Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

L’ipocrita, l’antisemita e la prostituta

Nella giornata di sabato 14 gennaio Mahmoud Abbas, alias Abu Mazen, presidente dell’ANP per il dodicesimo anno di un mandato elettorale che ne prevedeva quattro, si è recato in visita ufficiale presso la Santa Sede. I punti all’ordine del giorno erano i seguenti: 1) inaugurazione ufficiale dell’accordo tra (quello che la Santa Sede definisce) “Stato di Palestina” e Vaticano, firmato a giugno 2015 ed entrato in vigore a gennaio 2017; 2) inaugurazione della nuova sede dell’ambasciata palestinese presso lo Stato del Vaticano in via Porta Angelica; 3) scambio di doni e promesse con l’attuale pontefice.

Tutto ciò in attesa della Conferenza sul Medio Oriente che si svolgerà a Parigi, a partire da domenica 15 gennaio, ed in cui una settantina di nazioni (molte delle quali non riconoscono il diritto all’esistenza dello Stato di Israele) si dedicheranno all’argomento più apprezzato nei salotti della diplomazia internazionale: condannare Israele e legittimare le pretese del palestinismo. Ovviamente non saranno presenti delegati israeliani. Parteciperà invece, come ospite d’onore e portatore della soluzione finale della questione israeliana, l’antisemita Abu Mazen, fresco di coccarda pontificia da esibire ai partecipanti e che continua ad elargire vitalizi alle famiglie dei terroristi islamici assassini di ebrei. L’ultimo caso in ordine temporale riguarda la moglie di Fadi al-Qanbar (terrorista alla guida del camion che lo scorso 8 gennaio ha ucciso quattro ventenni a Gerusalemme): riceverà circa 700 euro al mese per il resto della sua esistenza. Fondi che, in gran parte, provengono dai paesi donatori (Unione Europea in testa) che finanziano l’ANP.

«E’ un piacere riceverla»: queste le parole di benvenuto dell’ipocrita Papa Bergoglio destinate al criminale palestinese. Tra battute calcistiche e convenevoli, scambio di foto e feticci religiosi, l’incontro privato è durato 23 minuti. Papa Bergoglio ha regalato altresì due sue encicliche tradotte in arabo ad Abu Mazen, il quale avrà modo in futuro di contraccambiare donando al pontefice una copia della sua tesi di dottorato negazionista, svolta presso il Collegio Orientale di Mosca nel 1982, intitolata “La connessione tra nazismo e sionismo, 1933-1945”. La biblioteca privata del Papa si potrà così arricchire di un nuovo testo antiebraico, da affiancare ai tanti provenienti dal passato cristiano.

Ma la vera protagonista di questo incontro, al netto dei due rappresentanti delle ideologie vaticanista e islamista, è la “Palestina”. Un’orrenda genialità: un luogo geografico che diventa caso politico, un non-stato in grado di aprire ambasciate, una non-democrazia in grado di avere un presidente, una tragica commedia capace di auto-scritturarsi per un ruolo che non le spetta, una narrazione divenuta storia a colpi di attentati e colpevoli complicità, destinata ad un non-popolo abile a sfruttare il pregiudizio antiebraico per legittimarsi agli occhi del mondo intero. La sua è una presenza costante, laddove si parla di Israele o di Ebrei. Qualcuno potrebbe far notare che ciò è ovvio dal momento che la Palestina è sempre stata considerata la patria della nazione Ebraica (non a caso il Mandato della Lega delle Nazioni, creato appositamente per favorire l’autodeterminazione del popolo Ebraico nella propria patria ancestrale, all’indomani della caduta dell’Impero Ottomano, si chiamava Mandato per la Palestina), ma non è così. La “Palestina” così come intesa oggi dal criminale Abu Mazen e dall’ipocrita Papa Bergoglio – uno stato judenfrei, su terre appartenenti alla nazione ebraica, con confini risalenti ad una guerra di 50 anni fa che nessun esercito palestinese (e nemmeno un plotone palestinese) combatté – ha una sua storia assai breve. Ed è riassumibile in tre figure: il leader ante litteram Amin al-Husseini, l’egiziano Arafat e l’attuale Abu Mazen. O, in alternativa, in tre ideologie politiche: il nazismo del concepimento, il comunismo della nascita e dell’infanzia, l’islamismo dell’adolescenza. Non è dato sapere ad oggi se e quanto invecchierà la “Palestina” – ci venga concessa la speranza che la natura segua il suo corso in tempi brevi – ma è chiaro come questa, in nome della teologia islamica e del panarabismo in funzione anti-ebraica di cui è portatrice, si sia sempre concessa a qualunque leader o ideologia in grado di aiutarla a raggiungere il suo obiettivo: distruggere Israele, cacciare in mare tutti gli Ebrei e sostituire lo Stato di Israele con uno stato islamico mai esistito prima. Nell’età della maturità non stupisce che la spregiudicatezza, decisamente oltre ogni limite morale accettabile, di una simile truffa sia rappresentata dal negazionista Abu Mazen e, soprattutto, non stupisce che questi vada a chiedere la sua parte del mercimonio a due delle congreghe che più si sono distinte, nella loro storia, nella discriminazione degli Ebrei: lo stato pontificio e l’ONU. Di fronte all’abilità di scatenare gli istinti più profondi della prostituta “Palestina” ogni inibizione cade e persone e istituzioni si mostrano per quel che sono.

