Editoriali

La talebana di sinistra contro Israele

Il Nobel per la Letteratura 2022 è stato assegnato alla petulante Annie Ernaux. L’Accademia di Svezia ha sprecato un altro premio. La scrittrice francese non ha certo vinto per la qualità dei suoi scritti, che altro non sono che un impasto di voyeurismo interiore e sociologia, bensì per le sue posizioni politiche e per quella «bestialità» – almeno così la definiva una grande Nobel mancato, Borges – che è l’impegno sociale delle scrittore.  

La Ernaux, infatti, non è mai stata una vera scrittrice, ma solo una militante ammalata di autobiografismo prestata alle lettere. I suoi libri altro non sono che un lungo e noiosissimo viaggio attorno al suo ombelico. Non a caso è perpetuamente elogiata da Emmanuel Carrère, il più grande bluff letterario degli ultimi anni, il cui successo è misura esatta della sua mediocrità.  

Sessantottina, estremista di sinistra, più che un Premio Nobel è una Lidia Ravera prematuramente e ingiustamente tumulata viva nel Panthéon. Ernaux ha sempre sostenuto la sinistra radicale e filo-islamica di Jean-Luc Mélenchon ed è una storica attivista filopalestinese. Il suo odio per Israele è paragonabile a quello di un altro scrittore tributato dall’Accademia svedese, il lusitano José Saramago. La querula scribacchina è una convinta sostenitrice del boicottaggio di Israele, infatti ha firmato una lettera-appello per chiedere il boicottaggio dell’Eurovision a Tel Aviv nel 2019. Il Jerusalem Post ha ricordato che «nel 2018, l’autore ha firmato una lettera insieme a circa 80 altri artisti esprimendo indignazione per lo svolgimento della stagione interculturale Israel-France».  

In altre occasioni ha parlato d’Israele come di una «potenza colonizzatrice» e un «regime di apartheid», dicendosi contraria a ogni «normalizzazione» delle relazioni con lo Stato ebraico. La sua firma è apparsa in calce a numerosi appelli e proclami traboccanti veleno e menzogne antisioniste, guardandosi bene dal denunciare Hamas e le violenze islamiche. Ernaux si è anche battuta per la scarcerazione di Georges Ibrahim Abdallah, un famigerato terrorista libanese che si trova in una prigione francese per l’omicidio del tenente colonnello Charles R. Ray e del diplomatico israeliano Yaakov Bar-Simantov davanti alla moglie e alla figlioletta di otto anni.  

Non è mancato nemmeno l’appello in favore dei clandestini africani che occuparono i locali di un’università di Parigi. Come Carrère, altro scrittore pieni di buoni sentimenti per gli immigrati, sbugiardato però dalla moglie che lo ha accusato di non aver mai fatto volontariato per i profughi sull’isola di Leros, Annie Ernaux ama tutto ciò che non è White Males: «Essere di sinistra è vedere l’Altro, maliano o cinese che sia, etero o gay, cattolico, ebreo o musulmano, zingaro o senzatetto, criminale o pedofilo, come prima simili a se stessi e non diversi».  

Puro delirio dell’accoglienza. Il mitico Philippe Muray, che conosceva questi pretoriani parigini del Bene, che liquidò col neologismo «ribellocrati», ossia ex contestatori diventati Faraoni della cultura, definì le opere della pennivendola blasonata come «poetica intra-uterina». In effetti, Annie Ernaux scrive con l’utero, il suo ovviamente, non certo con il cuore o il cervello. Femminista d’assalto, ha dichiarato di aver smesso di leggere Houellebecq «anche per come tratta il corpo femminile». Curiosa accusa, soprattutto perché viene da una che ha chiamato il suo bambino, volontariamente abortito, «quella cosa».  

Il punto più basso della sua carriera, la scrittrice lo ha toccato una decina di anni fa, ossia quando distrusse quella di Richard Millet, il romanziere amico d’Israele, che abbiamo ospitato anche su queste pagine. Ernaux accusò Millet, autore del magnifico Israël depuis Beaufort, dove racconta la storia del suo rapporto con il popolo ebraico, di aver scritto un «pamphlet fascista» che «disonora la letteratura». Si riferiva a Elogio letterario di Anders Breivik, nel quale lo scrittore francese, muovendo dall’eccidio di Utoya, tracciava una linea diretta tra il vuoto di valori prodotto dall’ideologia antirazzista e l’emergere dello stragista. 

Annie Ernaux è simbolo vivente del nulla denunciato da Millet. Incarnazione vivente di una post-letteratura che, non avendo più nulla da dire, si riduce a palcoscenico per «io» dalla grandezza anomala. E nulla più. 

Torna Su