Israele e Stati Uniti

L’incalzare americano e l’obiettivo di Israele

Per la quinta volta in Israele dall’inizio del conflitto, il Segretario di Stato Antony Blinken si sta muovendo con persistenza per cercare in tutti i modi di spingere lo Stato ebraico a un accordo con Hamas.

La convergenza americana-saudita è un ulteriore tassello della strategia volta a obbligare Israele a quel cessate il fuoco che, prima del conseguimento dell’obiettivo di guerra principale, la smilitarizzazione di Hamas a Gaza e la fine del suo governo, lo porterebbe alla sconfitta.

L’Arabia Saudita, che da Stato paria all’esordio dell’Amministrazione Biden, è ora tornata nelle sue grazie, chiede come precondizione di un eventuale negoziato politico con Israele, il venire in essere di uno Stato palestinese mappato sui cosiddetti “confini” del 1967, confini inesistenti, essendo, di fatto, le linee armistiziali del 1948. Si tratta, per Israele, di una proposta del tutto irricevibile, ma il fatto che sia stata formulata significa che l’Arabia Saudita si è allineata sulle posizioni di Washington, che non sono state espresse in eguali termini ma che ripropongono il paradigma dello Stato palestinese come soluzione del conflitto.

Che lo Stato palestinese non sia mai nato per la volontà araba di non farlo nascere viene costantemente omesso. Nella vulgata passata e corrente, la responsabilità del suo mancato venire in essere è totalmente addossata a Israele, e oggi a Netanyahu, diventato un comodo capro espiatorio.

Si tratta di un vecchio canovaccio. La novità del momento, come già evidenziato ieri http://www.linformale.eu/gli-interessi-americani-non-sono-gli-interessi-di-israele/, è che la convergenza americana-saudita allontana ulteriormente l’agenda degli Stati Uniti da quella di Israele.

Il tentativo di forzare un accordo per la liberazione degli ostaggi ancora detenuti da Hamas all’interno della Striscia (non è dato sapere con certezza quanti di essi sono ancora vivi), spinge Hamas a chiedere il massimo vantaggio, ovvero che Israele fermi completamente l’operazione militare.

Se, come ripetuto molte volte sia da Netanyahu che dal ministro della Difesa Gallanti, è la pressione militare che dovrebbe obbligare Hamas a venire a patti in una posizione di inferiorità, la volontà americana di raggiungere un accordo, motivata sostanzialmente da esigenze politiche interne, non può che rafforzare Hamas nelle sue pretese.

Più passano i giorni, più il divario tra Stati Uniti e Israele si allarga. Oggi in Israele, dopo essere stato a Riad e al Cairo, Blinken sonderà ulteriormente il terreno, vedendo anche privatamente Herzi Halevi, Capo di Stato Maggiore, cosa che accade per la prima  volta in modo del tutto irrituale e rende ancora più esplicito che a Washington, in questo momento, si cercano tutte le opportunità che possano fare da puntello all’esigenza americana di terminare il conflitto indipendentemente da quello che è, per Israele, l’obiettivo centrale della guerra, smantellare Hamas a Gaza e così rafforzare la propria sicurezza scongiurando per il futuro un altro 7 ottobre.

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