Come visto in un precedente articolo, la ragione del rifiuto islamico all’esistenza di Israele si basa su un concetto puramente teologico, prima ancora che politico – di certo non riguarda un aspetto territoriale. Per dirla in maniera semplice: con la comparsa di Maometto e del suo viaggio mistico in sella ad un asino volante tutto ciò che è venuto prima dell’islam è vecchio e superato. Come conciliare questa visione analfabetico-teologica con il fatto che invece gli Ebrei sono vivi, vegeti e, sgarbo massimo, indipendenti nella loro patria ancestrale? Non si può. E possono forse farlo i talebani della croce dello Stato del Vaticano, come l’attuale Papa Bergoglio, secondo i quali il cristianesimo rappresenta il “nuovo” che ha completato e sostituito il “vecchio”?

Lasciamo comunque da parte questioni prettamente teologico-pregiudiziali di vaticanisti e islamisti e torniamo a questioni più terrene. Di seguito alcune osservazioni – in chiave volutamente sarcastica – circa l’importanza del mantenimento di ottimi rapporti tra il terzomondismo di Papa Bergoglio e il palestinismo di Abu Mazen.

1) L’accordo tra Vaticano e ANP è fondamentale per un futuro di pace e tolleranza. Come ricordava infatti l’Osservatore Romano, a giugno del 2015, i punti fondamentali dell’intesa riguardano: esenzione dal servizio militare per i chierici, competenza dei tribunali ecclesiastici su questioni civili in loco (capitolo III dell’Accordo), garanzie per i pellegrinaggi e le strutture ricettive di proprietà del Vaticano in loco (capitolo V), libertà di ricevere fondi da parte delle istituzioni vaticane presenti in loco (capitolo VI), regime fiscale da applicare alle proprietà ecclesiastiche in loco (capitolo VII). Non stupisca il fatto che compaiano aspetti economici così terreni, così poco spirituali. La strada verso la pace costa molta fatica e i soldi, tanto più quelli santi e puliti del pontefice, sono indispensabili per raggiungere l’obiettivo finale.

2) Dalla stipula dell’accordo (giugno 2015) all’entrata in vigore dello stesso (gennaio 2017) Abu Mazen si è reso responsabile di numerosissimi atti di incitamento e supporto del terrorismo islamico. Un caso eclatante su tutti: lo scorso agosto, in previsione delle elezioni locali (poi annullate da Abu Mazen per il fondato timore di perderle), il gradito ospite di Papa Bergoglio ha millantato – con orgoglio e la consapevolezza che certe notizie fanno presa sull’elettorato palestinese – come uno dei più grandi risultati del suo partito l’aver ucciso, in tutta la sua storia, 11.000 israeliani. Ciò dimostra che quando Papa Bergoglio parla di sforzi per raggiungere la pace da parte palestinese o mente o considera l’assassinio di ebrei uno sforzo legittimo in tal senso. In entrambi i casi, considerando i presupposti, la reciproca comprensione, tra il gesuita e il terrorista, non può che aumentare.

3) L’inaugurazione dell’ambasciata palestinese presso lo Stato del Vaticano apre nuovi scenari per la diplomazia internazionale: niente più accordi segreti, se un terrorista in fuga avrà bisogno di un luogo sicuro dove rifugiarsi potrà farlo, direttamente e alla luce del sole, in via Porta Angelica, civico 63. In omaggio immunità diplomatica all’ombra delle mura vaticane. Per il sovrano dello stato pontificio, che ha impiegato quasi mezzo secolo per riconoscere la legittimità della democrazia israeliana e poco più di un decennio per legittimare coloro i quali hanno come obiettivo la distruzione dello Stato Ebraico di Israele, questo è un modo per non scadere in loschi “lodi” di democristiana memoria.

In conclusione, tra tanti dubbi e perplessità circa l’ipocrita connivenza di Papa Bergoglio con la pratica terroristica di Abu Mazen e del palestinismo, una cosa almeno pare chiara. Se ne facciano una ragione i veri Cristiani, per esempio quelli di Betlemme, passati dall’essere oltre l’80% della popolazione, quando la città era amministrata dagli israeliani, a circa il 10%, oggi che è amministrata (dal dicembre 1995) dall’ANP di Abu Mazen. Il gesuita, una volta passato a miglior vita, non avrà particolari problemi a veder iscritto come santo il proprio nome sul calendario gregoriano. E’ riuscito a stipulare un accordo con un criminale antisemita, riconoscendo uno stato su terre non appartenenti né a lui né al suddetto terrorista, in omaggio ad una prostituzione culturale che nega la realtà ed è pronta ad ogni immoralità pur di raggiungere i propri obiettivi, omaggiando tale truffa storica di un ufficio in cui dare ospitalità (anche) a viandanti in procinto di compiere attentati come quello che avvenne il 9 ottobre 1982 fuori dalla non distante Sinagoga. Tutto ciò con il sorriso sulle labbra, parlando di pace e senza nemmeno vergognarsene: se non c’è del miracoloso in questo…

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