Stati Uniti e Medio Oriente

La visita di Biden in Medio Oriente: Evidenziare l’evidente

Una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso, anche se la mano di Joe Biden non stringe quella di Mohammed bin Salman, nella sua visita a Riad. Si salutano con le nocche, la precauzione anti Covid consente al presidente americano di non stringerla a quella dell’erede al trono saudita considerato dalla CIA il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi avvenuto nel 2018. Ci si può però intendere su altre questioni in vista di un comune avversario, l’Iran e di un riavvicinamento a Israele, sempre in questa ottica. Così Riad apre il suo spazio aereo allo Stato ebraico per consentire ai pellegrini musulmani che lo vogliano di potere raggiungere da esso Mecca e Medina.

Si tratta di una estensione degli Accordi di Abramo voluti da Donald Trump, l’innominato. Certo, in cambio bisogna dare qualcosa e così si implementa il controllo saudita sulle isole di Tiran e Sanafir nel Mar Rosso, già cedute dall’Egitto all’Arabia Saudita nel 2017 e sulle quali Israele aveva ottenuto nel 1979 dall’Egitto la libertà di navigazione lungo lo Stretto di Tiran. Siamo in una regione dove il baratto è cemento culturale, prassi quotidiana. La “normalizzazione” saudita con Israele passa da questo segno di buona volontà anticipato dalla dichiarazione fatta a marzo da Mohammed bin Salman su Israele “potenziale alleato”, contro chi non è necessario ribadirlo.

Dunque, Joe Biden non fa che entrare nel solco arato dal suo predecessore dopo una parentesi di raffreddamento con Riad. L’aggressione della Russia all’Ucraina necessità una maggiore vigilanza americana anche in Medio Oriente dove la Russia ha la sua roccaforte in Siria, e che Putin visiterà martedì prossimo quando arriverà a Teheran per incontrare Raisi e Erdogan.

In Iran, Putin dovrebbe finalizzare l’accordo con il regime degli ayatollah in merito alla vendità di centinaia di droni d’attacco Shahed per utilizzarli in Ucraina. I russi sono già stati in Iran l’8 giugno e il 5 luglio a visionare la tecnologia iraniana.

Non è casuale la visita di Putin in Medio Oriente, a pochi giorni da quella di Biden, a rimarcare, se ce ne fosse bisogno, una contrapposizione netta e le reciproche alleanze in una regione nella quale gli Stati Uniti, alla luce della guerra in Ucraina, non possono più disimpegnarsi. L’arretramento dell’influenza americana, come è già accaduto, favorirebbe proporzionalmente l’incremento di quella russa.

In questo contesto, l’accordo sul nucleare iraniano, il famoso JCPOA siglato da Obama nel 2015 e affossato da Trump nel 2018, e che Biden sperava di ripristinare, sembra non avere più alcuna chance di ritornare sulla scena, e questo accade mentre l’Iran, nel frattempo, è in grado di arricchire l’uranio al 60 per cento e la sua capacità di passare al nucleare ad uso militare è sempre più vicina. Gli Stati Uniti siglano con Israele la Dichiarazione di Gerusalemme, un documento congiunto in cui ribadiscono la loro alleanza contro l’Iran, ma alla fine, se sarà necessario, dovrà essere Israele a intervenire.

E l’Iran è presente anche in veste di minaccia al Consiglio per la Cooperazione nel Golfo, che ha riunito gli Emirati, l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Giordania e l’Iraq, e a cui ha partecipato il presidente americano.

L’unico risultato concreto della visita di Biden in Medioriente è stata quella di evidenziare l’evidente, la pericolosità dell’Iran nei confronti del quale, a parte le sanzioni volute da Trump, gli Stati Uniti non hanno alcun antidoto, e la necessità che gli attori sunniti regionali hanno di avere Israele come partner. Lo sapevamo già prima che partisse.

 

 

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