Gabriele Nissim, non sarebbe intervenuto per un “leggero malore” (sono le parole utilizzate da Anna Foa) cosa che ha colto di sorpresa anche gli organizzatori che non erano stati informati dell’impedimento del relatore.

Dopo che sono stati fatti i saluti di rito, il moderatore ha dato subito la parola ad Anna Foa per entrare in merito al tema della serata. E qui si è avuta la vera sorpresa della serata: la relatrice ha esordito dicendo “che il suo intervento sarebbe durato solo pochi minuti perché non se la sentiva di parlare in un dibattito con dei conclamati fascisti”, ovvero Niram Ferretti e Davide Cavaliere.

Le motivazioni addotte per accusare di “fascismo” Davide Cavaliere sono state delle frasi estrapolate da un suo post Facebook, che subito dopo l’autore ha definito fuori contesto e prese a casaccio. Mentre l’accusa di “fascismo” rivolta a Niram Ferretti è stata quella che in un suo post scritto sulla sua pagina sempre di Facebook, un utente avesse lasciato un commento sessista rivoltole senza che Ferretti avesse provveduto a cancellarlo o a scrivere una risposta adeguata. Niram Ferretti ha risposto che non ha la possibilità di verificare i numerosi commenti che accompagnano i suoi molteplici post. Non c’è stato un contradditorio perché la professoressa Foa ha immediatamente lasciato il collegamento senza consentire alcuna replica.

Ora, qui non si vuole entrare in merito al caso specifico, che saranno i soggetti in questione a dirimere nelle opportune sedi, ma si vuole fare un commento generale sul dove la dialettica politica è giunta.

E già da numerosi anni che una parte politica (l’auto proclamata “sinistra progressista”), in entrambe le sponde dell’oceano, ha smesso di utilizzare la dialettica politica per sostenere le proprie tesi in un dibattito aperto, franco che può essere anche duro ma sempre nell’alveo del dibattito civile dove l’ascoltatore o il lettore può formarsi un’opinione e stare da una parte o dall’altra. Cioè un dibattito dove le idee, i pensieri e i principi sono al centro del dibattito e vengono espressi e sostenuti con contenuti, ragionamenti e riflessioni.

Oggi tutto questo è sempre più raro, anzi, è sempre più frequente assistere a commenti o a scritti dove l’interlocutore non è più tale ma diventa nel migliore dei casi un “avversario”, nel peggiore un “fascista” e di conseguenza lo si delegittima ancora prima che possa esprimere la propria opinione.

Il termine “fascista”, ormai, non ha più il suo vero e storico significato ma è diventato un “arnese”, uno “strumento” per etichettare e per non dare valore all’interlocutore se non proprio per squalificarlo. Non ci si rende più conto che il vero significato di questo termine, così inflazionato, ne perde la sua portata a favore di una sua banalizzazione che ne fa scomparire il senso. In pratica è diventato solo un modo di offendere.

La stessa dinamica si è riscontrata con il termine “resistenza”. Il quale è spesso e volentieri utilizzato a sproposito. In ambito politico è ormai una prassi utilizzarlo, ma anche in ambito culturale è sempre più in voga. Oggi, dopo una qualsiasi tornata elettorale, da quella locale a quella nazionale, la compagine sconfitta non fa più “opposizione” come prevede la dialettica politica democratica, ma “resistenza”. Cioè di fatto non si riconosce legittimità al vincitore ma lo si demonizza e gli si promette una “battaglia” senza quartiere. Questo cambiamento lessicale è ormai passato senza destare clamore e biasimo.

Si tratta di una forma dialettica che si è sviluppata ed è cresciuta negli USA a partire dal 2000 con la sconfitta del candidato democratico Al Gore ad opera di George W. Bush. Ed è stata utilizzata da molti rappresentanti democratici e amplificata (e non condannata) dai media liberal. Da allora si è ripetuta e si è radicata ad ogni tornata elettorale per raggiungere il suo culmine nel 2016 con la vittoria di Donald Trump e per essere superata alle ultime elezioni.

Questo modo di intendere il dibattito ha, come si è visto, lambito anche un tema così importante, per i suoi contenuti e per le sue riflessioni, come la Shoah. Mala tempora currunt sed peiora parantur.

 

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